appuntamenti gennaio 2012

Torino. Punto info sui CIE e chi ci lucra e processo a due anarchici

Lunedì 9 gennaio ore 17
Punto info sui CIE e chi ci lucra
in via Po 16

Giovedì 12 gennaio ore 10,30
processo a due anarchici
accusati di aver scritto sui muri della sede della Croce Rossa in via Bologna
“CRI complice dei pestaggi al CIE. Rompere le gabbie!”
Appuntamento al Palagiustizia
corso Vittorio Emanuele 130
L’udienza si terrà in aula 55 ingresso 22

Ascolta su Radio Blackout l’approfondimento con Marco Rovelli

I CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione per immigrati, sono le galere che lo Stato italiano riserva a quelli che non servono più. Sono posti dove finisci per quello che sei, non per quello che fai. Come nei lager nazisti. Raccontano che nei CIE stanno i delinquenti, ma mentono sapendo di mentire. Nei CIE rinchiudono chi ha perso il lavoro e, quindi, anche le carte, oppure chi un lavoro a posto con i libretti non l’ha mai avuto e quindi nemmeno le carte in regola.
Pensate se succedesse a voi. Perdete il lavoro – di questi tempi non è difficile – e un giorno venite intercettati da una pattuglia e poi “ospitati” in un CIE, sino a un anno e mezzo, in attesa di essere deportati lontano dalla vostra vita, dai vostri affetti, dai vostri figli.

Da sempre nei CIE soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi nel cibo sono pane quotidiano.
Chi gestisce un CIE, come la Croce Rossa a Torino, è complice di una macchina fatta per rinchiudere ed eliminare braccia in eccesso, per disciplinare con la sua stessa esistenza le vite di tutti gli altri.
Nel maggio del 2008 un immigrato tunisino, Fathi, nel CIE di Torino ci è morto. Stava male ma non è stato curato, stava male ma è stato lasciato morire senza cure nella sua cella.
§I suoi compagni chiesero aiuto per tutta la notte, ma nessuno li ascoltò. “Gridavano” – diranno poi – come “ma nessuno ci ascoltava, come cani al canile”
Il giorno dopo il colonnello e medico Baldacci, responsabile della Croce Rossa, dichiarò alla stampa che “non bisogna badare a quello che dicono gli immigrati, perché mentono sempre”.

Nella Germania nazista si chiamavano kapò, nell’Italia democratica sono “operatori umanitari”. Per gli operatori umanitari della Croce Rossa la gestione del CIE è un lucroso affare. Un affare per cui val la pena chiudere un occhio davanti a pestaggi e umiliazioni. E quando ci vuole si da pure una mano, come accaduto più volte al CIE di Torino.

Oggi, quelli che si salvano dal mare, dai trafficanti d’uomini, dalle guardie di frontiera ma non da uno Stato che li definisce “illegali” vengono rinchiusi nei CIE, i Centri di Identificazione ed Espulsione. I piemontesi che andavano in Argentina finivano negli “Alberghi” degli immigrati. Felicia Cardano riporta i racconti sentiti in famiglia: “Mio padre arrivò a Buenos Aires nel 1889 a bordo del ‘Frisca’. Durante il viaggio morirono il suo migliore amico e altre trenta persone. Lo misero all’Hotel della Rotonda, un enorme baraccone di legno, dove si stava stipati come sardine insieme ai pidocchi e alla puzza.”.

Sono storie di ieri, storie dei tanti piemontesi che partirono alla volta del Sudamerica per cercare “suerte”, fortuna, ma videro la morte in faccia, poi le baracche/prigioni, il disprezzo, lo sfruttamento bestiale. Tanti scappavano dalla guerra, la prima, quella che si mangiò la vita di tanti giovani contadini ed operai mandati a morire per spostare un confine.
Tanti di quelli che oggi arrivano qui, da noi in Piemonte, fuggono le guerre e la miseria come i nostri bisnonni. Chi arriva ha negli occhi il deserto, le galere libiche, il mare, i pescherecci che passano senza fermarsi, i militari che vanno a caccia di uomini. Hanno negli occhi il ricordo dei tanti lasciati per strada, morti senza tomba né umana pietà. Pochi di loro trovano “suerte”, fortuna: per i più c’è lavoro nero, salari infimi, paura, discriminazione. Chi viene pescato finisce nei CIE e di lì via, indietro, ancora verso l’inferno.

