CIE. Cosa bolle nella pentola del governo?
Riportiamo in questa pagina in costante aggiornamento le cronache e le riflessioni delle ultime settimane sul fronte del CIE, per cercare di capire cosa stia davvero bollendo nella pentola del governo, dopo la campagna mediatica che ha ri-messo al centro dell'attenzione i centri per senza carte, le leggi razziste del nostro paese, la difficoltà del governo a fare fronte ad una spesa enorme, tra gestione dei centri, espulsioni, ristrutturazioni continue dei CIE danneggiati o distrutti dalle rivolte.
Siamo convinti che il governo intenda liberarsi della patata bollente, facendo sì che tutto cambi, affinché tutto resti come prima.
Proviamo a vedere come, andando oltre i toni intollerabilmente melensi dei media.
Iniziative contro il CIE di Gradisca in maggio e giugno
A pochi chilometri da noi a Gradisca d’Isonzo dal 2006 esiste un CIE (centro di identificazione ed espulsione). In questa prigione sono reclusi in condizioni durissime decine di cittadini non dell’unione europea per il solo motivo di non possedere (o non possedere più) un permesso di soggiorno valido. Divieto di leggere, di comunicare con l’esterno, psicofarmaci, privazioni e soprusi di ogni tipo sono pane quotidiano e provocano tra l’altro continui episodi di autolesionismo. Riteniamo importante far conoscere l’esistenza di questi luoghi e le logiche che li governano, promuovendo iniziative di informazione e denuncia. Invitiamo tutti e tutte a partecipare e a contribuire in modo attivo alle iniziative che si terranno nei prossimi giorni: Trieste, sabato 18 maggio dalle 17 in via delle Torri (dietro la chiesa di s.antonio) Pordenone, sabato 18 maggio dalle 17 in p.tta Cavour Udine, sabato 24 maggio al nuovo spazio sociale in viale Osoppo Le iniziative vogliono anche promuovere la partecipazione al presidio regionale che ci sarà sabato 1 giugno nel pomeriggio di fronte al CIE di Gradisca indetto dal Coordinamento regionale contro i CIE.Sabato 20 aprile – Il CIE tra la movida di Torino
ore 19,30 aperibenefit antirazzisti sotto processo ore 20,30 assemblea sui CIE con testimonianze ore 22 presidio antirazzista itinerante per portare il CIE in mezzo alla città. Appuntamento alle 19,30 in largo Saluzzo "Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!" Questo striscione è apparso lo scorso mese davanti alla villa di Antonio Baldacci, responsabile del CIE di Torino. Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto. La mattina dopo Fatih era morto. Non venne eseguita nessuna autopsia. Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito. Due giorni dopo il colonnello e medico Baldacci dichiarerà "gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa". Parole che ricordano quelle degli aguzzini di ogni dove. Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si recò a casa Baldacci per un "cacerolazo". Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni. La protesta di persone indignate per una morte senza senso. Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade. I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell'amministrazione comunale. L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione. L'occupazione simbolica dell'atrio del Museo egizio - 29 giugno 2008 - per ricordare l'operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione - 17 luglio 2008 - dell'assessore all'integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata - 11 luglio 2008 - contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta - 20 marzo 2009 - alla lavanderia "La nuova", che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l'elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti. Nel CIE di Torino negli ultimi due mesi si sono susseguite le lotte e le rivolte. Tutte le sezioni del CIE sono state gravemente danneggiate. In febbraio la polizia ha pestato, gasato gli immigrati in rivolta dopo un fallito tentativo di fuga. Sei sono stati arrestati. Nonostante la repressione le lotte non si sono fermate. Per evitare la deportazione qualcuno si taglia, altri salgono sul tetto. Il CIE è quasi inagibile. In alcune sezioni gli immigrati dormono su materassi gettati in terra. La scorsa settimana tutti i reclusi, ormai solo 47, hanno fatto uno sciopero della fame di due giorni. Per la libertà. Nei CIE le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all'espulsione da lunghi anni sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell'Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi sia un'urgenza che ci riguarda tutti. Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un’aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, continueremo a portare il CIE per le strade di Torino. Antirazzisti contro la repressione Ti ricordi di Fatih?Mercoledì 27 febbraio – processo agli antirazzisti
Mercoledì 27 febbraio prima udienza del processo a 67 antirazzisti torinesi
La Procura mette in scena un processo alle lotte.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese, in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si traducono in scelte politiche scomode.
