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Fiamme al CIE di Torino

Sabato 22 febbraio. In prima serata alcuni reclusi tentano di scappare scavalcando le grate, ma vengono ripresi dalla polizia. La reazione degli altri prigionieri non si fa attendere: alcuni salgono sui tetti, altri incendiano le camerate di alcune sezioni. La polizia spara tanti gas lacrimogeni da rendere l’aria irrespirabile anche nelle zone vicine al CIE.
Un gruppetto di solidali si raduna sotto il CIE ma viene caricato da una squadra dell’antisommossa aizzata da una delle vicine di casa del CIE, indignata per la rumorosa solidarietà degli antirazzisti. Nessun turbamento per le urla, il gas e la violenza della polizia oltre il muro.
Il giorno dopo quattro rivoltosi saranno arrestati e condotti in carcere.
Domenica 24 va a fuoco l’area gialla. 20 dei 35 reclusi sono obbligati a dormire nei locali della mensa.
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Lampedusa. I semi dell’odio

Giovedì 22 settembre. Dopo aver bruciato la gabbia che li rinchiudeva 1300 immigrati hanno trascorso la notte all’aperto. Mercoledì 21 si sono mossi in corteo gridando “Libertà! Libertà!”. Un gruppo ha preso della bombole del gas minacciando di farsi saltare: alcuni isolani li hanno presi a sassate, i ragazzi hanno risposto. La polizia li ha caricati e pestati selvaggiamente. Un video mostra i poliziotti che picchiano i tunisini obbligandoli a saltare un muro alto tre metri.
Il sindaco De Rubeis che non ha esitato a minacciare violenze definendo “delinquenti” i rivoltosi, ha raccolto i frutti avvelenati della sua propaganda d’odio.
Secondo quanto riferisce il Gazzettino vi sarebbero stati alcuni tentativi di linciaggio da parte di gruppi di lampedusani inferociti. Anche la troupe di Sky e quella della RAI avrebbero subito attacchi da parte di alcuni isolani.
Un tunisino è stato ferito gravemente e trasferito con l’elisoccorso in ospedale a Palermo
Maroni è corso ai ripari iniziando i trasferimenti. Undici immigrati sono stati arrestati e rinchiusi nel carcere di Agrigento con l’accusa di incendio, danneggiamento e resistenza a pubblico ufficiale.

Di seguito la cronaca di mercoledì 21 curata da TAZ laboratorio di comunicazione libertaria

