I primi di agosto del 2009 divenne legge il “pacchetto sicurezza”, un insieme di norme volute dal governo Berlusconi per aumentare gli ostacoli in quella corsa con handicap che è la vita degli immigrati poveri nel nostro paese.
L’ultimo dei bocconi avvelenati viene servito a “freddo” due anni dopo l’emanazione della legge.
Gli immigrati che rinnovano o chiedono per la prima volta il permesso di soggiorno, dovranno pagare una tassa, il cui importo oscilla tra gli 80 e i 200 euro.
Il nuovo contributo, previsto dalla legge sulla sicurezza del 2009, era rimasto sulla carta. Un decreto firmato a ottobre 2011 dagli allora ministri dell’Interno Roberto Maroni e dell’Economia Giulio Tremonti e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre, lo rende operativo a partire dal 30 gennaio prossimo. L’importo del «contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno» varia in base alla durata del permesso: 80 euro se è compresa tra tre mesi e un anno, 100 euro se è superiore a un anno e inferiore o pari a due anni, 200 euro per il «soggiorno di lungo periodo», meglio noto come «carta di soggiorno». A questa cifra si aggiungono i 27,50 euro per il rilascio del permesso di soggiorno elettronico, i 14 per la marca da bollo e i 30 per la raccomandata. Poi, nonostante la legge preveda la consegna del permesso entro 20 giorni, comincia l’attesa. Un’attesa che spesso dura anche mesi, qualche volta anni.
Oltre il danno c’è la beffa. Metà degli introiti della tassa andrà al “fondo rimpatri”, ossia alla cassa che lo Stato usa per deportare gli stranieri “senza carte”, quelli che nella roulette russa dei permessi hanno perso. Alcuni hanno lavorato in nero e sono incappati nella rete dei cacciatori d’uomini in divisa, altri il lavoro “regolare” l’avevano prima che la crisi se lo mangiasse insieme al diritto legale di vivere nel nostro paese. L’altra metà di questa estorsione legale andrà al Viminale per spese di ordine pubblico e sicurezza e per finanziare gli sportelli unici. Nel caso qualcuno non l’avesse ancora capito gli immigrati per lo Stato italiano sono in primo luogo una questione di ordine pubblico. E tali devono rimanere, altrimenti chi lucra sulla vita dei lavoratori non potrebbe profittare di chi, per legge, è uno schiavo. Uno schiavo che paga le tasse, non ha diritti e deve pagare per mantenere ben oliata la macchina delle espulsioni.
È l’ultimo pacchetto a scoppio ritardato di Maroni e Berlusconi, che il governo Monti pare intenzionato a mantenere.
Aggiornamento al 4 gennaio. Il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, e quello della Cooperazione internazionale e l’integrazione, Andrea Riccardi, “hanno deciso di avviare un’approfondita riflessione e attenta valutazione sul contributo per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno”. È quindi possibile che il governo valuti una riduzione della tassa di “soggiorno”.
La Lega difende il provvedimento voluto da Maroni. Per il vicepresidente dei senatori del Carroccio, Sandro Mazzatorta, la tassa è “un contributo dovuto vista la mole di lavoro amministrativo che la pubblica amministrazione deve fare”.
Niente di più vero. Peccato che “la mole di lavoro amministrativo” derivi dai mille ostacoli che si interpongono tra l’immigrato e il pezzo di carta che lo rende “legale”. Tutti ostacoli costruiti con il determinante contributo della Lega.