Se sperano di spaventarci si sbagliano.
In questi anni le iniziative di opposizione al razzismo, alle politiche securitarie, al militarismo allo sfruttamento si sono moltiplicate sul territorio.
L’urgenza politica e morale di allora è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri.
Porteremo il loro processo nelle strade di questa città!Sabato 2 marzo – Portiemo il CIE nel salotto della città! – presidio antirazzista
Il 27 febbraio e cominciato il primo di due processi agli antirazzisti che, tra il maggio del 2008 e il maggio del 2009, attraversarono l'esperienza dell'Assemblea Antirazzista Torinese.
La lotta contro i CIE ha segnato alcuni momenti importanti di quell'anno ed è oggi un fronte sempre più caldo di resistenza al razzismo di Stato nella sua concreta, quotidiana, materialità.
La morte di Fathi, un immigrato tunisino lasciato senza cure nell'allora "nuovo" CPT di Torino, fu il banco di prova di una relazione politica ancora embrionale.
La lotta che ne seguì fece da catalizzatore per quelle che seguirono.
Oggi le protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare della struttura detentiva di corso Brunelleschi, è entrata nel fascicolo del processo.“Il CIE nel salotto della città”
Il 2 marzo con un presidio itinerante per il centro cittadino porteremo quella storia negata e dimanticata in mezzo alla città.
Appuntamento alle 15 in piazza Castello.
Sabato 23 febbraio punto info solidale con gli antirazzisti sotto processo
Sabato 23 febbraio punto info sul processo a 67 antirazzist*
a Porta Palazzo - sotto i portici all'angolo con corso GiulioRompere il silenzio
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Tre anni fa la Procura giocò la carta dell’associazione a delinquere ed arrestò sei antirazzisti. Il teorema non resse in Cassazione ma la Procura voleva comunque mandare alla sbarra l’Assemblea Antirazzista torinese.
Oggi la Procura mette in scena un processo alle lotte. In due atti.
Il primo atto va in scena il 27 febbraioArance amare – mostra itinerante per i mercati di Torino – 26 gennaio 2013
Le arance, i mandarini, le clementine che fanno mostra di se nei mercati di Torino, sono state raccolte da lavoratori stagionali, che vengono pagati 50 cent alla cassetta di arance, 1 euro per cassetta di mandarini. Ogni cassetta pesa una media di 18/20 chili. In una giornata di lavoro la media arriva a 25 euro. In nero, non tutti i giorni ma solo quelli che il caporale ingaggiato dai padroni decide di sceglierti. Se alzi la testa, se reclami per i ritmi o per la paga, puoi anche andartene, perché nessuno ti chiamerà più.
I media ci raccontano di migrazioni epocali, di emergenze continue per giustificare le condizioni di vita indecenti di questi lavoratori. Per loro non ci sono tende o gabinetti funzionanti quando arrivano nella piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi. Di affittare una casa non se ne parla nemmeno: a Rosarno o a San Ferdinando una stanza costa come nel centro di Milano o Roma.
In realtà basterebbero pochi soldi per mettere su strutture decenti, basterebbero liste publiche per tagliare fuori i caporali, basterebbe che chi guadagna, e bene, sul lavoro degli stagionali, ci mettesse qualcosa del suo per garantire loro un letto e una doccia. Invece no. Così le tendopoli scoppiano subito, circondate da baracche fatte di lastre di amianto e teli di plastica, così per i bisogni ci sono buche a cielo aperto.
Quella dell'emergenza è una bufala che ci raccontano perché è più facile immaginare una fame tutta africana, che vedere la realtà. La realtà è fatta di operai del nord che hanno perso il lavoro e vengono a fare la raccolta per rimediare un salario, la realtà è fatta di richiedenti asilo che attendono da oltre due anni la risposta che consentirebbe loro di andare via, di cercarsi un lavoro stabile. La guerra in Libia è finita da due anni, ma i profughi di quella guerra vivono ancora in un limbo apolide.
Se vedessimo la realtà vedremmo che la condizione degli africani di Rosarno è ormai la condizione di tanta parte dei lavoratori italiani. L'unica emergenza è quella quotidiana di uno sfruttamento senza limiti, perché per i padroni non conta il colore delle pelle, ma quello dei soldi.
