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Caporali alla TNT di Piacenza. Gesconet o Gesco Nord?

Nelle scorse settimane vi abbiamo parlato della lotta dei lavoratori delle cooperative “Stella” e “Vega” impiegati alla TNT di Piacenza.
A quanto ci risultava le due cooperative sarebbero appartenute al consorzio Gesconet. Gesconet ci scrive minacciando azioni legali, perché Stella e Vega non avrebbero nulla a che fare con loro.
Nonostante i modi poco urbani e il dubbio che questi signori, dalla consolidata fama di caporali, facessero i furbi, cancelliamo ogni riferimento al consorzio dagli articoli sulla lotta alla TNT.
Poi, con calma, facciamo le dovute verifiche.
Stella e Vega appartengono al gruppo Gesco Nord, le firme sulle ipotesi di accordo riportano la sigla “Gesco”. La scritta “Gesco Nord” sulla magliette dei lavoratori TNT di Piacenza è pressoché identica a quella che compare nella testata del sito di “Gesconet”.
Poi tutto si chiarisce da se. Anna Barbati, a nome del gruppo Gesco, dichiara che Gesco Nord si è costituito all’inizio dell’anno e non ha nulla a che fare con Gesconet.
È la stessa TNT a smentire, forse inconsapevolmente, Barbati: “Gesconet è dentro la Tnt da anni e all’inizio dell’anno ha scorporato il consorzio in Gesco nord e Gesco sud. Le persone all’interno e la dirigenza sono le stesse”.
A questo punto decidiamo di approfondire. Ne vengono fuori delle belle. Circa un anno fa venne aperta un’indagine sul mancato rispetto delle norme di sicurezza nel trasporto di radiofarmaci all’aeroporto di Linate. Neanche a dirlo la logistica era appaltata al gruppo Gesconet.

Malgrado una certa reticenza in gran parte della stampa ufficiale, Gesconet compare regolarmente, a volte solo un accenno, tra i gruppi implicati nel cosiddetto “traffico di clandestini”.
Al di là delle definizioni quello che conta è che Gesconet e i suoi cloni successivi sono “caporali” più o meno legali, che sfruttano all’osso i lavoratori, giocando sulle leggi che rendono ricattabili gli stranieri, specie se privi di permesso di soggiorno.
Il gioco è semplice e brutale.
Spesso in molte cooperative della logistica i soci lavoratori con le carte in regola vengono costretti, attraverso diverse forme di mobbing, a dimettersi. Al loro posto vengono assunti lavoratori con permessi di soggiorno falsi: per loro il licenziamento apre le gabbie del CIE anticamera della deportazione.
Proprio alla Tnt di Piacenza, i primi lavoratori minacciati di licenziamento sono stati quelli cui stava per scadere il permesso di soggiorno che, senza un contratto di lavoro, non avrebbero potuto sottoscriverne un altro.
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Ancora sciopero e blocchi alla TNT di Piacenza

Continua la lotta dei lavoratori alla TNT di Piacenza. Dopo le mobilitazioni di venerdì 8, il tavolo di trattativa previsto per il lunedì successivo si era rivelato un mero tentativo di sedare le lotta da parte della dirigenza delle due cooperative Stella e Vega, del gruppo Gesco Nord, già fin troppo noto per simili vicende di caporalato legalizzato.

La contropartita richiesta da capi e capetti in cambio di qualche timida e vaga concessione era stata la totale estromissione del sindacato Si Cobas che sta seguendo la vertenza.

Ma la risposta dei lavoratori non si è fatta attendere a lungo: rifiutata l’inaccettabile proposta dei padroni e la vergognosa offerta dell’importo di 100 euro a chi avesse restituito la tessera, hanno organizzato per la serata giovedì 14 luglio, un nuovo picchetto davanti all’azienda, con blocco dei camion in entrata e in uscita. Circa duecento, in gran parte lavoratori di Vega e Stella, insieme ad un gruppo di solidali, si sono ritrovati per più di cinque ore davanti ai cancelli. “Padroni di niente, schiavi di nessuno”, rivendicando i propri diritti e l’applicazione del contratto nazionale, denunciando le buste paga fittizie e chiedendo le dimissioni dei caporali “Ci avete sfruttato abbastanza, adesso è arrivato il momento che ve ne andiate”. L’infamia dei padroni si è palesata immediatamente: circa trenta lavoratori avevano già iniziato il turno e al loro tentativo di unirsi allo sciopero la reazione è stata il ritiro del badge d’accesso e la minaccia del licenziamento.

