L’ultimo di cui sappiamo lo hanno ammazzato l’11 novembre. Aveva solo ventun’anni e fuggiva dalla guerra che sta inghiottendo le vite di tanti giovani eritrei. Ma la guerra, quella contro immigrati e profughi, lo ha raggiunto ad un passo dal confine tra Egitto ed Israele. La polizia di frontiera egiziana gli ha sparato nel deserto del Sinai.
I giovani eritrei sono obbligati ad un servizio militare senza fine. Molti disertano e sono disposti a tutto pur di non tornare indietro. Chi viene riacciuffato è torturato atrocemente. “Non uccideteli. Se muoiono non soffriranno abbastanza”: sono le parole rivolte ai colleghi da una guardia carceraria eritrea.
Dopo gli accordi tra Italia e Libia per i respingimenti in mare di profughi e immigrati sono sempre di più quelli che provano la nuova rotta, aperta dai rifugiati dal Darfur, dopo la strage del 30 dicembre 2005. Quel giorno l’esercito egiziano assalì 3.500 sudanesi disarmati che da tre mesi erano accampati in segno di protesta nel parco “Mustafa Mahmoud”, al Cairo, non lontano dagli uffici dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Fu una strage. Tra i 25 morti c’era anche una bambina di quattro anni. Da allora i sudanesi del Darfur, cui è negato lo status di rifugiati, non provano più a rimanere in Egitto e tentano la strada per Israele.
Una traversata pericolosa come quella del mare, tra un deserto e guardie pronte a sparare.
Israele, dopo una breve stagione di accoglienza, ha deciso di sigillare le proprie frontiere. Con un Muro. Un altro muro delle vergogna, simile a quello costruito in Cisgiordania, verrà eretto lungo 110 dei 240 chilometri di confine con l’Egitto. La costruzione è cominciata il 22 novembre.
Non sappiamo se raggiungerà lo scopo di tenere fuori i 700 immigrati che ogni settimana provano a passare la frontiera. Sappiamo tuttavia che altri ragazzi vedranno spegnersi contro quel muro le loro speranze.
Sappiamo anche che le tariffe dei mercanti d’uomini sono destinate ad aumentare. È del 25 novembre la denuncia dell’associazione Habeshia diffusa dall’agenzia Amisnet di “ottanta profughi eritrei sequestrati al confine tra Egitto e Israele.” Pare siano partiti dalla Libia, pagando duemila dollari, ma ora i passeur pretendono di più.”
“Sono tenuti legati con le catene ai piedi, non hanno acqua per lavarsi da venti giorni, sono segregati in case nel deserto del Sinai, sotto minaccia di morte se non pagano ottomila dollari ai trafficanti di uomini”. La denuncia arriva dall’associazione Habeshia.
Leggi l’articolo pubblicato da PeaceReporter e quello comparso su Il pane e le rose.