Le arance che mangiamo sono sempre più amare.Sabato 26 gennaio mostra itinerante e volantinaggio nei mercati delle zone popolari di Torino.
Appuntamento alle 9,30 in corso Palermo 46 - per info: 338 6594361Frontiere d’Europa. 30 nuovi centri di detenzione in Grecia
Grecia. Il ministro della protezione civile M. Chrysohoidis, ha annunciato ieri l'apertura di trenta nuovi centri di detenzione per immigrati in collaborazione con il ministero degli esteri.
Il ministro si è incontrato con i governatori di dieci province greche per verificare la loro disponibilità ad ospitare i centri. Ha anche fornito assicurazione che l'Unione Europea si è impegnata a versare 250 milioni di euro per i prossimi tre anni.
Per ciascuno dei centri sarà istituito un apposito presidio di polizia di almeno 150 agenti oltre a 70 guardie private, ogni 250 immigrati detenuti.
Secondo il piano presentato ogni centro sarà diviso in quattro sezioni, in ciascuna delle quali saranno rinchiusi 250 immigrati. Ognuno dei nuovi lager "ospiterà" 1000 senza carte, per un totale di 30.000 prigionieri.
La Grecia si candida così al ruolo di paese cuscinetto tra i paesi più ricchi dell'Unione e le aree di emigrazione. Un avamposto di frontiera, ben pagato per il servizio reso.-
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Due giorni di rivolta al CARA di Mineo
Nel CARA di Mineo sono ammassati oltre quattromila richiedenti asilo. La struttura di Mineo non ne potrebbe accogliere più di 2000. Venne aperta nel 2011 durante la guerra per la Libia per fare fronte all’ondata di profughi che approdarono a … Continua a leggere
Fiamme al CIE di Torino
Sabato 22 febbraio. In prima serata alcuni reclusi tentano di scappare scavalcando le grate, ma vengono ripresi dalla polizia. La reazione degli altri prigionieri non si fa attendere: alcuni salgono sui tetti, altri incendiano le camerate di alcune sezioni. La polizia spara tanti gas lacrimogeni da rendere l’aria irrespirabile anche nelle zone vicine al CIE.
Un gruppetto di solidali si raduna sotto il CIE ma viene caricato da una squadra dell’antisommossa aizzata da una delle vicine di casa del CIE, indignata per la rumorosa solidarietà degli antirazzisti. Nessun turbamento per le urla, il gas e la violenza della polizia oltre il muro.
Il giorno dopo quattro rivoltosi saranno arrestati e condotti in carcere.
Domenica 24 va a fuoco l’area gialla. 20 dei 35 reclusi sono obbligati a dormire nei locali della mensa.
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Torino. Fuga dal CIE
Giovedì 22 settembre. La notte scorsa i prigionieri del Centro di Identificazione ed espulsione di corso Brunelleschi hanno tentato una fuga di massa. La seconda in meno di un mese.
In contemporanea hanno tentato di abbattere le porte delle recinzioni delle varie sezioni. In parecchi hanno scavalcato dall’uscita secondaria di corso Brunelleschi.
Alcuni ce l’hanno fatta, altri sono stati riacciuffati. Secondo La Stampa on line hanno riconquistato la libertà in 22, mentre altri 7 sono stati tratti in arresto con l’accusa di resistenza e lesioni.
Durante la notte, alcuni abitanti affacciati al balcone di corso Brunelleschi gridavano ai poliziotti “almeno questi li avete ripresi”.
Come in videogame. Un gioco feroce dove si smarrisce l’umanità.
Oltre quelle gabbie ci sono uomini e donne. Chi lo dimentica è complice.
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Lampedusa. I semi dell’odio
Giovedì 22 settembre. Dopo aver bruciato la gabbia che li rinchiudeva 1300 immigrati hanno trascorso la notte all’aperto. Mercoledì 21 si sono mossi in corteo gridando “Libertà! Libertà!”. Un gruppo ha preso della bombole del gas minacciando di farsi saltare: alcuni isolani li hanno presi a sassate, i ragazzi hanno risposto. La polizia li ha caricati e pestati selvaggiamente. Un video mostra i poliziotti che picchiano i tunisini obbligandoli a saltare un muro alto tre metri.
Il sindaco De Rubeis che non ha esitato a minacciare violenze definendo “delinquenti” i rivoltosi, ha raccolto i frutti avvelenati della sua propaganda d’odio.