E mentre le forze del disordine schieravano le macchine dei carabinieri nel cortile e gli uomini della d.i.g.o.s. si affannavano a tradurre dall’arabo le decisioni prese dai lavoratori in assemblea, la dirigenza ha proposto un nuovo tavolo di trattativa per lunedì prossimo. Inutile dire che le aspettative sono scarse, ma determinazione nel dire basta è tanta, basta allo sfruttamento, basta alle perquisizioni personali da parte dei caporali in uscita dal lavoro, ai ritmi massacranti intervallati dall’imposizione di assurde pause non retribuite e alle continue minacce di licenziamento, perpetrate soprattutto nei confronti di chi, perdendo il lavoro, rischierebbe di perdere il permesso di soggiorno. Il presidio si è sciolto poco dopo l’una di notte ma la lotta non si ferma e sono previsti altri appuntamenti, sia prima, sia dopo il tavolo, se le cose non cambieranno davvero.
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Torino. Alpino impacchettato e corteo migrante

Torino, Primo Marzo. Un enorme telo di plastica nera ha impacchettato il Totem all’Alpino. Sul tronco che ne regge il testone è stato piazzato un grosso cartello con la scritta “via gli alpini dalla città”.
Non poteva che iniziare così la giornata di lotta migrante a Torino. Gli alpini sono nelle nostre strade e nel centro di corso Brunelleschi da ormai due anni. Sono gli stessi che ammazzano in Afganistan. Sei mesi là e sei mesi qua. A fare la guerra ai poveri.
Poi si parte. Italiani e immigrati insieme per una giornata che riprende il filo rosso delle lotte dell’autunno contro la sanatoria truffa, per i documenti, contro la schiavitù del lavoro, per la chiusura dei CIE.
Sullo sfondo l’eco delle rivolte in Nordafrica, l’orgoglio dei maghrebini che si sono ripresi un pezzo di libertà, uno scampolo di futuro.
Una rivolta che sta contagiando i CIE di tutta Italia, cominciando da quello di Gradisca, che gli immigrati l’hanno demolito, stanza dopo stanza. E che è arrivata anche a Torino, dove la sera prima era andata a fuoco la sezione gialla.
In testa al corteo sul camion di apertura uno striscione rosso con la scritta “Noureddine, omicidio di Stato”. Il corteo è dedicato all’ambulante di Palermo, morto dopo una lunga agonia. Aveva le carte a posto e sperava che presto sua moglie e la sua bambina potessero venire in Italia.
Di questo sogno banale ed umano non resta più nulla. Noureddine è morto. Per una settimana, giorno dopo giorno, aveva subito i controlli dei vigili, impegnati a far rispettare i regolamenti “sul decoro urbano”. Non ne poteva più. Ha preso una tanica, si è cosparso di benzina e l’ha accesa.
Noureddine è stato ammazzato. Ammazzato dalle leggi di uno Stato che nega un futuro a chi arriva nel nostro paese sperando in una vita migliore. Ma qui trova solo sfruttamento bestiale, discriminazione, razzismo.
Anche a Torino per poco non ci è scappato il morto. In mattinata un immigrato cui era stato negato il permesso di soggiorno, si è dato fuoco nel cortile dell’Ufficio della Questura di corso Verona. Le fiamme che lo hanno avvolto sono state subito spente e lui se la caverà. Non si spegne invece la rabbia per i tanti morti da cui è segnata la pur breve storia dell’immigrazione nel nostro paese.

Il corteo percorre le strade di S. Salvario per poi dirigersi verso il centro. La gente si avvicina, prende i volantini, fa domande. Musica e interventi si alternano dai vari impianti.
In via Po compare una scritta sulla filiale dell’Unicredit “Questa banca arma Gheddafi”. Il faccione del dittatore libico è anche in testa al corteo, armato di una falce insanguinata “made in Italy”.
Si finisce in piazza Castello con gli immigrati che spingono sino al Palazzo della Regione, dove si sosta a lungo, fronteggiando quelli dell’antisommossa, mentre la piazza si riempie di musica, parole, slogan.
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Milano. Picchetti, barricate: bloccati i camion alla Billa

Villamaggiore, 29 ottobre 2010. Il picchetto comincia alle cinque del mattino, alla rotonda che porta ai due ingressi, uno per i camion in entrata e uno per quelli in uscita. Così parte la giornata di sciopero generale degli immigrati in provincia di Milano. Indetto dalla Cub, vi aderiscono USI-AIT, Si.Cobas e, a Bari, Cib-Unicobas.
Siamo alla Billa, dove da settimane, va avanti la lotta contro il cottimo, per la restituzione dell’indennità di mensa. Ma non solo. I lavoratori della Cooperativa C.L.O., che ha in appalto il magazzino di Villamaggiore e gran parte dell’ortomercato, sono quasi tutti immigrati. Gente che la dignità e la libertà la battaglia contro le leggi che li fanno schiavi. Continua a leggere

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Milano. Sciopero, picchetti, resistenza operaia alla Billa

Milano, lunedì 18 ottobre. Siamo a Villamaggiore, dove ci sono i magazzini della Billa – ex Standa, in appalto alla cooperativa C.L.O. (Cooperativa Lavoratori Ortomercato). La C.L.O. ha oltre 2000 dipendenti e gestisce una buona fetta dell’ortomercato milanese di via Lombroso.
I lavoratori – in buona parte immigrati – sono in sciopero.
Il picchetto si forma davanti ai cancelli del polo logistico intorno alle cinque e mezza del mattino. Continua a leggere

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