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QUANDO CHIUDE UN LAGER

Questo documento parla di centri di internamento, di discriminazioni, di razzismo, di scenari di guerra. Lo si può considerare, nel Giorno della Memoria, un contributo affinché tale ricorrenza venga onorata nella sua tragica attualità. Per la prima volta, dopo molti … Continua a leggere

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CIE di Modena. Sciopero della fame e della sete

Mercoledì 22 febbraio. I reclusi del Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena sono in sciopero della fame e della sete da due giorni. Alla protesta partecipano tutti i 56 reclusi della struttura.
Il CIE di Modena è l’equivalente di un supercarcere per senza documenti. Le condizioni di detenzione sono peggiori che altrove, l’isolamento molto più rigido. Ormai da un paio d’anni anche in altri CIE è stato impedito agli “ospiti” di tenere i propri telefoni cellulari, a Modena non è mai stato possibile comunicare con l’esterno se non dietro stretta sorveglianza dei gestori del Centro, la Misericordia di Giovanardi, fratello gemello dell’ex ministro del PDL.
Nonostante l’isolamento questa volta le notizie sono filtrate all’esterno.
A scatenare la protesta, durissima e compatta dei prigionieri, l’inganno messo in atto dalla Questura modenese, che aveva promesso, che, nonostante il recepimento da parte del governo italiano della direttiva rimpatri, allo scadere del sesto mese di detenzione, nessuno sarebbe rimasto nel CIE.
Nei giorni scorsi diversi immigrati sono passati dal giudice di pace che ha prolungato di altri due mesi il soggiorno forzato a Modena. Chi entra in un CIE passa sempre dal giudice di pace che, di volta in volta, aggiunge due mesi a quelli iniziali.
I reclusi sono decisi a resistere finché non otterranno la libertà.

Circolano indiscrezioni su un possibile cambio della guardia nella gestione della struttura emiliana, poiché la Misericordia che l’ha in gestione sin dall’apertura, potrebbe non presentarsi per la prossima gara di appalto. La riduzione del contributo diario per ogni prigioniero renderebbe meno redditizio l’affare. Secondo le stesse fonti tra i possibili concorrenti ci sarebbe la francese Gepsa, che un anno fa sarebbe dovuta subentrare al consorzio Connecting People nella gestione del CIE di Gradisca d’Isonzo, ma per una serie non troppo chiara di inghippi amministrativi, di fatto è rimasta fuori.
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Trieste. Studenti indignati contro i CIE

Da un paio di settimane la protesta degli studenti (soprattutto medi) che – assieme a vari solidali – si sono accampati per giorni prima in piazza Unità e poi in piazza della Borsa sta facendo notizia. Sul piatto oltre a varie rivendicazioni classiche (ma particolare importanza ci pare abbia la lotta contro le telecamere nelle scuole) ci sono anche temi più generali: contro le banche, per una partecipazione politica reale, contro il debito, contro il TAV, per gli spazi autogestiti ecc. Per un’analisi su prospettive e limiti di questa lotta rimandiamo all’articolo in uscita su Umanità Nova. C’è stato invece uno sviluppo interessante sul fronte delle lotte antirazziste. Uno dei primi striscioni comparsi in piazza Unità era un secco “no racism” assieme ad una bandiera antifascista. Da ieri gli universitari hanno messo in campo un’iniziativa concreta: è stata occupata la biblioteca generale e si stanno organizzando pranzi sociali a prezzi popolari per boiccottare la mensa gestita dalla Sodexo. La decisione è stata presa dopo che nella piazza è stata diffusa l’informazione – nota solo a pochi – che la Sodexo fornisce i pasti in diversi CIE.
Seguiranno aggiornamenti.
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Cie di Gradisca. Slitta ancora il cambio di gestione

In molti CIE agosto è stato un mese particolarmente caldo. Nel lager isontino invece da lunghi mesi non si muove granché.
Il divieto di usare i cellulari ha interrotto i fili comunicativi che permettevano agli antirazzisti fuori di sapere cosa accadeva all’interno. Grazie alle rivolte di inizio anno la capienza della struttura è ancora ridottissima e i lavori di ristrutturazione procedono molto a rilento.
Ma questa non è l’unica anomalia. La gara di appalto tenutasi in febbraio era stata vinta dalla transalpina Gepsa – sede a Parigi – in associazione con Cofely Italia e le coop italiane Acuarinto di Agrigento e Synergasia di Roma ma il cambio di gestione viene rinviato di mese in mese. Dai giornali di ieri si viene a sapere che il passaggio slitta ancora a causa di indagini in corso sul nuovo gestore.