Secondo quanto riferisce il Gazzettino vi sarebbero stati alcuni tentativi di linciaggio da parte di gruppi di lampedusani inferociti. Anche la troupe di Sky e quella della RAI avrebbero subito attacchi da parte di alcuni isolani.
Un tunisino è stato ferito gravemente e trasferito con l’elisoccorso in ospedale a Palermo
Maroni è corso ai ripari iniziando i trasferimenti. Undici immigrati sono stati arrestati e rinchiusi nel carcere di Agrigento con l’accusa di incendio, danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale.
Di seguito la cronaca di mercoledì 21 curata da TAZ laboratorio di comunicazione libertaria
I fatti di Lampedusa suscitano rabbia e amarezza. È successo quello che era prevedibile e che, per certi versi, è stato voluto a tutti i costi.
Più di mille persone concentrate in uno spazio ristretto e senza un motivo comprensibile non possono che perdere la testa. Per la gran parte tunisini, gli immigrati del CPSA di Lampedusa sono destinati a essere rimpatriati. Ma negli ultimi giorni, il consolato tunisino ha tirato il freno a causa del raggiungimento del tetto massimo di trasferimenti. I tempi lunghi della detenzione e la stessa prospettiva di essere rispediti in un paese oggettivamente insicuro per via della transizione politica del dopo-Ben Alì, hanno acceso la miccia dell’esasperazione. Martedì 20 settembre gli immigrati prigionieri a Lampedusa hanno dato fuoco al centro di “accoglienza” distruggendolo completamente. Dopo di che, si sono riversati in paese cercando in qualche modo di manifestare il loro dissenso per una condizione che è davvero inaccettabile. Così come è inaccettabile l’ipocrisia di tutto questo sistema che faceva dire al ministro della difesa La Russa, solo pochi giorni fa, che a Lampedusa tutto va bene e che gli immigrati non hanno niente di cui lamentarsi. Poi, come succede in tutti i campi di internamento per stranieri, una volta finita la visita ufficiale di questa o quell’autorità, i pasti serviti tornano a essere la solita schifezza, e le false premure di sbirri e inservienti ridiventano insulti e botte.
A Lampedusa è successo quello che non doveva succedere: scontri tra immigrati e popolazione locale. Forse è il primo caso eclatante di scontri razziali in Italia. Pare che alcuni tunisini prima abbiano fatto irruzione in un ristorante della zona del porto per poi minacciare di far saltare in aria delle bombole del gas, di quelle che si usano in cucina. A quel punto, il fronteggiamento con i lampedusani si trasforma in battaglia: gli isolani attaccano gli immigrati a sassate, gli immigrati rispondono, uomini si scagliano contro altri uomini. Poi la polizia carica gli immigrati, e ci sono immagini che mostrano l’accanimento vigliacco contro una folla con le spalle al muro che sfugge alle manganellate buttandosi da un’altezza di tre metri. Non tanto, forse. Ma quanto basta per farsi davvero male in una situazione di panico generalizzato.
Disgustosa, come sempre, la figura di Bernardino De Rubeis, sindaco di Lampedusa, che non ha perso occasione di spargere a piene mani i semi dell’odio parlando di una guerra in atto, e della capacità dei lampedusani di attrezzarsi in tal senso. E infatti, De Rubeis si è dovuto asserragliare nel suo ufficio, sorvegliato da agenti di polizia, perché all’esterno alcuni compaesani volevano prenderlo a sberle. Perché? Non perché sia un personaggio impresentabile; non perché sia stato indagato e arrestato per concussione; non perché fino a qualche mese fa aveva accolto in pompa magna Berlusconi reggendogli il gioco nelle sue sceneggiate propagandistiche. I lampedusani vogliono la pelle di De Rubeis perché, secondo loro, è stato troppo “morbido” nella gestione del problema-immigrazione. E così, De Rubeis ai giornali ha detto di sapersi difendere, con una mazza di baseball custodita in ufficio.
L’abbrutimento di Lampedusa è il frutto avvelenato della politica del governo italiano che continua a gestire l’immigrazione in maniera folle. Ora, al di là della scientifica criminalità delle leggi liberticide che reprimono i flussi migratori, a Lampedusa i problemi vengono ulteriormente esacerbati e ingigantiti dal pressappochismo, dalla trascuratezza, dalla volontà di rendere impossibili anche le cose semplici.