I fatti di Lampedusa suscitano rabbia e amarezza. È successo quello che era prevedibile e che, per certi versi, è stato voluto a tutti i costi.
Più di mille persone concentrate in uno spazio ristretto e senza un motivo comprensibile non possono che perdere la testa. Per la gran parte tunisini, gli immigrati del CPSA di Lampedusa sono destinati a essere rimpatriati. Ma negli ultimi giorni, il consolato tunisino ha tirato il freno a causa del raggiungimento del tetto massimo di trasferimenti. I tempi lunghi della detenzione e la stessa prospettiva di essere rispediti in un paese oggettivamente insicuro per via della transizione politica del dopo-Ben Alì, hanno acceso la miccia dell’esasperazione. Martedì 20 settembre gli immigrati prigionieri a Lampedusa hanno dato fuoco al centro di “accoglienza” distruggendolo completamente. Dopo di che, si sono riversati in paese cercando in qualche modo di manifestare il loro dissenso per una condizione che è davvero inaccettabile. Così come è inaccettabile l’ipocrisia di tutto questo sistema che faceva dire al ministro della difesa La Russa, solo pochi giorni fa, che a Lampedusa tutto va bene e che gli immigrati non hanno niente di cui lamentarsi. Poi, come succede in tutti i campi di internamento per stranieri, una volta finita la visita ufficiale di questa o quell’autorità, i pasti serviti tornano a essere la solita schifezza, e le false premure di sbirri e inservienti ridiventano insulti e botte.
A Lampedusa è successo quello che non doveva succedere: scontri tra immigrati e popolazione locale. Forse è il primo caso eclatante di scontri razziali in Italia. Pare che alcuni tunisini prima abbiano fatto irruzione in un ristorante della zona del porto per poi minacciare di far saltare in aria delle bombole del gas, di quelle che si usano in cucina. A quel punto, il fronteggiamento con i lampedusani si trasforma in battaglia: gli isolani attaccano gli immigrati a sassate, gli immigrati rispondono, uomini si scagliano contro altri uomini. Poi la polizia carica gli immigrati, e ci sono immagini che mostrano l’accanimento vigliacco contro una folla con le spalle al muro che sfugge alle manganellate buttandosi da un’altezza di tre metri. Non tanto, forse. Ma quanto basta per farsi davvero male in una situazione di panico generalizzato.
Disgustosa, come sempre, la figura di Bernardino De Rubeis, sindaco di Lampedusa, che non ha perso occasione di spargere a piene mani i semi dell’odio parlando di una guerra in atto, e della capacità dei lampedusani di attrezzarsi in tal senso. E infatti, De Rubeis si è dovuto asserragliare nel suo ufficio, sorvegliato da agenti di polizia, perché all’esterno alcuni compaesani volevano prenderlo a sberle. Perché? Non perché sia un personaggio impresentabile; non perché sia stato indagato e arrestato per concussione; non perché fino a qualche mese fa aveva accolto in pompa magna Berlusconi reggendogli il gioco nelle sue sceneggiate propagandistiche. I lampedusani vogliono la pelle di De Rubeis perché, secondo loro, è stato troppo “morbido” nella gestione del problema-immigrazione. E così, De Rubeis ai giornali ha detto di sapersi difendere, con una mazza di baseball custodita in ufficio.
L’abbrutimento di Lampedusa è il frutto avvelenato della politica del governo italiano che continua a gestire l’immigrazione in maniera folle. Ora, al di là della scientifica criminalità delle leggi liberticide che reprimono i flussi migratori, a Lampedusa i problemi vengono ulteriormente esacerbati e ingigantiti dal pressappochismo, dalla trascuratezza, dalla volontà di rendere impossibili anche le cose semplici.
Nell’esasperazione collettiva di Lampedusa, la strada della solidarietà umana viene abbandonata in favore della scorciatoia razzista e rabbiosa. E non sappiamo quanto tutto questo possa essere davvero recuperato, stando così le cose.
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Torino. Furia d’agosto al CIE

“Noi da qua non scendiamo. L’altra sera la polizia ci ha sparato i lacrimogeni”. È una torrida domenica di agosto, ancora più torrida per i reclusi del CIE di corso Brunelleschi che nella notte sono saliti sul tetto delle aree bianca e blu. Chi parla è un immigrato appollaiato lassù, che spera che i microfoni di radio Blackout possano rompere il muro di silenzio e indifferenza che stringe le maglie delle gabbie che rinchiudono le vite dei senza carte.

Tutto comincia venerdì 19 agosto. Nella notte scoppia una rivolta che investe diverse aree del CIE: vanno a fuoco materassi e suppellettili, un ragazzo si taglia, un altro cerca di impiccarsi. I poliziotti rifiutano di far arrivare le ambulanze e assediano le gabbie. Poi entrano nelle aree ribelli colpendo con i manganelli e gli spray urticanti. Impiegano anche i cani . Alcuni ragazzi vengono feriti. Poi cala una calma tesa, tra le minacce degli uomini in divisa e la rabbia dei prigionieri.

La mattina dopo la protesta riprende: sciopero della fame e battiture. Nella notte molti decidono di salire sui tetti.
Alcuni antirazzisti fanno un piccolo presidio solidale in serata. Un secondo presidio notturno viene disperso dalla polizia, tra le proteste e le urla degli immigrati sul tetto. Due donne vengono fermate, trattenute a lungo in questura e rilasciate con un bel pacchetto di denunce.
Il solito gruppetto di residenti incarogniti urla contro chi è abbastanza umano da non tollerare che nella loro città vi sia una galera per chi è nato povero.

Domenica 21 nuovo presidio solidale al CIE. Un compagno si guadagna subito un soggiorno di tre ore al commissariato di corso Tirreno per aver provato senza successo a lanciare bottigliette d’acqua agli immigrati sul tetto della sezione blu, quella più vicina alla strada. Dal tetto arriva un messaggio in una bottiglia di plastica: “aiuto e libertà”.
Alcuni residenti si avvicinano e comincia un dialogo meno incarognito del solito.
Il quotidiano “La Stampa” racconta un’altra storia. Per il quotidiano torinese si sarebbe trattato di un fallito tentativo di fuga di messa, seguito da una rivolta con danneggiamenti della mensa dell’area bianca. L’innesco di questo fuoco d’agosto sarebbero state le palline infarcite di messaggi lanciate dagli antirazzisti. Stessa musica nell’articolo del 21 agosto.
Se bastassero gli incitamenti a innescare le rivolte, oggi dei CIE resterebbe ben poco.
Le rivolte, le fughe sono normali in un mondo di gabbie e filo spinato.
Chi si oppone alle frontiere da sostegno ai ribelli e cerca di spezzare il silenzio e le bugie su questi moderni lager della democrazia.
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Rivolta e incendio al CIE di Santa Maria Capua Vetere

