Archivi del mese: Gennaio 2013

L’Italia respinge in Grecia i profughi bambini

Dopo aver intervistato 29 bimbi e adulti respinti dai porti nostrani, Human rights watch ha stilato un rapporto in cui denuncia il comportamento delle autorità italiane che imbarcano in massa verso la Grecia profughi provenienti da paesi in guerra. Agli adulti non viene data la possibilità di fare domanda d’asilo, ai bambini non viene concessa l’ospitalità prevista dalle stesse leggi italiane.
In Grecia, i profughi, spesso provenienti dall’Afganistan, sono sottoposti ad abusi delle forze dell’ordine, condizioni detentive inumane e degradanti in un ambiente ostile, segnato da violenze xenofobe.
Nell’ultimo anno si sono moltiplicate le aggressioni contro gli stranieri dei neonazisti di “Xrisi Argi”, coperti e appoggiati dalla polizia. Solo le ronde antifasciste nei quartieri pongono un argine alle violenze naziste.
La maggior parte dei profughi considera la Grecia e l’Italia tappe di un viaggio con destinazione Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, ma la legislazione europea, che impone di fare richiesta di asilo nel primo paese dell’Unione in cui si arriva, rende questo percorso molto difficile e rischioso.
Non è la prima volta che l’Italia entra nel mirino delle istituzioni umanitarie o transnazionali per il trattamento inflitto ad immigrati e richiedenti asilo.
Basti pensare alla condanna della corte di Strasburgo per tortura e trattamenti inumani per i respingimenti verso la Libia.

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Mineo. Una discarica per richiedenti asilo

Era la primavera del 2011. Migliaia di tunisini presero la via del mare per cercarsi un’altra vita in Europa. La rivolta che aveva scosso il paese, contagiando quelli vicini, aveva reso meno chiuse le frontiere. Il ministro dell’Interno, il leghista Maroni, affrontò l’ondata di sbarchi da par suo, trasformando Lampedusa in un gigantesco carcere a cielo aperto, nella vana speranza di scaricare la patata bollente agli altri Stati Europei. Quando la situazione divenne incandescente decise di aprire campi-tenda e vecchie caserme per rinchiudere gente che voleva solo proseguire il proprio viaggio.
Finì all’italiana. Quelli arrivati entro il 5 aprile ottennero un permesso di sei mesi, quelli sbarcati dopo erano clandestini.
In questo caos in cui la criminalità del governo era pari solo alla sua cialtroneria i CIE si riempirono all’inverosimile di gente più che disponibile ad animare rivolte su rivolte. L’intero sistema concentrazionario italiano andò in crisi. In questo clima maturò l’affare Mineo.
A Mineo, 35 chilometri dalla base militare di Sigonella, la ditta della famiglia Pizzarotti aveva costruito un residence per le famiglie dei militari statunitensi. Nella primavera del 2011 il residence è vuoto, perché gli americani hanno optato per soluzioni più comode ed economiche.
Pizzarotti si ritrova una patata bollente che non riesce a piazzare in nessun modo, finché un governo amico non decise di togliergli le castagne dal fuoco trasformando il residence in CARA, ossia un centro per richiedenti asilo. Lì vennero deportati richiedenti asilo da ogni angolo di’Italia, interrompendo le pratiche già in atto, spezzando le relazioni con la gente del luogo. In questo modo i CARA si potevano trasformare in CIE e la famiglia Pizzarotti non ci rimetteva un euro.
Due anni dopo il CARA di Mineo è strapieno, luogo di proteste e rivolte da parte di profughi e rifugiati, dimenticati in questa prigione nel deserto. Le pratiche, tutte concentrate a Catania, si sono allungate all’infinito, le risposte tardano, Mineo è diventata una polveriera.