Nell’esasperazione collettiva di Lampedusa, la strada della solidarietà umana viene abbandonata in favore della scorciatoia razzista e rabbiosa. E non sappiamo quanto tutto questo possa essere davvero recuperato, stando così le cose.
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Palazzo S. Gervasio. Muri, ciabatte, rivolte e censura
Palazzo S. Gervasio. Qui, in provincia di Potenza sorge una delle tante tendopoli/CIE messe su in fretta e furia da Maroni, quando è stato chiaro che l’Unione Europea non aveva alcuna intenzione di farsi carico delle migliaia di profughi e migranti stipati a Lampedusa.
Nato il primo aprile come centro di accoglienza è stato trasformato in CIE “temporaneo” con un decreto del consiglio dei ministri del 21 aprile. Stessa sorte della tendopoli di Kinisia in provincia di Trapani e dell’ex caserma Andolfato, chiusa dopo l’incendio dell’8 giugno.
Qui cose banali come visite di avvocati, giornalisti o amici sono un miraggio.
Raffaella Cosentino nel suo reportage su questo blocco di cemento a filo spinato al confine tra Basilicata a Puglia scrive “Isolati nelle campagne lucane al confine con la Puglia, i giovani della rivoluzione dei gelsomini vedono svanire in un incubo il sogno dell’Europa. “Ammar 404” era il nome dato alla censura del dittatore Ben Alì dagli internauti tunisini. 1305 è il numero della circolare interna del Viminale che instaura la censura sui centri per migranti in Italia a partire dal primo aprile, vietandone di fatto l’accesso ai giornalisti ‘fino a nuova disposizione’. In questo momento è più facile entrare in un carcere di massima sicurezza che in una tendopoli.”
Secondo la Questura tutto va bene e i ragazzi tunisini chiusi dietro al filo spinato vivono nel migliore dei mondi possibili.
Dopo due mesi la giornalista di Repubblica è riuscita ad ottenere dalla Prefettura di Potenza il permesso di parlare ai reclusi dietro le spesse maglie metalliche della prima recinzione. Il articolo, arricchito da un video fatto filtrare dai reclusi racconta un storia diversa.
Qui nessuno ha più le scarpe: gliele hanno sequestrate per impedire loro di imitare la trentina di ragazzi che si sono arrampicati, hanno saltato la recinzione, guadagnandosi la strada per proseguire il viaggio.
Quelli di Connecting People, che hanno preso in gestione la struttura senza alcuna gara di appalto, non forniscono neppure i moduli per la richiesta di asilo.
Per loro l’unico problema dei reclusi è la mancanza di peperoncino nel cibo.
Il video passato alla giornalista di Repubblica mostra una rivolta e un tentativo di fuga di massa: ci sono immigrati feriti e agenti in tenuta antisommossa.
Checché ne dicano secondini prezzolati di Connecting People, l’unica fame vera è quella di libertà.
Guarda il video sul sito di Repubblica.
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Rivolta e incendio al CIE di Santa Maria Capua Vetere
Giovedì 9 giugno. Nella notte tra martedì 7 e mercoledì 9 è scoppiata una rivolta nel nuovo CIE/tendopoli nell’ex caserma Andolfato. La scintilla le botte e gli sfottò verso un giovane immigrato che chiedeva di poter tornare a casa per il funerali del fratello.
La risposta della polizia è stata durissima: cariche, botte e lancio di lacrimogeni.
I lacrimogeni avrebbero innescato un incendio, che ha distrutto buona parte delle tende del CIE.
Completamente diversa la versione della polizia che accusa gli immigrati di aver incendiato le tende per coprire un tentativo di fuga.
Secondo il Corriere del Mezzogiorno la procura ha messo sotto sequestro il CIE e i 98 immigrati tunisini – venti dei quali malconci dopo gli scontri e l’incendio – sono stati trasferiti.
Repubblica riferisce che gli immigrati sarebbero stati prelevati nella notte e trasferiti in altre strutture dell’Italia meridionale. Secondo gli avvocati che hanno seguito per l’intera nottata la vicenda una trentina di loro dovrebbero ottenere il permesso, altrettanti hanno qualche possibilità, mentre per gli altri sarebbe certa l’espulsione.
Un fatto è certo. C’è un CIE di meno.
