CIE. Cosa bolle nella pentola del governo?
Riportiamo in questa pagina in costante aggiornamento le cronache e le riflessioni delle ultime settimane sul fronte del CIE, per cercare di capire cosa stia davvero bollendo nella pentola del governo, dopo la campagna mediatica che ha ri-messo al centro dell'attenzione i centri per senza carte, le leggi razziste del nostro paese, la difficoltà del governo a fare fronte ad una spesa enorme, tra gestione dei centri, espulsioni, ristrutturazioni continue dei CIE danneggiati o distrutti dalle rivolte.
Siamo convinti che il governo intenda liberarsi della patata bollente, facendo sì che tutto cambi, affinché tutto resti come prima.
Proviamo a vedere come, andando oltre i toni intollerabilmente melensi dei media.
Iniziative contro il CIE di Gradisca in maggio e giugno
A pochi chilometri da noi a Gradisca d’Isonzo dal 2006 esiste un CIE (centro di identificazione ed espulsione). In questa prigione sono reclusi in condizioni durissime decine di cittadini non dell’unione europea per il solo motivo di non possedere (o non possedere più) un permesso di soggiorno valido. Divieto di leggere, di comunicare con l’esterno, psicofarmaci, privazioni e soprusi di ogni tipo sono pane quotidiano e provocano tra l’altro continui episodi di autolesionismo. Riteniamo importante far conoscere l’esistenza di questi luoghi e le logiche che li governano, promuovendo iniziative di informazione e denuncia. Invitiamo tutti e tutte a partecipare e a contribuire in modo attivo alle iniziative che si terranno nei prossimi giorni: Trieste, sabato 18 maggio dalle 17 in via delle Torri (dietro la chiesa di s.antonio) Pordenone, sabato 18 maggio dalle 17 in p.tta Cavour Udine, sabato 24 maggio al nuovo spazio sociale in viale Osoppo Le iniziative vogliono anche promuovere la partecipazione al presidio regionale che ci sarà sabato 1 giugno nel pomeriggio di fronte al CIE di Gradisca indetto dal Coordinamento regionale contro i CIE.Sabato 20 aprile – Il CIE tra la movida di Torino
ore 19,30 aperibenefit antirazzisti sotto processo ore 20,30 assemblea sui CIE con testimonianze ore 22 presidio antirazzista itinerante per portare il CIE in mezzo alla città. Appuntamento alle 19,30 in largo Saluzzo "Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!" Questo striscione è apparso lo scorso mese davanti alla villa di Antonio Baldacci, responsabile del CIE di Torino. Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto. La mattina dopo Fatih era morto. Non venne eseguita nessuna autopsia. Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito. Due giorni dopo il colonnello e medico Baldacci dichiarerà "gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa". Parole che ricordano quelle degli aguzzini di ogni dove. Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si recò a casa Baldacci per un "cacerolazo". Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni. La protesta di persone indignate per una morte senza senso. Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade. I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell'amministrazione comunale. L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione. L'occupazione simbolica dell'atrio del Museo egizio - 29 giugno 2008 - per ricordare l'operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione - 17 luglio 2008 - dell'assessore all'integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata - 11 luglio 2008 - contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta - 20 marzo 2009 - alla lavanderia "La nuova", che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l'elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti. Nel CIE di Torino negli ultimi due mesi si sono susseguite le lotte e le rivolte. Tutte le sezioni del CIE sono state gravemente danneggiate. In febbraio la polizia ha pestato, gasato gli immigrati in rivolta dopo un fallito tentativo di fuga. Sei sono stati arrestati. Nonostante la repressione le lotte non si sono fermate. Per evitare la deportazione qualcuno si taglia, altri salgono sul tetto. Il CIE è quasi inagibile. In alcune sezioni gli immigrati dormono su materassi gettati in terra. La scorsa settimana tutti i reclusi, ormai solo 47, hanno fatto uno sciopero della fame di due giorni. Per la libertà. Nei CIE le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all'espulsione da lunghi anni sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell'Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi sia un'urgenza che ci riguarda tutti. Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un’aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, continueremo a portare il CIE per le strade di Torino. Antirazzisti contro la repressione Ti ricordi di Fatih?Mercoledì 27 febbraio – processo agli antirazzisti
Mercoledì 27 febbraio prima udienza del processo a 67 antirazzisti torinesi
La Procura mette in scena un processo alle lotte.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese, in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si traducono in scelte politiche scomode.