Aggiornamento al 2 settembre
Si apprende dai giornali locali che la gara di appalto è stata congelata dal tribunale di Trieste, per cui, nell’attesa di una decisione definitiva, la gestione del CIE resta al consorzio Connecting People sino a fine anno.
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Palazzo S. Gervasio. Muri, ciabatte, rivolte e censura

Palazzo S. Gervasio. Qui, in provincia di Potenza sorge una delle tante tendopoli/CIE messe su in fretta e furia da Maroni, quando è stato chiaro che l’Unione Europea non aveva alcuna intenzione di farsi carico delle migliaia di profughi e migranti stipati a Lampedusa.
Nato il primo aprile come centro di accoglienza è stato trasformato in CIE “temporaneo” con un decreto del consiglio dei ministri del 21 aprile. Stessa sorte della tendopoli di Kinisia in provincia di Trapani e dell’ex caserma Andolfato, chiusa dopo l’incendio dell’8 giugno.
Qui cose banali come visite di avvocati, giornalisti o amici sono un miraggio.
Raffaella Cosentino nel suo reportage su questo blocco di cemento a filo spinato al confine tra Basilicata a Puglia scrive “Isolati nelle campagne lucane al confine con la Puglia, i giovani della rivoluzione dei gelsomini vedono svanire in un incubo il sogno dell’Europa. “Ammar 404” era il nome dato alla censura del dittatore Ben Alì dagli internauti tunisini. 1305 è il numero della circolare interna del Viminale che instaura la censura sui centri per migranti in Italia a partire dal primo aprile, vietandone di fatto l’accesso ai giornalisti ‘fino a nuova disposizione’. In questo momento è più facile entrare in un carcere di massima sicurezza che in una tendopoli.”
Secondo la Questura tutto va bene e i ragazzi tunisini chiusi dietro al filo spinato vivono nel migliore dei mondi possibili.
Dopo due mesi la giornalista di Repubblica è riuscita ad ottenere dalla Prefettura di Potenza il permesso di parlare ai reclusi dietro le spesse maglie metalliche della prima recinzione. Il articolo, arricchito da un video fatto filtrare dai reclusi racconta un storia diversa.
Qui nessuno ha più le scarpe: gliele hanno sequestrate per impedire loro di imitare la trentina di ragazzi che si sono arrampicati, hanno saltato la recinzione, guadagnandosi la strada per proseguire il viaggio.
Quelli di Connecting People, che hanno preso in gestione la struttura senza alcuna gara di appalto, non forniscono neppure i moduli per la richiesta di asilo.
Per loro l’unico problema dei reclusi è la mancanza di peperoncino nel cibo.
Il video passato alla giornalista di Repubblica mostra una rivolta e un tentativo di fuga di massa: ci sono immigrati feriti e agenti in tenuta antisommossa.
Checché ne dicano secondini prezzolati di Connecting People, l’unica fame vera è quella di libertà.
Guarda il video sul sito di Repubblica.
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Gradisca. Nuova gestione per CIE e CARA

Il Cie e il Cara di Gradisca cambieranno gestione per la terza volta. Dopo la cooperativa Minerva e il consorzio Connecting People il lucroso business passa alla transalpina Gepsa – sede a Parigi – in associazione con Cofely Italia e le coop italiane Acuarinto di Agrigento e Synergasia di Roma.
Gepsa e gli altri soci del “consorzio temporaneo d’impresa” messo su per l’occasione dovrebbero entrare in pista il primo maggio.
Le buste delle offerte erano state aperte il 1 febbraio in prefettura a Gorizia. C’era anche un gruppo di antirazzisti che disse la propria agli aspiranti aguzzini.
Le lotte antirazziste in questi lunghi mesi di resistenza migrante si sono intensificate culminando nella giornata di lotta del 12 marzo scorso – a cinque anni dall’apertura del lager – organizzata dai compagni del Coordinamento Libertario Regionale, mentre un nuovo presidio si è tenuto sabato 2 aprile.
Vedremo nei prossimi mesi come se la caveranno nuovi gestori di fronte alla voglia di libertà e rivolta che i reclusi hanno sempre espresso.
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Un CIE a Venezia? Tra avidità e ipocrisia