Giovedì 9 giugno. Nella notte tra martedì 7 e mercoledì 9 è scoppiata una rivolta nel nuovo CIE/tendopoli nell’ex caserma Andolfato. La scintilla le botte e gli sfottò verso un giovane immigrato che chiedeva di poter tornare a casa per il funerali del fratello.
La risposta della polizia è stata durissima: cariche, botte e lancio di lacrimogeni.
I lacrimogeni avrebbero innescato un incendio, che ha distrutto buona parte delle tende del CIE.
Completamente diversa la versione della polizia che accusa gli immigrati di aver incendiato le tende per coprire un tentativo di fuga.
Secondo il Corriere del Mezzogiorno la procura ha messo sotto sequestro il CIE e i 98 immigrati tunisini – venti dei quali malconci dopo gli scontri e l’incendio – sono stati trasferiti.
Repubblica riferisce che gli immigrati sarebbero stati prelevati nella notte e trasferiti in altre strutture dell’Italia meridionale. Secondo gli avvocati che hanno seguito per l’intera nottata la vicenda una trentina di loro dovrebbero ottenere il permesso, altrettanti hanno qualche possibilità, mentre per gli altri sarebbe certa l’espulsione.
Un fatto è certo. C’è un CIE di meno.
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Torino. Braccio di ferro

Torino, 25 marzo. Dopo la distruzione dell’area verde del CIE gli immigrati hanno passato le ultime due notti nel cortile, senza possibilità di lavarsi. Nell’area blu dopo l’incendio di alcuni materassi, oggi due immigrati sono stati arrestati. La tensione resta alta. La questura pare decisa ad applicare la linea dura, obbligando chi brucia le stanze a restare nelle strutture ormai inagibili.
Una sorta di braccio di ferro per vedere chi molla prima.
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Volo speciale. Torino, Bari, Lampedusa. E ritorno

Martedì 22 marzo.
Torino Caselle. Due voli speciali diretti prima a Bari e poi a Lampedusa sono partiti alle 11,30 e alle 14. Non sappiamo quanti immigrati siano stati coinvolti nell’operazione ma non è difficile immaginare che sia una tappa nel gioco di bussolotti di Maroni.
Si caricano un po’ di immigrati a Torino e li si molla a Bari, dove, dopo la deportazione a Mineo di un centinaio di richiedenti asilo, c’è un po’ di spazio. Poi si vola a Lampedusa, si fa un carico di tunisini appena sbarcati, e li si porta ancora a Bari.

Torino. Non si placano le proteste nell’area verde del CIE. Dopo l’incendio che domenica notte ha mandato in fumo tre moduli abitativi su cinque, i reclusi, tutti tunisini, hanno dato alle fiamme tavoli e sedie della mensa, dove erano stati obbligati a dormire la notte precedente.
Radunati nel cortile e perquisiti sono stati privati degli accendini.
Altri reclusi si sono tagliati: due sono stati medicati in ospedale.

Gradisca. La rivolta e la fuga di domenica sono state di ben più ampie di quanto era stato fatto trapelare in un primo tempo. Secondo quanto riportano i giornali le stanze ancora agibili dopo le sommosse di fine febbraio sono state danneggiate ulteriormente.
Brutte notizie invece dal fronte del CARA, questa notte tre richiedenti asilo sono stati caricati su un aereo di linea e deportati a Mineo.
Gli operatori di Connecting People hanno blandito gli altri ospiti del CARA con promesse impossibili. Qualcuno ci ha creduto, altri no. C’è chi pensa che a Mineo troverà una villetta tutta per se e un lavoro; gli altri sono stanchi, insofferenti, rassegnati.