Se sperano di spaventarci si sbagliano.
In questi anni le iniziative di opposizione al razzismo, alle politiche securitarie, al militarismo allo sfruttamento si sono moltiplicate sul territorio.
L’urgenza politica e morale di allora è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri.
Porteremo il loro processo nelle strade di questa città!Sabato 2 marzo – Portiemo il CIE nel salotto della città! – presidio antirazzista
Il 27 febbraio e cominciato il primo di due processi agli antirazzisti che, tra il maggio del 2008 e il maggio del 2009, attraversarono l'esperienza dell'Assemblea Antirazzista Torinese.
La lotta contro i CIE ha segnato alcuni momenti importanti di quell'anno ed è oggi un fronte sempre più caldo di resistenza al razzismo di Stato nella sua concreta, quotidiana, materialità.
La morte di Fathi, un immigrato tunisino lasciato senza cure nell'allora "nuovo" CPT di Torino, fu il banco di prova di una relazione politica ancora embrionale.
La lotta che ne seguì fece da catalizzatore per quelle che seguirono.
Oggi le protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare della struttura detentiva di corso Brunelleschi, è entrata nel fascicolo del processo.“Il CIE nel salotto della città”
Il 2 marzo con un presidio itinerante per il centro cittadino porteremo quella storia negata e dimanticata in mezzo alla città.
Appuntamento alle 15 in piazza Castello.
Sabato 23 febbraio punto info solidale con gli antirazzisti sotto processo
Sabato 23 febbraio punto info sul processo a 67 antirazzist*
a Porta Palazzo - sotto i portici all'angolo con corso GiulioRompere il silenzio
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Tre anni fa la Procura giocò la carta dell’associazione a delinquere ed arrestò sei antirazzisti. Il teorema non resse in Cassazione ma la Procura voleva comunque mandare alla sbarra l’Assemblea Antirazzista torinese.
Oggi la Procura mette in scena un processo alle lotte. In due atti.
Il primo atto va in scena il 27 febbraioArance amare – mostra itinerante per i mercati di Torino – 26 gennaio 2013
Le arance, i mandarini, le clementine che fanno mostra di se nei mercati di Torino, sono state raccolte da lavoratori stagionali, che vengono pagati 50 cent alla cassetta di arance, 1 euro per cassetta di mandarini. Ogni cassetta pesa una media di 18/20 chili. In una giornata di lavoro la media arriva a 25 euro. In nero, non tutti i giorni ma solo quelli che il caporale ingaggiato dai padroni decide di sceglierti. Se alzi la testa, se reclami per i ritmi o per la paga, puoi anche andartene, perché nessuno ti chiamerà più.
I media ci raccontano di migrazioni epocali, di emergenze continue per giustificare le condizioni di vita indecenti di questi lavoratori. Per loro non ci sono tende o gabinetti funzionanti quando arrivano nella piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi. Di affittare una casa non se ne parla nemmeno: a Rosarno o a San Ferdinando una stanza costa come nel centro di Milano o Roma.
In realtà basterebbero pochi soldi per mettere su strutture decenti, basterebbero liste publiche per tagliare fuori i caporali, basterebbe che chi guadagna, e bene, sul lavoro degli stagionali, ci mettesse qualcosa del suo per garantire loro un letto e una doccia. Invece no. Così le tendopoli scoppiano subito, circondate da baracche fatte di lastre di amianto e teli di plastica, così per i bisogni ci sono buche a cielo aperto.
Quella dell'emergenza è una bufala che ci raccontano perché è più facile immaginare una fame tutta africana, che vedere la realtà. La realtà è fatta di operai del nord che hanno perso il lavoro e vengono a fare la raccolta per rimediare un salario, la realtà è fatta di richiedenti asilo che attendono da oltre due anni la risposta che consentirebbe loro di andare via, di cercarsi un lavoro stabile. La guerra in Libia è finita da due anni, ma i profughi di quella guerra vivono ancora in un limbo apolide.
Se vedessimo la realtà vedremmo che la condizione degli africani di Rosarno è ormai la condizione di tanta parte dei lavoratori italiani. L'unica emergenza è quella quotidiana di uno sfruttamento senza limiti, perché per i padroni non conta il colore delle pelle, ma quello dei soldi.
Le arance che mangiamo sono sempre più amare.Sabato 26 gennaio mostra itinerante e volantinaggio nei mercati delle zone popolari di Torino.