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Quei materassi che bruciano ogni notte

Stefania è quasi avvocato. Martedì scorso è entrata nel CIE di Torino per incontrare un cliente, un ragazzo pestato a sangue durante l’ultima rivolta dei reclusi di corso Brunelleschi.
La protesta si è fatta incandescente nella notte del 13 gennaio, un freddo cane e niente riscaldamento. Alcuni prigionieri bruciano i materassi, altri salgono sui tetti, fuori la polizia intercetta qualche manciata di solidali, poi, dopo l’arrivo di altri, li rilascia.
Nella notte del 15 è ancora rivolta. La polizia spara lacrimogeni e pesta. Il giorno dopo parte una perquisizione punitiva con perquisizione delle celle in cerca di attrezzi usati per le rivolte.
Stefania ascolta il racconto del pestaggio subito dal ragazzo che l’ha chiamata. Poi resta lì, nella zona destinata ai colloqui, in attesa di un altro “cliente”. Aspetta e ascolta. Ascolta uno della Croce Rossa, l’organizzazione umanitaria che gestisce il CIE di Torino sin dalla sua apertura nel lontano 1999, quando l’Italia bombardava la ex Jugoslavia e il confine tra la guerra fatta fuori e quella in casa era sottile sottile.
Il tizio della Croce rossa ovviamente parla con la voce di chi si è fatto complice dei secondini, ma il suo racconto ci dice che, anche a Torino sta succedendo quello che capita un po’ dappertutto, da quando il governo – e l’Europa – hanno deciso che lì dentro ci puoi rimanere sino a un anno e mezzo. Una condanna senza crimine, senza giudice, senza avvocato.
Le rivolte, racconta l’uomo della Croce Rossa, sono le punte più aguzze di una realtà quotidiana di lotta e di tentativi di evasione. I materassi bruciano ogni notte, le coperte spariscono in fretta, perché servono per intrecciare le corde per saltare il muro.
Solo questo conta. Saltare il muro.
Anche i poliziotti che passano parlano, parlano dei telefoni portati via agli immigrati, che hanno osato fare foto della rivolta che potrebbero uscire fuori e mostrare a chi vuol vedere quello che succede.
Stefania racconta questa storia all’informazione di radio Blackout. Un racconto preciso, senza sbavature, intelligente, che si intreccia con la spiegazione dei meccanismi che stritolano le vite di chi finisce nei pollai per immigrati. La direttiva rimpatri stabilisce che nel CIE ci puoi stare sino a sei mesi, ma la prigione amministrativa dovrebbe essere l’estrema ratio. Prima si dovrebbero tentare altre strade, verificare se il senza carte ha parenti, affetti, legami. Lo dovrebbe fare il giudice di pace al momento della ratifica della detenzione. Ma, dice Stefania, per quello che ha visto lei, quelli convalidano sempre.
E, ogni notte, in ogni dove d’Italia, i materassi bruciano.

Ascoltate l’intervista a Stefania sul sito di radio Blackout.
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Tiri sassi alla polizia? È legittima difesa!

Ci pare importante riportare il seguente articolo tratto da Anarres. La sentenza di assoluzione di tre immigrati accusati di resistenza e lesioni per aver dato vita ad una rivolta nel CIE di S. Anna ad Isola di Capo Rizzuto ha … Continua a leggere

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Capodanno di rivolta ed evasione nei CIE

Gli ultimi giorni dell’anno sono stati particolarmente animati in vari CIE sparsi per la penisola. Durante la notte di natale una rivolta è scattata nel cie di Modena, con materassi gettati nel cortile. A capodanno invece una tentata fuga con … Continua a leggere

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Tredici anni dopo la strage del Vulpitta: non dimentichiamo!

Come ogni anno gli antirazzisti e gli anarchici trapanesi sono tornati in piazza per ricordare la strage del Vulpitta e contro tutti i CIE. Manifestazione svoltasi pochi giorni prima dell’ennesimo tragico naufragio di immigrati davanti alle nostre coste. Quella che … Continua a leggere

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