Sanatoria. Una trappola micidiale
Schedatura di massa per gli immigrati
Come molti ricorderanno, lo scorso agosto, con la legge 102/2009, il Governo aveva dato il via ad una procedura di emersione dal lavoro nero.
Non è certo la prima volta che questo avviene. Da decenni ormai, periodicamente, i diversi governi in carica si ritrovano a varare “sanatorie” per cittadini stranieri irregolarmente presenti sul territorio.
Una palese dimostrazione di incapacità da parte dello Stato a gestire i flussi migratori, ma un’occasione per tanti lavoratori di ottenere finalmente il permesso di soggiorno.
In quest’ultima occasione la possibilità di emergere riguardava però unicamente le occupazioni di assistenza familiare e assistenza domestica alla persona: un modo, forse, per tranquillizzare le famiglie dopo l’entrata in vigore del “pacchetto sicurezza”.
Si pensò comunque ad una piccola apertura destinata quantomeno a chi, in Italia già da mesi o anni, lavorava in nero nelle case degli italiani, per tenere pulito o curare le persone anziane. Lavori pesanti, senza né ferie né contributi né malattia, soprattutto per quanto riguarda le badanti.
Va detto che la “sanatoria”, per come era stata pensata dal Governo, si è dimostrata un vero e proprio flop: le domande consegnate sono state 294.744, a fronte di almeno 500.000 pronosticate. Questo sia perché probabilmente molte famiglie hanno preferito evitare la regolarizzazione per non dover pagare i contributi e gli oneri arretrati (e si sa che in questi casi il lavoratore è sempre l’ultimo a decidere), sia per i requisiti imposti: necessità da parte del lavoratore di dimostrare di avere un alloggio idoneo (secondo parametri abbastanza restrittivi e spesso del tutto ignorati da chi affitta), un minimo di 20mila euro di reddito per chi assumeva un assistente familiare e soprattutto un contratto non inferiore alle 20 ore settimanali presso un’unica famiglia.
Il 30 settembre 2009 a mezzanotte scadeva il termine per presentare le domande. Nei mesi successivi, le Prefetture di tutte le province hanno iniziato a vagliare le pratiche e a chiamare datori di lavoro e lavoratori per la firma del contratto. Il Ministero per il momento non ha fornito alcun dato ufficiale, ma in molte città le Prefetture sono notevolmente in ritardo nell’espletamento delle pratiche.
Ritardi a parte, per quanto riguarda i requisiti e gli ostacoli ad effettuare l’emersione non avrebbero dovuto esserci dubbi: il Ministero aveva risposto alle richieste di tipo tecnico, amministrativo o legale nei mesi scorsi, prima del termine di presentazione delle domande.
Invece è proprio sulla questione legale che si verificano i problemi.
A norma della L102/2009, è negato allo straniero l’accesso alle procedure di regolarizzazione quando abbia ricevuto una condanna, anche non in via definitiva, per tutta una nutrita serie di reati, in genere considerati abbastanza gravi. A parte le espulsioni per pericolosità sociale e simili, i reati ostativi sono contenuti in due articoli del codice di procedura penale che disciplinano l’arresto in flagranza di reato: il primo – art. 380 – riguarda l’arresto obbligatorio (reati gravi, pene elevate), il secondo – art. 381 – l’arresto facoltativo (reati minori, pene minori). Quando uno straniero viene fermato senza permesso di soggiorno, se non viene eseguito l’accompagnamento alla frontiera riceve un decreto di espulsione che gli intima di lasciare il paese entro 5 giorni. Ordine, ovviamente, puntualmente disatteso. Se viene fermato nuovamente, oltre a ricevere un altro decreto di espulsione, viene anche automaticamente denunciato e in teoria arrestato per non avere obbedito all’ordine del Questore di allontanarsi dal paese (art. 14 comma 5 ter della legge Bossi-Fini). Se il giudice non riconosce la presenza di un “giustificato motivo” per non avere obbedito all’ordine di lasciare l’Italia, la persona viene condannata. Si tratta di una sanzione penale, che in genere prende la forma di una multa salata. Quasi sempre di questa procedura gli stranieri non capiscono nulla o neppure se ne accorgono. Dall’inizio dell’anno la Questura di Trieste (seguita da una manciata di altre) ha deciso di applicare un’interpretazione particolare alle norme sulla regolarizzazione e di far rientrare il reato di cui abbiamo scritto sopra (art 14 comma 5 ter) tra i reati ostativi. Ciò è completamente assurdo, sia sul piano logico che sul piano giuridico.