Appuntamento alle 9,30 in corso Palermo 46 - per info: 338 6594361Frontiere d’Europa. 30 nuovi centri di detenzione in Grecia
Grecia. Il ministro della protezione civile M. Chrysohoidis, ha annunciato ieri l'apertura di trenta nuovi centri di detenzione per immigrati in collaborazione con il ministero degli esteri.
Il ministro si è incontrato con i governatori di dieci province greche per verificare la loro disponibilità ad ospitare i centri. Ha anche fornito assicurazione che l'Unione Europea si è impegnata a versare 250 milioni di euro per i prossimi tre anni.
Per ciascuno dei centri sarà istituito un apposito presidio di polizia di almeno 150 agenti oltre a 70 guardie private, ogni 250 immigrati detenuti.
Secondo il piano presentato ogni centro sarà diviso in quattro sezioni, in ciascuna delle quali saranno rinchiusi 250 immigrati. Ognuno dei nuovi lager "ospiterà" 1000 senza carte, per un totale di 30.000 prigionieri.
La Grecia si candida così al ruolo di paese cuscinetto tra i paesi più ricchi dell'Unione e le aree di emigrazione. Un avamposto di frontiera, ben pagato per il servizio reso.-
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Il 9 dicembre dei profughi
Quando, dopo l’incontro del 26 novembre con l’assessore Tisi, la decisione sulle richieste di residenza dei rifugiati e profughi che occupano l’ex MOI, era stata rimandata al 9 dicembre, nessuno o quasi pensava alla coincidenza con la serrata di negozi … Continua a leggere
Torino, Trapani e Modena. Cronache degli ultimi giorni
Torino. Un’estate molto calda nei CIE d’Italia. Dopo la rivolta che ha scosso il CIE di Modena venerdì 19, nella notte tra domenica 21 lunedì 22 è scoppiata una rivolta nel Cie di corso Brunelleschi. I primi segnali vengono dall’area bianca, ristrutturata … Continua a leggere
Torino. Una piazza antirazzista
Venerdì 14 giugno, largo Saluzzo. Un’ottantina di persone hanno animato l’iniziativa antirazzista promossa dalla Cub in largo Saluzzo. All’assemblea di piazza hanno partecipato i ragazzi dell’ANPI della zona, che hanno raccontato della necessità che la memoria della Resistenza si coniughi … Continua a leggere
Fatih. Gli antirazzisti non dimenticano
Sono passati cinque anni. La storia di Fatih, l’immigrato tunisino morto nel CIE – allora CPT – di corso Brunelleschi nella notte del 23 maggio 2008, non la ricorda quasi più nessuno. Fatih era un immigrato tunisino senza documenti. Nella … Continua a leggere
Torino. Il CIE nella movida
Sabato 20 aprile. Pioggia e temporali concedono una breve tregua. Ci ritroviamo sotto la tettoia di piazza Madama, perché fuori ancora goccia e non è il caso di rischiare largo Saluzzo. Un po’ di cose buone da mangiare e poi … Continua a leggere
200 profughi occupano all’ex villaggio olimpico
Torino, 30 marzo 2013. Questa mattina 200 profughi rimasti in strada dopo la fine “dell’emergenza nordafrica”, hanno occupato una casa del villaggio olimpico, la “ex Moi” in via Giordano Bruno 201.
La palazzina blu, rimasta vuota per 7 anni, da oggi sarà la nuova casa per uomini e donne, che il governo italiano ha buttato in strada dal 28 febbraio, quando per decreto è stata fissata la fine della protezione. Chiuse le strutture di accoglienza, ai profughi sono stati dati 500 euro in cambio di una firma su documento che liberava lo Stato italiano di ogni responsabilità nei loro confronti.
Nonostante la spesa esorbitante di un miliardo e 300 milioni di euro, ai profughi della guerra in Libia non è stato garantito alcun percorso di inserimento nella nostra società. Ancora una volta “l’emergenza umanitaria” è stata una buona occasione di lucro per le tante organizzazioni del terzo settore che l’hanno gestita.
Occupare una casa vuota è stata la scelta di lotta e di autonomia di gente che lo Stato italiano voleva invisibile, dispersa tra le vie di una nuova cavalcata per l’Europa delle frontiere, nascosta in qualche buco per clandestini, accampata nelle campagne della raccolta e delle schiavitù. Continua a leggere
Fiamme al CIE di Torino
Sabato 22 febbraio. In prima serata alcuni reclusi tentano di scappare scavalcando le grate, ma vengono ripresi dalla polizia. La reazione degli altri prigionieri non si fa attendere: alcuni salgono sui tetti, altri incendiano le camerate di alcune sezioni. La polizia spara tanti gas lacrimogeni da rendere l’aria irrespirabile anche nelle zone vicine al CIE.