Secondo quanto assicurato dal ministro Maroni la tante volte annunciata apertura di un CIE in Veneto doveva essere avviata entro la fine dell’anno scorso; ma a tutt’oggi, per fortuna, resta ancora tra i desiderata del razzismo istituzionale.
Da molti anni, almeno dal 2000 durante il governo D’Alema, era stata ventilata la costruzione di un Cpt in regione e da allora non si contano le ipotesi di locazione riguardanti tutte le province venete che sono saltate fuori, prendendo via via in considerazione ex-strutture militari, una struttura manicomiale, capannoni industriali, isole lagunari, caserme alpine, etc.; ma puntualmente, oltre alle manifeste opposizioni degli antirazzisti, tale progetto ha dovuto fare i conti con la contrarietà delle amministrazioni locali, indipendentemente dalla loro collocazione politica, comprese quelle leghiste sempre pronte ad aizzare la persecuzione degli immigrati “clandestini” ma non disposte ad ospitare un lager vicino a casa loro.
L’ultima “trovata” ventilata sui giornali riguarda l’area di Campalto, una frazione veneziana, come possibile luogo per il Cie. Tale area di quasi 20 ettari è un deposito militare dismesso, situato in via Orlanda, che secondo il piano-carceri del ministero della giustizia doveva essere ristrutturato come galera per 450 detenuti.
Questo sito, indicato con solerzia nel dicembre scorso dal sindaco di Venezia Orsoni (di centro-sinistra), nei perversi disegni del ministero dell’interno dovrebbe vedere anche l’abbinamento di un Cie con 300 posti per i “clandestini”.

Il comune di Venezia ha approvato a larghissima maggioranza (con la furbetta astensione leghista) una mozione (presentata dal consigliere verde-disobbediente Caccia assieme al capogruppo del Pd Borghello) di rigetto del Cie a Campalto. Persino il governatore della regione, il leghista Zaia, è stato costretto ad un slalom di prese di posizione.
Analoga contrarietà era stata espressa dai sindacati di polizia (Sap, Coisp, Siulp…) per le note carenze d’organico, nonché dall’associazionismo democratico, dall’area disobbediente e dalla Caritas, per bocca del suo noto direttore, monsignor Pistolato, tutti pronti a formare comitati unitari.
Peccato che la Caritas sia la stessa associazione che ha cogestito come “ente terzo” il CIE di via Corelli a Milano e che monsignor Pistolato sia lo stesso che nel 2008 sollecitò e appoggiò l’ordinanza del comune di Venezia contro i mendicanti, soprattutto rom e sinti. Ed è pure lo stesso che, appena un mese fa, si era dichiarato contrario ai 10-12mila lavoratori immigrati previsti per Veneto dall’ultimo decreto flussi, ritenendoli come possibile causa di conflitti etnici. Come se qualcuno – davvero – non sapesse che quei diecimila lavoratori sono già qui e lavorano in nero. Come se qualcuno potesse far finta di ignorare che il decreto flussi è solo una sanatoria mascherata, decisa dal governo dopo il bollente autunno degli immigrati truffati dalla sanatoria colf e badanti.
Non è forse che la contrarietà della Caritas diocesana nasconde altre preoccupazioni?
Il dubbio è legittimo, dato la Caritas sembra aver soltanto adesso scoperto che “il Cie, come strutturato, si colloca al di fuori dello spirito e della lettera della Carta Costituzionale (cfr. art. 3 comma 1), per la forma di eccessiva coercizione che viene esercitata nei confronti di persone e questo senza alcuna distinzione”, dopo aver beninteso riconosciuto “il diritto-dovere da parte delle istituzioni statuali di identificare in modo adeguato le persone presenti nel territorio nazionale”.
La Caritas è più che disponibile ad impegnarsi nella – lucrosissima – gestione dei CIE, purché si cambi “modello”. Un pizzico di umanità in più e sono disposti ad imbarcarsi anche loro.
Nel suo comunicato la Caritas propone “di aprire un tavolo di confronto tra i diversi soggetti istituzionali, del privato sociale ed ecclesiali che operano nell’ambito dell’immigrazione per poter individuare dei percorsi condivisi.
Le Caritas con Migrantes, su un modello diverso, potranno partecipare in questi Centri di Identificazione attraverso l’animazione, proponendo delle attività culturali o ricreative, avere la presenza di mediatori culturali e attivare segni di prossimità con le comunità adiacenti ai centri”.
Della serie: business is business.
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Contestazione alla gara per l’appalto del Cie di Gradisca