Roma. 29 richiedenti asilo sono stati trasferiti a Mineo dal CARA di Castelnuovo di Porto. Una ventina di attivisti di Action si erano incatenati all’ingresso principale per impedire la deportazione, ma sono stati beffati dalla polizia che ha fatto uscire i rifugiati da un ingresso laterale.
Il ministero dell’Interno aveva disposto lo spostamento di 55 persone: in seguito alle proteste di alcune associazioni, alcuni “casi vulnerabili” sono stati esclusi dalla lista.

La condizione dei richiedenti asilo concentrati a Mineo sarà ancora peggiore di quella attuale. Tutte le pratiche sono concentrate in un’unica commissione territoriale; chi ha fatto ricorso avrà difficoltà a partecipare alle udienze, tutte le reti di sostegno e solidarietà sviluppate sui vari territori vengono spezzate.
Ovviamente le sofferenze di chi già ha subito guerre e persecuzioni importano poco a Maroni. L’essenziale è accontentare l’elettorato leghista.
Ma il ministro è nei guai sino al collo. Il viaggio in Tunisia programmato oggi è stato rimandato di qualche giorno: segno che non sarà facile convincere il governo tunisino a mettere in atto misure di contrasto dell’immigrazione, nonché a mantenere gli impegni presi quest’estate da Ben Alì per il rimpatrio veloce dei clandestini. Gli aiuti promessi alla Tunisia per far fronte all’ondata di profughi sono stati ridotti ad un mero supporto al rimpatrio degli immigrati provenienti dal Bangladesh. Della serie: li portiamo a casa noi, così non rischiamo di ritrovarceli su un barcone diretto a Lampedusa. Non manca chi si chiede che fine abbiano fatto i soldi inizialmente stanziati per gli aiuti.
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Restinco. Fiamme, repressione e una gola tagliata

Restinco, 21 marzo. Sono inagibili buona parte delle camerate del CIE brindisino, teatro di una rivolta scoppiata nella notte tra lunedì 14 e martedì 15 marzo. Buona parte delle camerate sono state investite dalle fiamme: per bloccare i tunisini protagonisti della sommossa, la questura ha dovuto inviare, oltre ai vigili del fuoco, anche poliziotti dell’antisommossa e della digos.
I giornali danno notizia dell’incendio che ha distrutto il CIE solo sabato 19 marzo.
Gli immigrati sono stati ammassati nella sala mensa. Anche qui, è il modello Gradisca che fa scuola.
Lo dimostra la mancata chiusura del centro annunciata nei giorni scorsi da numerosi giornali. Il capo di gabinetto della prefettura, Erminia Cicoria, dice testualmente: “Restano lì dove sono”. Una chiusura momentanea del Centro salentino non è al momento in agenda.
Nella tarda serata di domenica 20 marzo un ragazzo tunisino si è tagliato la gola, dopo una discussione molto animata con l’ispettore del centro, che lo aveva preso di mira, con amenità del tipo “mi scopo tua sorella”. L’ambulanza venuta a soccorrere il ferito è stata mandata indietro dal medico del CIE. Il ragazzo si troverebbe ora in infermeria. Gli altri reclusi hanno annunciato uno sciopero della fame.
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Torino. Incendiata l’area verde del CIE

Lunedì 21 marzo. L’area verde del CIE di corso Brunelleschi è stata gravemente danneggiata da un incendio. Intorno alla mezzanotte i reclusi avrebbero dato alle fiamme materassi e suppellettili. Secondo quanto riferito da quotidiani ed agenzie il fuoco avrebbe reso inagibili tre su cinque moduli abitativi. I reclusi, secondo l’ormai collaudato “modello Gradisca” non sarebbero stati trasferiti altrove ma ammassati nell’area mensa. A poco più di venti giorni dalla rivolta del 28 febbraio, quando andò in fumo la sezione gialla, il CIE torinese torna ad infiammarsi.
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CIE di Bari. Lamette e libertà

Bari. Nel pomeriggio del 15 marzo un tunisino di 29 anni ingoia delle lamette: trasportato d’urgenza all’ospedale fugge, riguadagnando la propria libertà. In serata altri sei tunisini danno fuoco a materassi e suppellettili e vengono arrestati e tradotti in carcere per danneggiamento aggravato. Nella notte altri reclusi distruggono alcune suppellettili.
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Fiamme nell’area gialla del CIE di Torino