Un gruppetto di solidali si raduna sotto il CIE ma viene caricato da una squadra dell’antisommossa aizzata da una delle vicine di casa del CIE, indignata per la rumorosa solidarietà degli antirazzisti. Nessun turbamento per le urla, il gas e la violenza della polizia oltre il muro.
Il giorno dopo quattro rivoltosi saranno arrestati e condotti in carcere.
Domenica 24 va a fuoco l’area gialla. 20 dei 35 reclusi sono obbligati a dormire nei locali della mensa.
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Orrori quotidiani al CIE di Torino
Stefania Gatti è un giovane avvocato, al CIE di Torino, per visitare un suo assistito.
Mentre aspetta assiste ad una deportazione. Uno uomo viene condotto nell’atrio: ha con se tutte le sue cose e sa cosa lo aspetta. E’ tranquillo, sin troppo tranquillo. Poco dopo si sentono le urla dalla stanzetta in cui è rinchiuso. Quando si apre la porta Stefania vede l’uomo coperto di sangue: si è tagliato per cercare di evitare di essere imbarcato a forza su un aereo diretto a Tunisi. La sua vita è qui, non là. Dopo la medicazione viene comunque portato via.
I poliziotti si scusano con l’avvocato per il ritardo. “Sa, queste cose qui succedono tutti i giorni”.
Orrori quotidiani. La banalità del male di fronte alla quale l’indifferenza è complicità.
Ascolta la testimonianza di Stafania Gatti: Stefania
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Bravi Ragazzi per un pogrom. Alle radici del razzismo contro i rom
Riprendiamo, dal sito di Radio Blackout, questo articolo sulle radici profonde del razzismo contro i rom
Nei giorni scorsi la polizia ha arrestato due ultras juventini accusandoli per il pogrom che lo scorso dicembre mandò in fumo le miserabili baracche dove vivevano i rom nel quartiere Le Vallette di Torino.
I due arrestati sono del gruppo “Bravi Ragazzi”, una delle poche formazioni ultas juventine di sinistra.
Ricordiamo i fatti.
L’attacco incendiario che il 17 dicembre ha mandato in fumo il campo rom della Continassa a Torino è l’emblema del disprezzo diffuso verso stranieri e immigrati poveri che si allarga ogni giorno di più. Spesso a farne le spese sono i rom.
Siamo alle Vallette. Un quartiere popolare, di quelli dove campare la vita non è mai stato facile. Da un lato il carcere, la discarica sociale dove tanti nati qui finiscono con trascorrere pezzi di vita; dall’altra parte c’è il nuovo stadio della Juve, dove le tensioni sociali si stemperano tra tifo e ginnastica ultrà.
In questo quartiere si è consumato un pogrom.
Una ragazzina racconta un bugia, uno stupro mai avvenuto, punta il dito su due rom, i rom che vivono in baracche fatiscenti tra le rovine della cascina della Continassa.
In questa bugia è il nocciolo di un male profondo. Una famiglia ossessionata dalla verginità della figlia sedicenne, al punto di sottoporla a continue visite ginecologiche, incarna un retaggio patriarcale che stritola la vita di una ragazza. Lei, per timore dei suoi, indica nel rom, brutto, sporco, puzzolente, con una cicatrice sul viso l’inevitabile colpevole.
In pochi giorni nel quartiere cominciano a girare i soliti volantini anonimi dei “cittadini indignati”. Da anni in città i comitati più o meno spontanei animati da fascisti, postfascisti e leghisti, soffiano sul fuoco, promovendo marce per la legalità, contro lo spaccio, contro gli zingari. Tutte manifestazioni dalla cui trama sottile emerge la xenofobia, la voglia di forca .
La segretaria dei Democratici torinesi, Brangantini, ha preso le distanze dal corteo indetto per “ripulire” la Continassa, ma quella sera sfilava in prima fila. Con lei c’era tanta “brava gente” accecata dall’odio razzista.
All’arrivo dei vigili del fuoco la folla inferocita li ha fermati a lungo. Ci hanno impiegato tutta la notte a spegnere le fiamme che hanno distrutto il campo.