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Restinco. Fiamme, repressione e una gola tagliata
Restinco, 21 marzo. Sono inagibili buona parte delle camerate del CIE brindisino, teatro di una rivolta scoppiata nella notte tra lunedì 14 e martedì 15 marzo. Buona parte delle camerate sono state investite dalle fiamme: per bloccare i tunisini protagonisti della sommossa, la questura ha dovuto inviare, oltre ai vigili del fuoco, anche poliziotti dell’antisommossa e della digos.
I giornali danno notizia dell’incendio che ha distrutto il CIE solo sabato 19 marzo.
Gli immigrati sono stati ammassati nella sala mensa. Anche qui, è il modello Gradisca che fa scuola.
Lo dimostra la mancata chiusura del centro annunciata nei giorni scorsi da numerosi giornali. Il capo di gabinetto della prefettura, Erminia Cicoria, dice testualmente: “Restano lì dove sono”. Una chiusura momentanea del Centro salentino non è al momento in agenda.
Nella tarda serata di domenica 20 marzo un ragazzo tunisino si è tagliato la gola, dopo una discussione molto animata con l’ispettore del centro, che lo aveva preso di mira, con amenità del tipo “mi scopo tua sorella”. L’ambulanza venuta a soccorrere il ferito è stata mandata indietro dal medico del CIE. Il ragazzo si troverebbe ora in infermeria. Gli altri reclusi hanno annunciato uno sciopero della fame.
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Gradisca. A terra, come bestie
Gradisca, 1 marzo. Il CIE è ormai inagibile da giorni: le rivolte e gli incendi della scorsa settimana hanno distrutto quasi tutto. Restano in piedi le aree comuni e una stanza da soli otto letti, per i cento immigrati.
Maroni non sa più che pesci prendere: i CIE sono stracolmi e non c’è più posto da nessuna parte. Ammettere il fallimento nelle politiche repressive verso i clandestini sarebbe uno smacco troppo grande per un Ministro dell’Interno leghista, che sulla “durezza” verso gli immigrati ha costruito gran parte delle proprie fortune. Per questo, infischiandosene allegramente delle condizioni di vita dei reclusi, Maroni fa finta che nulla sia capitato.
Maroni deve anche fare i conti con la Questura goriziana, che da tempo vuole che il CIE sia chiuso durante i lavori di ristrutturazione e mal tollera la scelta di mantenere comunque aperta la struttura.
Viene il dubbio che la scarsa solerzia dimostrata durante l’ultima rivolta – gli stessi reclusi davano per spariti i poliziotti – non sia stata del tutto casuale.
Domani i poliziotti dell’UGL faranno un presidio alla prefettura di Gorizia per protestare contro il mancato intervento del Viminale. Naturalmente agli uomini e alle donne in divisa non importa nulla degli immigrati: vorrebbero solo più personale, per evitare che tocchi a loro occuparsi di “questa tipologia di persone”. Una tipologia con spiccata attitudine alla resistenza, alla rivolta, alla libertà.
A rendere la vita difficile al povero Maroni ci si mettono anche gli antirazzisti, che provano a rompere il muro di silenzio che circonda i CIE.
Questa mattina sul sito di Fortresse Europe sono comparse alcune foto scattate il primo marzo nel CIE di Gradisca. I prigionieri dormono e mangiano in terra, in giacigli di fortuna, come bestie.
Vale la pena di far girare queste immagini, perché tutti sappiano quello che succede all’interno dei moderni lager della democrazia.
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Fiamme nell’area gialla del CIE di Torino
Lunedì 28 febbraio. Un incendio è divampato questa sera nell’area gialla del CIE di Torino. In quest’area sono concentrati parecchi immigrati sbarcati a Lampedusa dalla Tunisia.
Gran via vai di vigili del fuoco e auto della polizia intorno alla struttura di corso Brunelleschi.
Il vento di rivolta che attraversa le prigioni per immigrati diventa sempre più forte.
Seguiranno aggiornamenti.
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CIE di Gradisca. Demolito, stanza dopo stanza
Gradisca, domenica 27 febbraio.
“A quasi cinque anni dall’apertura, passati tra continue rivolte, atti di autolesionismo e violente repressioni, il CIE di Gradisca d’Isonzo è stato distrutto dai suoi stessi reclusi molti dei quali provengono dalle rivolte nordafricane.”
Questo l’incipit del comunicato dei compagni del Coordinamento Libertario Isontino. Ed è anche l’epilogo di una vicenda cominciata il 7 marzo del 2006, quando tra scontri, botte e lacrimogeni, venne fatto entrare a forza il primo “ospite” della ex caserma Polonio.