Gorizia, 1 febbraio. L’apertura delle buste per la nuova gara d’appalto per il CIE e il CARA di Gradisca era in programma questa mattina. Non potevano mancare gli antirazzisti.
Nei giorni precedenti erano girate molte voci sui candidati al ruolo di aguzzini, pronti ad incassare 15 milioni di euro in tre anni. Una torta ricca grossa.
C’era chi sosteneva che gli attuali gestori, quelli del consorzio Connecting People, non si sarebbero ripresentati. Ben otto le offerte arrivate in prefettura, compresi quelli di Connecting People, la Cooperativa Minerva, i Cavalieri di Malta e l’associazione culturale Aquarinto di Agrigento.
L’apertura delle buste avrebbe dovuto essere pubblica, ma ogni regola ha la sua eccezione. Dopo il rituale controllo dei documenti, la presidente della Commissione esaminatrice, tale Gloria Allegretto, ha sostenuto che la sala era piccola e potevano starci solo quelli che avevano un interesse soggettivo. Un interesse da 15 milioni di euro. Gli antirazzisti, il cui interesse è invece oggettivo, ossia la libertà di chi ha la colpa di essere povero e senza carte, dovevano stare fuori.
Un’imposizione che non potevano certo accettare: così in quella sala troppo piccola hanno trovato posto cartelli con le immagini ingombranti ed eccessive dei prigionieri del CIE con le bocche cucite con ago e filo. Prima di togliere il disturbo i compagni hanno gridato a gran voce “vergogna!”, “andate a fare un lavoro dignitoso invece di diventare aguzzini”, “tanto gli immigrati ve lo sfasciano di nuovo quel lager”.
Una buona occasione per ribadire che i CIE sono lager, chiunque li gestisca. Continua a leggere

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Gradisca. Lavori, appalti e chiacchiere

Le feste non spengono l’attenzione sul CIE di Gradisca. Anzi. Il consigliere regionale Antonaz, dopo una visita alla struttura, ha rilasciato dichiarazioni roboanti. Ha detto che “la situazione al Cie è inaccettabile”, che quello di Gradisca va chiuso. Peccato che Antonaz se ne sia stato zitto per anni.
Non è da meno l’ormai celebre parroco di Gradisca, Maurizio Quaglizza, che dichiara ai giornali che “il Cie è angosciante come un carcere”. Peccato che non abbia nulla da dire sulla benedizione dei nuovi lampioni pagati da Maroni, per rendere più difficile la fuga dal Centro.

Ci sono invece importanti novità sui lavori di ristrutturazione e il nuovo bando per la gestione.
I lavori sono stati assegnati, la fortunata ditta è veneta, la Easy Light Impianti s.r.l. con sede a San Michele al Tagliamento in via Apicilia Pozzi 10, tel. 043154005-043154361, e-mail: easylight@netanday.it.
Chi sa? Potrebbe essere interessante telefonare o spedire una mail con una domanda semplice semplice: ristrutturare un lager è un lavoro come un altro?

Ancora non si sa quanto tempo ci vorrà per finire e neppure se in quel periodo il CIE sarà svuotato.
Di sicuro c’è che il 1 febbraio sapremo se CIE e CARA avranno un nuovo gestore.
A cinque anni dall’apertura del Centro friulano – era il 7 marzo del 2006 – il 2011 si annuncia all’insegna delle novità. Una bella ristrutturazione per rendere più difficili le fughe, e magari altri secondini al posto di quelli di Connecting People. Spetta agli antirazzisti fare il possibile, per incepparne i meccanismi.
Un buon augurio per l’anno nuovo? Che chiudano, e per sempre, tutti i CIE. Continua a leggere

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Una storia sbagliata. Il rapporto del Medu sul CIE di Roma

il rapporto di Medici per i diritti umani – MEDU – sul CIE di Ponte Galeria, visitato, tra mille difficoltà, nell’ottobre di quest’anno.
“Il centro presenta l’aspetto di una struttura penitenziaria. Il perimetro del CIE è delimitato da alte mura ed è posto sotto la vigilanza delle forze di pubblica sicurezza.
All’interno, le aree maschili e femminili sono delimitate da recinzioni costituite da sbarre alte 5 metri.” Continua a leggere

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Trapani. Musica per un lager

Trapani, mercoledì 20 ottobre. L’Ensamble Ricciotti tiene un concerto nel cortile dell’Istituto “Serraino Vulpitta”. Il “Vulpitta”, oltre che casa per anziani, è anche prigione per immigrati, un CIE.
Il 25 ottobre il Coordinamento per la pace invia ai musicisti una lettera aperta, che narra la cruda realtà dei CIE e ricorda la tragica storia di quello trapanese.
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Torino. Chi gestisce la mensa della scuola?

A Torino le mense delle scuole delle circoscrizioni 1 e 6 le gestisce la Camst, la stessa ditta che fornisce i pasti nel CIE di corso Brunelleschi.
In questi giorni davanti alle scuole elementari della sesta circoscrizione hanno fatto la loro comparsa gli antirazzisti, che distribuiscono alle mamme, ai papà, ai nonni dei bambini il volantino “Chi gestisce la mensa della scuola?”. Qui il pdf da scaricare. Continua a leggere

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