Quando si punta il dito su un intero popolo, quando tutti sono colpevoli perché due sono sospettati di aver stuprato una ragazza, il passo successivo sono le deportazioni, i lager, le camere a gas. La pulizia etnica. Se sei diverso e povero la tua vita diventa sempre più difficile.
L’estendersi del razzismo e della xenofobia allarga una frattura sociale sulla quale si incardina il consenso verso leggi che annullano anche nella forma l’assunto liberale dell’eguaglianza.
I media fanno la loro parte nel creare un clima di emergenza permanente, accendendo i riflettori sugli immigrati, cui cuciono addosso lo stereotipo del criminale.
I fascisti sguazzano in questo pantano, consolidando la propria presenza attiva, specie in certe zone del paese, ma sarebbe miope non vedere che il male, nella sua terrificante banalità, è ben più profondo. Investe a fondo il sentire comune di interi quartieri, anche tra la gente di “sinistra”, come i Bravi Ragazzi della Continassa.
Da anni i pogrom incendiano l’Italia. Bruciano le baracche e corrodono la coscienza civile. Qualcuno agisce, troppi plaudono silenti e rancorosi, certi che saranno più sicuri. Al riparo dalla povertà degli ultimi.
Radio Blackout ne ha discusso con Paolo Finzi della redazione di A, curatore del DVD e libretto “A forza di essere vento” dedicato allo sterminio nazista di rom e sinti.
Processo agli antirazzisti torinesi primo atto
Si è svolta oggi l’udienza preliminare del processo agli antirazzisti torinesi.
Erano presenti solo sette imputati, di cui uno detenuto per antifascismo e un’altra ai domiciliari per la lotta No Tav.
Si sono costituiti parte civile i curatori fallimentari del ristorante il Cambio, il capo dei comitati spontanei razzisti Carlo Verra e la consigliera di circoscrizione del PDL Patrizia Alessi.
Gli avvocati della difesa hanno presentato alcune eccezioni di natura procedurale per mancata notifica, l’accoglimento delle quali ha portato al rinvio al 24 maggio dell’udienza.
Il mega processo che mette insieme alcuni episodi di lotta antirazzista – ma non solo – è stato spezzato in due.
In questa prima tranche sono state messe insieme alcune tra le tante manifestazioni, proteste, azioni, contestazioni che hanno – almeno in parte – attraversato il percorso dell’assemblea antirazzista torinese. Altre iniziative, dello stesso tenore e dello stesso ambito, saranno oggetto di altri procedimenti. Chiaro l’intento di prendere due piccioni con una fava giuridica.
Da un lato proporre, pur senza riproporla formalmente, la chiave associativa negata dalla cassazione, dall’altro investire gli stessi antirazzisti di una miriade di procedimenti separati, negando loro almeno il beneficio della continuità, derivante dell’accorpamento.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese e in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
Non a caso il regista dell’intera operazione è il PM Padalino, noto per le sue simpatie leghiste e per proposte di stampo teneramente nazista come il rilievo delle impronte ai bambini e alle bambine rom.
L’urgenza politica e morale della lotta antirazzista va al di là della repressione che colpisce chi ha tentato di mettere sabbia nel meccanismo feroce che stritola le vite degli immigrati per tenerli sotto costante ricatto.
In questi anni è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, un corpus di leggi che stabilisce che viaggiare è un reato, cercare un futuro migliore un’ambizione criminale.
Di fronte alle nuove leggi razziali ribellarsi e sostenere chi si ribella è un dovere. Ineludibile.
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CIE di Torino. Fuga di mezzanotte
Torino 1 gennaio. Dopo l’evasione di massa della notte tra il 24 e il 25 dicembre i reclusi del Centro di corso Brunelleschi, ci hanno riprovato la notte di capodanno. Questa volta la questura non si è fatta cogliere impreparata: decine di uomini sono entrati nelle gabbie prima della mezzanotte. Un’azione preventiva per scoraggiare ogni tentativo di fuga. Nonostante le premesse decisamente poco incoraggianti, dalla sezione blu ci hanno provato lo stesso. Saltate le serrature hanno affrontato la polizia lanciando quello che potevano in risposta ad idranti e lacrimogeni. Nella confusione quattro (forse cinque) immigrati sono riusciti a saltare il muro facendo perdere le proprie tracce.
Un ragazzo senegalese è stato intercettato dalla polizia e arrestato. Il giorno successivo è stato scarcerato con l’accusa di resistenza e lesioni.