Negli ultimi tre giorni i reclusi hanno dato alle fiamme la loro prigione, demolendola, stanza dopo stanza. Nel pomeriggio di oggi sono andate a fuoco altre sei camere. Per i 105 “ospiti” restano solo 8 letti: gli altri sono ammassati senza nulla nelle aree comuni.
Un’altra bella manciata di sabbia è stata lanciata nel motore della macchina delle espulsioni.
Giornata di informazione e lotta il 12 marzo al CIE di Gradisca.
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CIE: rivolta a Gradisca, sciopero della fame a Torino
Dopo un periodo di relativa calma la rabbia degli immigrati torna a esplodere nella struttura gradiscana.
Non sappiamo quando sia iniziata la rivolta.
Un’attivista antirazzista che passava di lì riferisce che intorno alle 20 al di là delle mura si vedeva un gran fumo. Poi sono arrivati i vigili del fuoco e un’ambulanza.
L’onda lunga delle proteste che investono da giorni numerosi CIE, da Bari a Restinco, da Modena a Torino, è arrivata anche a Gradisca.
Proprio ieri, trasferiti con un volo speciale da Lampedusa, erano arrivati 50 tunisini. Trenta richiedenti asilo sono stati portati al CARA, gli altri sono stati rinchiusi nel CIE.
La situazione potrebbe diventare ancora più incandescente, perchè le migliaia di tunisini approdati in pochi giorni in Italia potrebbero essere l’avanguardia di un esodo molto più ampio.
Al CIE di Torino gli immigrati sono in sciopero della fame da sabato sera. La maggior parte di loro viene dalla Tunisia. Sono preoccupati per le famiglie, non riescono a mettersi in contatto e temono per la loro sorte. Tutti sentono il vento di libertà che viene dal nordafrica.
La sezione delle donne è stata svuotata per far posto agli immigrati approdati a Lampedusa.
Domenica notte un gruppetto di antirazzisti ha fatto un veloce saluto ai reclusi: petardi, battitura di ferri, slogan. Da dentro si è levato un gran fragore.
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Per il pane e la libertà
Tunisia, Algeria, Marocco, Egitto, Albania. L’altro Mediterraneo, quello da dove partono le barche degli immigrati, a caccia di fortuna e di un pizzico di libertà è in rivolta.
In Tunisia la fuga del dittatore – ma la fine del sistema di potere che per decenni ha schiacciato sotto un tallone di ferro il paese ancora non si vede – è costata centinaia di morti.
Leggi il comunicato di solidarietà con le popolazioni in lotta emesso dalla Commissione di Relazioni Internazionali della FAI.
A fianco della rivolta Tunisina
Nel 1999, l’ammiraglio Fulvio Martini, già dirigente del Servizio Segreto Militare (SISMI) riferì alla Commissione Stragi del Parlamento italiano: “Negli anni 1985-1987 organizzammo una specie di colpo di Stato in Tunisia, mettendo il presidente Ben Ali a capo dello Stato, sostituendo Bourguiba (esponente di primissimo piano nella lotta di indipendenza dal colonialismo francese, NdR)”. Martini, inoltre, nel suo libro “Nome in codice: Ulisse” precisò che le direttive venivano da Craxi e da Andreotti, allora rispettivamente presidente del consiglio e ministro degli esteri.
Successivamente l’oppositore del regime dittatoriale di Ben Ali, Taoufik Ben Brik ha denunciato come i governanti italiani abbiano rinforzato il regime “rimpinguando i suoi forzieri e armando il suo braccio contro il popolo”. Non a caso fu in Tunisia che il latitante Craxi si rifugiò, riverito, protetto e seppellito, per sfuggire alle condanne inflittegli.
La rivolta e la lotta in corso in Tunisia ci appartengono, le sentiamo come nostre, sia perché sono contro un regime dittatoriale, arrogante e corrotto sia perchè nate per conquistare, non solo migliori condizioni di vita, ma anche libertà di parola e di organizzazione. Le sosteniamo in quanto espressione autonoma di esigenze popolari, sganciate da logiche di compatibilità geopolitiche.