Se la legge afferma che la regolarizzazione la possono fare anche coloro che erano irregolari e sono stati espulsi, la Questura di Trieste separa artificialmente la condizione di una persona espulsa per irregolarità di soggiorno una volta sola da quella delle persone espulse per le medesime ragioni più di una volta: ovvero puoi regolarizzare la tua posizione di clandestino… purché tu non sia stato “troppo” clandestino. È chiaro che questa differenza tra situazioni identiche è del tutto casuale ed è legata alla maggiore visibilità di alcuni per il colore della loro pelle, perché stazionano nelle strade, vendono oggetti o chiedono l’elemosina. Protagonisti dell’epurazione saranno quindi in prevalenza coloro che sono evidentemente alieni e in quanto tali minacciosi.
Inoltre il Ministero aveva già risposto, in forma privata, ad una richiesta proprio su questa questione, affermando chiaramente, il 23 settembre 2009, che una condanna in base all’articolo14/5ter non era ostativa all’emersione.
Non soddisfatta di questo, la Questura di Trieste ha scavalcato anche le regole con cui andrebbe eseguito un procedimento di espulsione: un mese fa un lavoratore senegalese è stato convocato in questura con un pretesto e rimpatriato già la sera stessa, senza che vi fosse alcuna notifica di rigetto al suo datore di lavoro e, di fatto, senza nessuna possibilità di fare ricorso. Un chiaro segnale intimidatorio.
Da quel momento diversi datori di lavoro e persone solidali si mettono in moto per impedire che il fatto si ripeta e per contrastare questa assurda interpretazione della legge. Si crea un pool di avvocati disposti ad accollarsi la difesa dei lavoratori in difficoltà e contestualmente inizia un percorso di denuncia all’opinione pubblica; dopo il corteo del 1°marzo, viene richiesto un colloquio con il Prefetto, che accetta l’incontro, ma, naturalmente, fa orecchie da mercante.
L’unico risultato positivo che si ottiene è la garanzia, da parte della Questura, che le procedure di espulsione avverranno secondo le regole. Bontà loro. Sul merito nessun ripensamento.
Fino a quel momento, in ogni caso, si credeva si trattasse di un problema locale e che sul nazionale, tranne altre poche eccezioni, l’iter stesse procedendo in maniera positiva. E invece in data 17.03.2010 viene trasmessa a tutte le Questure una circolare, firmata dal capo della polizia Manganelli, che accoglie l’interpretazione del Questore di Trieste e afferma, nero su bianco, che tutti i migranti condannati in base all’articolo 14/5ter non avevano diritto a fare domanda di emersione e perciò sono tutti espellibili. E che i permessi di soggiorno ottenuti da coloro già condannati per tale reato verranno revocati.
Ovviamente quello di Manganelli non è altro che un parere, ma altrettanto ovviamente quale prefetto si assumerà l’onere di dissentire? Di fatto, una semplice procedura di emersione dal lavoro nero viene regolamentata dalle forze di polizia e, così come tutto ciò che concerne l’immigrazione, viene fatto rientrare nella sfera dell’ordine pubblico (alla faccia del “Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione”).
Per i migranti, una sorta di trappola: le procedure di regolarizzazione si trasformano, nella pratica, in un auto-schedatura di massa. E l’unica cosa ad essere certa fin da subito è che i soldi versati non tornano indietro, né gli arretrati all’INPS né i vari balzelli a uffici postali e comunali (e non dimentichiamo che su quei soldi il governo contava, ad esempio per reperire i fondi per la cassa integrazione degli operai FIAT). Quindi non dovrebbe forse stupire più di tanto che le “nuove regole” vengano decise ex-post, a sei mesi dal termine per presentare le domande.
Normale, forse. Ma non per questo accettabile. Il terreno dell’immigrazione, forse anche più di altri, è campo aperto alla sperimentazione di norme e prassi quanto più arbitrarie e vessatorie. Questa vicenda, in sé relativamente circoscritta, non è che la punta di un iceberg.
Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie e vedrai quanto è profonda la tana del Bianconiglio.
Sara e Raffaele
per informazioni: sanatoriatruffa@gmail.com
CIE. Cosa bolle nella pentola del governo?
Riportiamo in questa pagina in costante aggiornamento le cronache e le riflessioni delle ultime settimane sul fronte del CIE, per cercare di capire cosa stia davvero bollendo nella pentola del governo, dopo la campagna mediatica che ha ri-messo al centro dell'attenzione i centri per senza carte, le leggi razziste del nostro paese, la difficoltà del governo a fare fronte ad una spesa enorme, tra gestione dei centri, espulsioni, ristrutturazioni continue dei CIE danneggiati o distrutti dalle rivolte.
Siamo convinti che il governo intenda liberarsi della patata bollente, facendo sì che tutto cambi, affinché tutto resti come prima.