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CIE di Torino. Vacanze di Natale
Ci avevano provato la notte del 24 dicembre, ma era andata male. I poliziotti di guardia al Centro di corso Brunelleschi erano riusciti a bloccare un tentativo di fuga. Nell’area rossa usano gli idranti e pestano duro due prigionieri.
La sera dopo, è il 25 dicembre, i secondini sono pochi, chiusi nei loro gabbiotti, quando, profittando che le serrature forzate la notte prima non erano state riparate, gli immigrati senza carte hanno aperto le porte delle varie casette che li rinchiudono, e si sono riversati lungo la recinzione, saltandola in più punti.
Un ragazzo si è ferito cadendo dal muro ed è stato subito riacciuffato, altri tre, che avevano trovato rifugio in un capannone, sono stati individuati, fatti scendere con una scala dei vigili del fuoco e riportati nel centro.
Molti altri, forse più di venti, sono corsi via veloci facendo perdere le proprie tracce.
Se i numeri verranno confermati potrebbe essere stata una fuga più numerosa dopo quella del 22 settembre.
Una lunga vacanza di Natale. Un buon augurio per l’anno che viene.
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Torino. Contro pogrom razzisti e stragi fasciste
Torino. Contro pogrom razzisti e stragi fasciste
Torino 17 dicembre. Siamo alle Vallette, il quartiere popolare, che ha i suoi emblemi in quella discarica sociale che è carcere e nel nuovo stadio della Juve, dove le tensioni sociali si stemperano tra tifo e ginnastica ultrà.
In questo quartiere il 10 dicembre si è consumato un pogrom.
Una ragazzina racconta un bugia, uno stupro mai avvenuto, punta il dito su due rom, i rom che vivono in baracche fatiscenti tra le rovine della cascina della Continassa. In pochi giorni nel quartiere cominciano a girare i soliti volantini anonimi dei “cittadini indignati” che invitano a “ripulire la Continassa”.
Il corteo, in prima fila la segretaria cittadina del PD, Bragantini si dirige al campo. I rom fuggono, la polizia sta a guardare. Partono le molotov che si mangiano tutto.
Sabato 17 prima al mercato di piazza Montale, poi in quello di corso Cincinnato, c’è un volantinaggio di solidarietà con le vittime della barbarie razzista. Tanti si fermano, prendono il volantino, dichiarano solidarietà.
Nel pomeriggio l’appuntamento, organizzato da numerose associazioni antirazziste e gruppi politici, è in piazza Castello per un presidio di solidarietà con i rom della Continassa e con i due africani ammazzati da un fascista due giorni prima a Firenze.
Il presidio si trasforma in corteo spontaneo: alla testa un folto gruppo di senegalesi con due striscioni con i nomi dei due ambulanti uccisi. Tra slogan e musica il corteo si dipana per il centro.
Continua a leggere
Torino. Come bufali impazziti
Sabato 1 ottobre. Nel prato di fronte al CIE di corso Brunelleschi l’atmosfera è serena. Se non fosse per quel muro, mille volte segnato da graffiti di libertà, mille volte cancellati e mille volte rifatti, sarebbe un pomeriggio come tanti in quest’estate tardiva.
C’è una settantina di persone: antirazzisti di un po’ tutte le aree, giovani immigrati che le gabbie le hanno assaggiate, famiglie, specie peruviane venute a sostenere la lotta di Ysmael, un attivista molto noto anche al di fuori della sua comunità. Ysmael è rinchiuso in una delle gabbie e da settimane si sta battendo perché la sua vita è a Torino e non la vuole lasciare. Il 27 settembre hanno provato a caricarlo su un aereo diretto a Lima. Pareva l’epilogo scontato della vicenda ma Ysmael ha cominciato a gridare, a divincolarsi, finché la sua protesta ha attirato l’attenzione del pilota, che gli ha fatto la domanda più ovvia, gli ha chiesto se voleva partire per il Perù. Di fronte al suo diniego ha ordinato di farlo sbarcare: i poliziotti non hanno potuto fare altro che ricondurlo al CIE, nella cella di isolamento nella quale ha trascorso buona parte della sua prigionia.
Il presidio di sabato è un segnale di solidarietà che mette insieme tanta gente diversa, accomunata dalla volontà di chiudere i CIE, di dare sostegno alla lotta di tutti i reclusi, in questi mesi sempre più forte in ogni angolo d’Italia.
Che gli uomini in divisa siano maldisposti lo si capisce sin dal primo momento: controviale bloccato dalle camionette, antisommossa schierati con casco e manganello, funzionari in fascia tricolore, quella che, almeno a Torino, mettono solo per poter dichiarare legittima una carica.