Lunedì 28 febbraio. Un incendio è divampato questa sera nell’area gialla del CIE di Torino. In quest’area sono concentrati parecchi immigrati sbarcati a Lampedusa dalla Tunisia.
Gran via vai di vigili del fuoco e auto della polizia intorno alla struttura di corso Brunelleschi.
Il vento di rivolta che attraversa le prigioni per immigrati diventa sempre più forte.
Seguiranno aggiornamenti.
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CIE di Gradisca. Demolito, stanza dopo stanza

Gradisca, domenica 27 febbraio.
“A quasi cinque anni dall’apertura, passati tra continue rivolte, atti di autolesionismo e violente repressioni, il CIE di Gradisca d’Isonzo è stato distrutto dai suoi stessi reclusi molti dei quali provengono dalle rivolte nordafricane.”

Questo l’incipit del comunicato dei compagni del Coordinamento Libertario Isontino. Ed è anche l’epilogo di una vicenda cominciata il 7 marzo del 2006, quando tra scontri, botte e lacrimogeni, venne fatto entrare a forza il primo “ospite” della ex caserma Polonio.
Negli ultimi tre giorni i reclusi hanno dato alle fiamme la loro prigione, demolendola, stanza dopo stanza. Nel pomeriggio di oggi sono andate a fuoco altre sei camere. Per i 105 “ospiti” restano solo 8 letti: gli altri sono ammassati senza nulla nelle aree comuni.
Un’altra bella manciata di sabbia è stata lanciata nel motore della macchina delle espulsioni.
Giornata di informazione e lotta il 12 marzo al CIE di Gradisca.
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Vincennes. Incendi, botte e sciopero della fame

Venerdì 25 febbraio. Nel Centro di detenzione amministrativa – CRA – di Vincennes gli immigrati sono in sciopero della fame da quattro giorni. Sono in lotta contro le espulsioni e le condizioni di vita. Il comandante della struttura “il baffo” ha cercato di calmare gli scioperanti, rispondendo ad un recluso che chiedeva di poter esporre le proprie ragioni ai giornalisti “tieni la bocca chiusa!
Intorno alle 19 c’è stato un principio d’incendio in una camera della prima sezione e poi anche nella seconda sezione. L’intera struttura resta al buio mentre gli elicotteri sorvolano il Centro.
Impossibile mettersi in contatto con la prima sezione: il telefono risulta irraggiungibile.
Un prigioniero, immobilizzato con un tonfa alla gola, è stato pestato e poi gettato con violenza a terra da poliziotti incappucciati. Non risulta sia stato portato all’ospedale.

Sabato 26 febbraio. Un prigioniero detta al telefono il comunicato redatto dagli immigrati di Vincennes.
“Noi, algerini, tunisini, egiziani, libici, marocchini, e di tutti gli altri paesi, continuiamo lo sciopero della fame cominciato quattro giorni fa nel centro di detenzione di Vincennes. Uno sciopero della fame sino alla morte.
Tra di noi ci sono persone che sono in Francia, “integrate” da 15 o 20 anni, tutta la loro famiglia è in Francia e ora la Francia li espelle.
Noi chiediamo la cessazione delle espulsioni verso quei paesi, dove governanti dittatori e corrotti ci hanno obbligato ad emigrare per poter sopravvivere.
Per alcuni di noi l’espulsione comporterebbe prigione e tortura.
Non ne possiamo più di molestie e controlli di polizia, chiediamo quello che oggi ci viene negato, una carta di soggiorno che ci permetta di vivere dignitosamente.
Le rivolte nei nostri paesi non impediscono ai consolati qui in Francia di firmare per la nostra espulsione. Ogni giorno sono programmati voli per le deportazioni.
In questa prigione veniamo maltrattati e, come è capitato la scorsa notte, pestati da agenti con il volto coperto. Qui non c’è più riscaldamento né acqua calda.
Chiediamo la protezione della Francia, aiuto e solidarietà, chiediamo la cessazione immediata della deportazioni verso i paesi del Nordafrica.

Noi continueremo lo sciopero della fame e ci opporremo ad ogni tentativo di deportazione, sia via mare che in aereo.
Vincennes, sabato 26 febbraio, ore 10.”
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CIE. Sommossa a Gradisca, labbra cucite a Bologna

Giovedì 14 febbraio. Questa mattina i reclusi del CIE hanno dato fuoco ai materassi, danneggiando gravemente quattro stanze della zona blu del CIE. A dieci giorni dall’ultima protesta il Centro torna ad infiammarsi: fanno da detonatore le condizioni di vita sempre più dure, la mancanza di coperte, il cibo scadente, la voglia di libertà che alita sempre forte tra le gabbie dei senza carte.