Mentre a destra e manca si denuncia il rischio dell’anarchia, e le classi dirigenti tunisine, con i loro protettori europei, stanno cercando di piegare ed ingabbiare la protesta popolare dentro un processo elettorale, per disarmare la volontà di lotta delle masse; mentre si è costituito un governo fantoccio, di fatto controllato dagli amici e colleghi di Ben Ali per garantire la continuità del sistema di sfruttamento e di oppressione; mentre il ministro Frattini si pronuncia per la “stabilità” dell’area (ove “stabilità” sta per “ordine e disciplina”) è importante pronunciarsi e manifestare a favore del tentativo di autoemancipazione popolare e sostenere con forza la protesta e la rivolta in corso, che si sta misurando con l’esercito e le bande armate fedeli all’ex presidente, fuggito con più di una tonnellata di lingotti d’oro.
La lotta insurrezionale tunisina sta aprendo la strada ad altre lotte in Algeria, Marocco ed Egitto, innescate dagli effetti disastrosi della crisi sociale; da questa parte del Mediterraneo dobbiamo mobilitarci affinché tali lotte e rivolte non vengano stroncate da nuove dittature, preparate e sostenute dai governi europei, stroncando ogni possibile forma di paternalismo e di razzismo tendenti a separare e a contrapporre quelli che sono gli interessi comuni di ogni lavoratore e di ogni essere umano: la dignità, la libertà, la giustizia sociale.
Commissione Relazioni Internazionali FAI
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Milano. Tentata fuga e rivolta al CIE
Milano, notte tra l’11 e il 12 dicembre. Hanno provato a scavalcare le recinzioni per riprendersi la libertà. Quando la polizia li ha bloccati hanno dato vita ad una rivolta: smontati i caloriferi li hanno usati come arieti spaccando tutto quello che potevano in due sezioni. Poi è partita la mattanza.
Un gruppetto di solidali si è radunato all’esterno del Centro per monitorare la situazione. Le ambulanze hanno portato via cinque immigrati, tre al S. Raffaele e due al S. Rita. Secondo quanto riferiscono le agenzie gli immigrati sarebbero stati dimessi in nottata. Non si sa se le sezioni danneggiate siano ancora agibili.
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CIE di Torino. Sale la tensione
Mercoledì 27 ottobre. Metà dei settanta algerini, trasferiti dalla Sardegna con un volo speciale, dopo la rivolta che ha reso inagibile il CPA di Elmas, sono rinchiusi in corso Brunelleschi.
Tenuti isolati dagli altri prigionieri temono un’espulsione imminente. Il 20 ottobre il console algerino è andato al CIE per i “riconoscimenti” di rito. In genere questo è il segnale di una prossima deportazione.
Il 26 ottobre scoppia una protesta: gli immigrati fanno a pezzi quello che capita. Alla fine tre di loro vengono arrestati e tradotti al carcere delle Vallette. Continua a leggere
Sardegna. Nuova rivolta al centro di Elmas
Non cala la tensione ad Elmas, il centro di prima accoglienza per immigrati, nei pressi dell’eliporto di Cagliari. Il primo ottobre in una prima rivolta erano state danneggiate un paio di camerate. Questa notte è andato a fuoco un intero piano. Ora è inagibile. Ogni materasso bruciato è un gesto di sabotaggio concreto alla macchina delle espulsioni. Continua a leggere
Sardegna. Incendi di protesta al CIE di Elmas
Venerdì 1 ottobre. Come ricorderete, pochi giorni fa, nella notte tra il 23 e il 24 settembre, ci sono stati diversi sbarchi di immigrati tunisini ed algerini sulle coste sarde. Trasferiti nel centro di prima accoglienza di Elmas, questa mattina si … Continua a leggere
CIE di Gradisca. Nuova rivolta
Lunedì 13 settembre. Al CIE di Gradisca gli immigrati in sciopero della fame vengono picchiati dai poliziotti dell’antisommossa. I reclusi protestano, perché da settimane sono chiusi in cella senza possibilità di uscire all’aria aperta. Dopo il pestaggio vanno a fuoco materassi e lenzuola. Le celle restano chiuse nonostante il fumo abbia invaso le camerate. Continua a leggere
Torino. Rivolte, occupazioni, resistenza alle espulsioni
Oltre il muro Un’altra estate calda sul fronte delle espulsioni. A Torino, in luglio, per due settimane si susseguono rivolte, tentativi di evasione, braccia tagliate, proteste sul tetto. Dall’altro lato del muro gli antirazzisti fanno occupazioni, blocchi, un presidio permanente di … Continua a leggere