Musica, interventi, slogan. Niente altro.
Il pretesto lo fornisce un cucciolo di cane, un quattro zampe impertinente che non ha ancora capito che ci sono limiti che non è salutare valicare. Il cucciolo attraversa la strada, si dirige verso gli uomini in divisa, una ragazza lo rincorre gridando “vado a prendere il cane!”. I gentiluomini in divisa fanno partire qualche insulto, qualcuno risponde. Poi calano i caschi e partono.
Sembravano “una mandria di bufali impazziti” scriverà il giorno dopo una donna. Ha una mano gonfia: sin è guadagnata una manganellata quando ha sporto il braccio nel vano tentativo di fermare un poliziotto che si stava accanendo contro il figlio di 15 anni, che, come lei, era seduto nel prato. Al pronto soccorso al ragazzo metteranno il collare e daranno 7 giorni di prognosi.
I feriti sono numerosi. Una compagna viene colpita ripetutamente alla testa, si ripara con la mano e si aggiudica una frattura scomposta al mignolo. Gli altri hanno sul viso e sul corpo i segni dei colpi ricevuti.
Un folto gruppo di antirazzisti viene caricato per centinaia di metri lungo via Monginevro, affollata di auto e bus, come in ogni sabato pomeriggio. Solo all’angolo con corso Montecucco i funzionari richiamano la forza.
In questura devono aver deciso. Basta presidi solidali davanti ai CIE: i prigionieri devono restare isolati, come i tunisini rinchiusi nelle navi-prigione dopo aver incendiato il centro di contrada Imbriacola.
Diciamolo chiaro. A questi picchiatori in divisa, dopo quattro mesi rinchiusi nella gabbia di cemento e filo spinato alla Maddalena di Chiomonte, qualche soddisfazione bisognava pur darla. In Valsusa i manganelli, i calci in faccia, lo scricchiolar d’ossa sinora glielo hanno potuto concedere solo a piccole dosi. Gas sparati ad altezza d’uomo, qualche sasso dall’autostrada ma nulla più. In via Grattoni sanno che la Valsusa è una polveriera e non hanno il coraggio di scatenare i bufali.
Le rivolte e le fughe degli immigrati si stanno moltiplicando in tutta Italia, spezzando reti e rompendo le gabbie. A Torino il 22 settembre si sono ripresi la vita in 22.
La voglia di libertà brucia le frontiere, simboliche e reali messe a guardia di un ordine feroce. Spezzarlo è una scelta morale ben prima che politica.
Ormai lo stanno imparando anche i cuccioli di cane: c’è un lato sbagliato della strada, quello che corre lungo i muri cinti di filo spinato, difesi da uomini armati e cattivi.
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Torino. Fuga dal CIE
Giovedì 22 settembre. La notte scorsa i prigionieri del Centro di Identificazione ed espulsione di corso Brunelleschi hanno tentato una fuga di massa. La seconda in meno di un mese.
In contemporanea hanno tentato di abbattere le porte delle recinzioni delle varie sezioni. In parecchi hanno scavalcato dall’uscita secondaria di corso Brunelleschi.
Alcuni ce l’hanno fatta, altri sono stati riacciuffati. Secondo La Stampa on line hanno riconquistato la libertà in 22, mentre altri 7 sono stati tratti in arresto con l’accusa di resistenza e lesioni.
Durante la notte, alcuni abitanti affacciati al balcone di corso Brunelleschi gridavano ai poliziotti “almeno questi li avete ripresi”.
Come in videogame. Un gioco feroce dove si smarrisce l’umanità.
Oltre quelle gabbie ci sono uomini e donne. Chi lo dimentica è complice.
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Torino. Furia d’agosto al CIE
“Noi da qua non scendiamo. L’altra sera la polizia ci ha sparato i lacrimogeni”. È una torrida domenica di agosto, ancora più torrida per i reclusi del CIE di corso Brunelleschi che nella notte sono saliti sul tetto delle aree bianca e blu. Chi parla è un immigrato appollaiato lassù, che spera che i microfoni di radio Blackout possano rompere il muro di silenzio e indifferenza che stringe le maglie delle gabbie che rinchiudono le vite dei senza carte.