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Milano. Tentata fuga e rivolta al CIE

Milano, notte tra l’11 e il 12 dicembre. Hanno provato a scavalcare le recinzioni per riprendersi la libertà. Quando la polizia li ha bloccati hanno dato vita ad una rivolta: smontati i caloriferi li hanno usati come arieti spaccando tutto quello che potevano in due sezioni. Poi è partita la mattanza.
Un gruppetto di solidali si è radunato all’esterno del Centro per monitorare la situazione. Le ambulanze hanno portato via cinque immigrati, tre al S. Raffaele e due al S. Rita. Secondo quanto riferiscono le agenzie gli immigrati sarebbero stati dimessi in nottata. Non si sa se le sezioni danneggiate siano ancora agibili.
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Bari. Sommossa, incendio, due arresti

18 novembre 2010. Due immigrati tentano la fuga ma vengono intercettati ed arrestati. Nel tardo pomeriggio scoppia una sommossa, i reclusi si scontrano con la polizia, due moduli abitativi sono distrutti dalle fiamme. Continua a leggere

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Trapani. Nuova rivolta al CIE: cinque arresti

Martedì 9 novembre. Nella notte esplode una rivolta nel CIE Trapani, il “Serraino Vulpitta”. Mobili e suppellettili distrutte e lunghe ore di tensione. È finita con cinque arresti. Continua a leggere

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CIE di Torino. Sale la tensione

Mercoledì 27 ottobre. Metà dei settanta algerini, trasferiti dalla Sardegna con un volo speciale, dopo la rivolta che ha reso inagibile il CPA di Elmas, sono rinchiusi in corso Brunelleschi.
Tenuti isolati dagli altri prigionieri temono un’espulsione imminente. Il 20 ottobre il console algerino è andato al CIE per i “riconoscimenti” di rito. In genere questo è il segnale di una prossima deportazione.
Il 26 ottobre scoppia una protesta: gli immigrati fanno a pezzi quello che capita. Alla fine tre di loro vengono arrestati e tradotti al carcere delle Vallette. Continua a leggere

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Elmas. Devastato il CPA, occupato l’aeroporto

Lunedì 11 ottobre. Lo dicevamo da tempo. Il Centro di prima accoglienza di Elmas è una polveriera destinata ad esplodere. Il primo ottobre era andata in fumo una camerata, il 5 ottobre, un intero piano era stato danneggiato. Lunedì nel primo pomeriggio gli immigrati si sono impadroniti della palazzina. Alcuni hanno tentato la fuga, altri hanno invaso la pista dell’aeroporto civile di Elmas, dove è scoppiato il caos. Per ore è stata caccia all’uomo. Alla fine il bottino della polizia è stato di 11 immigrati, tutti arrestati e condotti in carcere. Gli altri non sono rimasti con le mani in mano: hanno fatto a pezzi tutto quello che potevano. Quando gli agenti dell’antisommossa sono riusciti ad espugnare l’ex caserma l’interno era un cumulo di macerie. Continua a leggere

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Cie di Gradisca: una bomba pronta a esplodere

Che la situazione all’interno del CIE di Gradisca sia esplosiva lo si sa da tempo. Sono stati i reclusi stessi a farlo sapere a tutti, anche a chi non voleva sentire, con continue rivolte, proteste e fughe. Rivolte che hanno ridotto significativamente la capienza della struttura come viene confermato anche in questi giorni dai giornali locali. E anche se pare che a breve partiranno i tanto annunciati lavori di “messa in sicurezza”, sappiamo bene che la voglia di libertà sarà più forte di qualsiasi barriera. Con buona pace degli sbirri di ogni risma. Leggi la rassegna stampa di oggi. Continua a leggere

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Sardegna. Nuova rivolta al centro di Elmas

Non cala la tensione ad Elmas, il centro di prima accoglienza per immigrati, nei pressi dell’eliporto di Cagliari. Il primo ottobre in una prima rivolta erano state danneggiate un paio di camerate. Questa notte è andato a fuoco un intero piano. Ora è inagibile. Ogni materasso bruciato è un gesto di sabotaggio concreto alla macchina delle espulsioni. Continua a leggere

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