Il diritto legale di vivere nel nostro paese è riservato solo a chi ha un contratto di lavoro, a chi accetta di lavorare come qui nessuno più era obbligato a fare. Oggi i migranti, con permesso o in nero, sono i nuovi schiavi di quest’Europa fatta di confini e filo spinato. Gente la cui vita vale poco o nulla.
È scritto nelle leggi. Leggi razziste.

Le lotte degli immigrati rinchiusi nei CIE hanno segnato l’ultimo decennio. Una lunga resistenza, spesso disperata, fatta di braccia tagliate, bocche cucite, lamette o pile ingoiate. Qualcuno ha preferito la morte alla deportazione e l’ha fatta finita. In tanti si sono ribellati, bruciando materassi, distruggendo suppellettili, salendo sul tetto. Un po’ ovunque ci sono stati tentativi di fuga.
Ovunque, nelle gabbie per immigrati, si levano urla. Urla nel silenzio.
È tempo di rompere il silenzio.

Viviamo tempi grami, tempi feroci e folli, tempi di guerra. La guerra contro i poveri e gli immigrati, la guerra contro chiunque si opponga alla barbarie.
Ci vogliono nemici dei lavoratori immigrati, per farci dimenticare che il nemico, quello vero, sfrutta e comanda le nostre vite, siede nei consigli di amministrazione delle aziende, sui banchi del governo.
Il filo spinato e le mura dei CIE sono il simbolo concreto della frontiera d’odio che attraversa la nostra società. Una delle tante frontiere da abbattere.

Se un giorno ci chiederanno “dov’eravate quando la gente moriva in mare e nel deserto? Dov’eravate ai tempi dei lager e delle deportazioni? Vorremmo poter rispondere “ero lì, con gli altri, a resistere”.

Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torino
Corso Palermo 46 – ogni giovedì dalle 21
338 6594361 fai_to@inrete.it

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Venerdì 20 gennaio ore 9
sentenza al processo per scritte alla Croce Rossa
Al palagiustizia
corso Vittorio Emanuele 130
l’udienza si terrà in
aula 56 ingresso 22

I due compagni sono accusati di aver scritto sui muri della sede della Croce Rossa in via Bologna
“CRI complice dei pestaggi al CIE. Rompere le gabbie!”

Nell’udienza del 12 gennaio sono stati sentiti i testimoni dell’accusa: un poliziotto che ha detto di aver visto le scritte sui muri, Antonino Calvano, ex responsabile della struttura di via Bologna, che ha dichiarato di aver visto le scritte sui muri, il maggiore della Croce Rossa militare, Liguori, che ha visto anche lui le scritte sui muri.
Infine Cambria della Digos, che ha riconosciuto senza alcun dubbio gli autori delle scritte, anarchici a lui ben noti perché tenerli d’occhio è il suo mestiere. Non ha problemi il sovraintentente ad ammettere che il suo lavoro consiste nel tenere sotto controllo gli oppositori politici. Lo fa tanto bene da riconoscerli guardando le riprese della telecamera della ditta di sorveglianza, la CGS. Il video sgranato e grigio, proiettato in aula, mostra tre persone che fanno scritte e scattano foto.
Nessuno li potrebbe riconoscere, tanto le immagini sono confuse. Occhio di lince Cambria, il poliziotto che di mestiere osserva gli anarchici, invece non ha dubbi: sono proprio quei tre. Gli stessi che ha osservato decine di volte mentre manifestavano contro i CIE e chi ci lucra.
Anche noi abbiamo pochi dubbi: in quelle figure grigie e sfocate si sono di sicuro riconosciuti tutti coloro che lottano contro il razzismo di Stato, che condanna ad un anno e mezzo di reclusione amministrativa uomini e donne colpevoli di non essere riusciti ad ottenere il pezzo di carta che li rende legali. Li condanna ad una prigione che è anche un lucroso business per chi, come la Croce Rossa, ne gestisce numerosi.

Il giudice ha respinto l’istanza del difensore che aveva chiesto una perizia sul video per fare un’analisi fisiognomica.
Il PM ha chiesto una pena di 1000 euro di multa.
Il giudice si è riservato di decidere.