Proviamo a vedere come, andando oltre i toni intollerabilmente melensi dei media.
Iniziative contro il CIE di Gradisca in maggio e giugno
A pochi chilometri da noi a Gradisca d’Isonzo dal 2006 esiste un CIE (centro di identificazione ed espulsione). In questa prigione sono reclusi in condizioni durissime decine di cittadini non dell’unione europea per il solo motivo di non possedere (o non possedere più) un permesso di soggiorno valido. Divieto di leggere, di comunicare con l’esterno, psicofarmaci, privazioni e soprusi di ogni tipo sono pane quotidiano e provocano tra l’altro continui episodi di autolesionismo. Riteniamo importante far conoscere l’esistenza di questi luoghi e le logiche che li governano, promuovendo iniziative di informazione e denuncia. Invitiamo tutti e tutte a partecipare e a contribuire in modo attivo alle iniziative che si terranno nei prossimi giorni: Trieste, sabato 18 maggio dalle 17 in via delle Torri (dietro la chiesa di s.antonio) Pordenone, sabato 18 maggio dalle 17 in p.tta Cavour Udine, sabato 24 maggio al nuovo spazio sociale in viale Osoppo Le iniziative vogliono anche promuovere la partecipazione al presidio regionale che ci sarà sabato 1 giugno nel pomeriggio di fronte al CIE di Gradisca indetto dal Coordinamento regionale contro i CIE.Sabato 20 aprile – Il CIE tra la movida di Torino
ore 19,30 aperibenefit antirazzisti sotto processo ore 20,30 assemblea sui CIE con testimonianze ore 22 presidio antirazzista itinerante per portare il CIE in mezzo alla città. Appuntamento alle 19,30 in largo Saluzzo "Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!" Questo striscione è apparso lo scorso mese davanti alla villa di Antonio Baldacci, responsabile del CIE di Torino. Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto. La mattina dopo Fatih era morto. Non venne eseguita nessuna autopsia. Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito. Due giorni dopo il colonnello e medico Baldacci dichiarerà "gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa". Parole che ricordano quelle degli aguzzini di ogni dove. Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si recò a casa Baldacci per un "cacerolazo". Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni. La protesta di persone indignate per una morte senza senso. Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade. I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell'amministrazione comunale. L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione. L'occupazione simbolica dell'atrio del Museo egizio - 29 giugno 2008 - per ricordare l'operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione - 17 luglio 2008 - dell'assessore all'integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata - 11 luglio 2008 - contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta - 20 marzo 2009 - alla lavanderia "La nuova", che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l'elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti. Nel CIE di Torino negli ultimi due mesi si sono susseguite le lotte e le rivolte. Tutte le sezioni del CIE sono state gravemente danneggiate. In febbraio la polizia ha pestato, gasato gli immigrati in rivolta dopo un fallito tentativo di fuga. Sei sono stati arrestati. Nonostante la repressione le lotte non si sono fermate. Per evitare la deportazione qualcuno si taglia, altri salgono sul tetto. Il CIE è quasi inagibile. In alcune sezioni gli immigrati dormono su materassi gettati in terra. La scorsa settimana tutti i reclusi, ormai solo 47, hanno fatto uno sciopero della fame di due giorni. Per la libertà. Nei CIE le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all'espulsione da lunghi anni sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell'Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi sia un'urgenza che ci riguarda tutti. Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un’aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, continueremo a portare il CIE per le strade di Torino. Antirazzisti contro la repressione Ti ricordi di Fatih?Mercoledì 27 febbraio – processo agli antirazzisti
Mercoledì 27 febbraio prima udienza del processo a 67 antirazzisti torinesi
La Procura mette in scena un processo alle lotte.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese, in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si traducono in scelte politiche scomode.
Se sperano di spaventarci si sbagliano.
In questi anni le iniziative di opposizione al razzismo, alle politiche securitarie, al militarismo allo sfruttamento si sono moltiplicate sul territorio.
L’urgenza politica e morale di allora è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri.
Porteremo il loro processo nelle strade di questa città!Sabato 2 marzo – Portiemo il CIE nel salotto della città! – presidio antirazzista
Il 27 febbraio e cominciato il primo di due processi agli antirazzisti che, tra il maggio del 2008 e il maggio del 2009, attraversarono l'esperienza dell'Assemblea Antirazzista Torinese.
La lotta contro i CIE ha segnato alcuni momenti importanti di quell'anno ed è oggi un fronte sempre più caldo di resistenza al razzismo di Stato nella sua concreta, quotidiana, materialità.
La morte di Fathi, un immigrato tunisino lasciato senza cure nell'allora "nuovo" CPT di Torino, fu il banco di prova di una relazione politica ancora embrionale.