Tutto comincia venerdì 19 agosto. Nella notte scoppia una rivolta che investe diverse aree del CIE: vanno a fuoco materassi e suppellettili, un ragazzo si taglia, un altro cerca di impiccarsi. I poliziotti rifiutano di far arrivare le ambulanze e assediano le gabbie. Poi entrano nelle aree ribelli colpendo con i manganelli e gli spray urticanti. Impiegano anche i cani . Alcuni ragazzi vengono feriti. Poi cala una calma tesa, tra le minacce degli uomini in divisa e la rabbia dei prigionieri.
La mattina dopo la protesta riprende: sciopero della fame e battiture. Nella notte molti decidono di salire sui tetti.
Alcuni antirazzisti fanno un piccolo presidio solidale in serata. Un secondo presidio notturno viene disperso dalla polizia, tra le proteste e le urla degli immigrati sul tetto. Due donne vengono fermate, trattenute a lungo in questura e rilasciate con un bel pacchetto di denunce.
Il solito gruppetto di residenti incarogniti urla contro chi è abbastanza umano da non tollerare che nella loro città vi sia una galera per chi è nato povero.
Domenica 21 nuovo presidio solidale al CIE. Un compagno si guadagna subito un soggiorno di tre ore al commissariato di corso Tirreno per aver provato senza successo a lanciare bottigliette d’acqua agli immigrati sul tetto della sezione blu, quella più vicina alla strada. Dal tetto arriva un messaggio in una bottiglia di plastica: “aiuto e libertà”.
Alcuni residenti si avvicinano e comincia un dialogo meno incarognito del solito.
Il quotidiano “La Stampa” racconta un’altra storia. Per il quotidiano torinese si sarebbe trattato di un fallito tentativo di fuga di messa, seguito da una rivolta con danneggiamenti della mensa dell’area bianca. L’innesco di questo fuoco d’agosto sarebbero state le palline infarcite di messaggi lanciate dagli antirazzisti. Stessa musica nell’articolo del 21 agosto.
Se bastassero gli incitamenti a innescare le rivolte, oggi dei CIE resterebbe ben poco.
Le rivolte, le fughe sono normali in un mondo di gabbie e filo spinato.
Chi si oppone alle frontiere da sostegno ai ribelli e cerca di spezzare il silenzio e le bugie su questi moderni lager della democrazia.
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Torino. Inganni e deportazioni
Giovedì 9 giugno. La questura da appuntamento a tutti in corso Verona per la consegna del permesso di soggiorno. Ma è solo un trucco. Cinquanta egiziani vengono sequestrati, portati nella sede centrale di via Grattoni dove viene comunicata loro l’espulsione.
Fuori dalla questura si raduna un piccolo presidio di parenti e antirazzisti, che sperano si possa ancora impedire la deportazione. La risposta della polizia è rapida e brutale: carica con tanto di lacrimogeni.
Gli egiziani, caricati a forza sui pullman vengono portati all’aeroporto di Caselle dove in serata è già pronto un volo speciale della Mistral Air, la compagnia che ha l’appalto dal Ministero per questo genere di operazioni.
Il governo, in difficoltà con il proprio stesso elettorato, dopo il risultati delle consultazioni amministrative, reagisce con la consueta combinazione di stupidità e ferocia.
Purtroppo la solidarietà concreta contro le espulsioni è ancora pratica di una piccola minoranza. A noi tutti l’impegno a farla crescere.
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Torino. Braccio di ferro
Torino, 25 marzo. Dopo la distruzione dell’area verde del CIE gli immigrati hanno passato le ultime due notti nel cortile, senza possibilità di lavarsi. Nell’area blu dopo l’incendio di alcuni materassi, oggi due immigrati sono stati arrestati. La tensione resta alta. La questura pare decisa ad applicare la linea dura, obbligando chi brucia le stanze a restare nelle strutture ormai inagibili.
Una sorta di braccio di ferro per vedere chi molla prima.
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Torino. Incendiata l’area verde del CIE
Lunedì 21 marzo. L’area verde del CIE di corso Brunelleschi è stata gravemente danneggiata da un incendio. Intorno alla mezzanotte i reclusi avrebbero dato alle fiamme materassi e suppellettili. Secondo quanto riferito da quotidiani ed agenzie il fuoco avrebbe reso inagibili tre su cinque moduli abitativi. I reclusi, secondo l’ormai collaudato “modello Gradisca” non sarebbero stati trasferiti altrove ma ammassati nell’area mensa. A poco più di venti giorni dalla rivolta del 28 febbraio, quando andò in fumo la sezione gialla, il CIE torinese torna ad infiammarsi.
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