La lotta che ne seguì fece da catalizzatore per quelle che seguirono.
Oggi le protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare della struttura detentiva di corso Brunelleschi, è entrata nel fascicolo del processo.“Il CIE nel salotto della città”
Il 2 marzo con un presidio itinerante per il centro cittadino porteremo quella storia negata e dimanticata in mezzo alla città.
Appuntamento alle 15 in piazza Castello.
Sabato 23 febbraio punto info solidale con gli antirazzisti sotto processo
Sabato 23 febbraio punto info sul processo a 67 antirazzist*
a Porta Palazzo - sotto i portici all'angolo con corso GiulioRompere il silenzio
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Tre anni fa la Procura giocò la carta dell’associazione a delinquere ed arrestò sei antirazzisti. Il teorema non resse in Cassazione ma la Procura voleva comunque mandare alla sbarra l’Assemblea Antirazzista torinese.
Oggi la Procura mette in scena un processo alle lotte. In due atti.
Il primo atto va in scena il 27 febbraioArance amare – mostra itinerante per i mercati di Torino – 26 gennaio 2013
Le arance, i mandarini, le clementine che fanno mostra di se nei mercati di Torino, sono state raccolte da lavoratori stagionali, che vengono pagati 50 cent alla cassetta di arance, 1 euro per cassetta di mandarini. Ogni cassetta pesa una media di 18/20 chili. In una giornata di lavoro la media arriva a 25 euro. In nero, non tutti i giorni ma solo quelli che il caporale ingaggiato dai padroni decide di sceglierti. Se alzi la testa, se reclami per i ritmi o per la paga, puoi anche andartene, perché nessuno ti chiamerà più.
I media ci raccontano di migrazioni epocali, di emergenze continue per giustificare le condizioni di vita indecenti di questi lavoratori. Per loro non ci sono tende o gabinetti funzionanti quando arrivano nella piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi. Di affittare una casa non se ne parla nemmeno: a Rosarno o a San Ferdinando una stanza costa come nel centro di Milano o Roma.
In realtà basterebbero pochi soldi per mettere su strutture decenti, basterebbero liste publiche per tagliare fuori i caporali, basterebbe che chi guadagna, e bene, sul lavoro degli stagionali, ci mettesse qualcosa del suo per garantire loro un letto e una doccia. Invece no. Così le tendopoli scoppiano subito, circondate da baracche fatte di lastre di amianto e teli di plastica, così per i bisogni ci sono buche a cielo aperto.
Quella dell'emergenza è una bufala che ci raccontano perché è più facile immaginare una fame tutta africana, che vedere la realtà. La realtà è fatta di operai del nord che hanno perso il lavoro e vengono a fare la raccolta per rimediare un salario, la realtà è fatta di richiedenti asilo che attendono da oltre due anni la risposta che consentirebbe loro di andare via, di cercarsi un lavoro stabile. La guerra in Libia è finita da due anni, ma i profughi di quella guerra vivono ancora in un limbo apolide.
Se vedessimo la realtà vedremmo che la condizione degli africani di Rosarno è ormai la condizione di tanta parte dei lavoratori italiani. L'unica emergenza è quella quotidiana di uno sfruttamento senza limiti, perché per i padroni non conta il colore delle pelle, ma quello dei soldi.
Le arance che mangiamo sono sempre più amare.Sabato 26 gennaio mostra itinerante e volantinaggio nei mercati delle zone popolari di Torino.
Appuntamento alle 9,30 in corso Palermo 46 - per info: 338 6594361Frontiere d’Europa. 30 nuovi centri di detenzione in Grecia
Grecia. Il ministro della protezione civile M. Chrysohoidis, ha annunciato ieri l'apertura di trenta nuovi centri di detenzione per immigrati in collaborazione con il ministero degli esteri.
Il ministro si è incontrato con i governatori di dieci province greche per verificare la loro disponibilità ad ospitare i centri. Ha anche fornito assicurazione che l'Unione Europea si è impegnata a versare 250 milioni di euro per i prossimi tre anni.
Per ciascuno dei centri sarà istituito un apposito presidio di polizia di almeno 150 agenti oltre a 70 guardie private, ogni 250 immigrati detenuti.
Secondo il piano presentato ogni centro sarà diviso in quattro sezioni, in ciascuna delle quali saranno rinchiusi 250 immigrati. Ognuno dei nuovi lager "ospiterà" 1000 senza carte, per un totale di 30.000 prigionieri.
La Grecia si candida così al ruolo di paese cuscinetto tra i paesi più ricchi dell'Unione e le aree di emigrazione. Un avamposto di frontiera, ben pagato per il servizio reso.-
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