Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Il prossimo 13 aprile si aprirà il processo contro una quarantina di antirazzisti torinesi, tra cui tre aderenti alla FAI torinese. Un megaprocesso che la Procura torinese vuole ad ogni costo, nonostante l’impalcatura giuridica su cui si fondava non abbia retto. Nel marzo del 2010 scattarono le manette per sei antirazzisti incarcerati con l’accusa di “associazione a delinquere”. L’etichetta associativa venne apposta dai PM Padalino e Pedrotta sull’Assemblea antirazzista di Torino, che per circa un anno – dal maggio del 2008 al maggio del 2009 – fu il fulcro da cui si dipanarono numerose iniziative di informazione e lotta.
L’associazione a delinquere – secondo i PM – era finalizzata a compiere reati come la violenza privata, l’imbrattamento, il disturbo della quiete.
Manifestazioni, presidi, occupazioni simboliche, striscioni, scritte, azioni di protesta divenivano tasselli di un disegno criminoso elaborato “all’interno del movimento anarchico”.
Il reato associativo cadde e gli antirazzisti vennero scarcerati. Nonostante ciò la megainchiesta è andata avanti mettendo insieme vari episodi, non tutti riconducibili all’humus politico dell’assemblea antirazzista, all’evidente scopo di ridurre a questioni di ordine pubblico l’attività politica e sociale di quegli anni. Attività che, sia pure di minoranza, contribuirono a tenere accesi i riflettori ed a sostenere le lotte dentro i CIE, contro lo sfruttamento del lavoro migrante, contro la militarizzazione delle periferie.
La Questura torinese – sconfitta più volte nel tentativo di costruire impalcature associative intorno alle lotte sociali e, in particolare, agli anarchici – negli ultimi anni ha moltiplicato i procedimenti contro l’opposizione politica e sociale nel capoluogo subalpino.
Banali scritte sui muri, contestazioni pubbliche, manifestazioni spontanee, persino i manifesti finiscono sui tavoli della Procura che imbastisce processi su processi. La recente condanna a tre mesi a due anarchici della FAI torinese per il contenuto di un manifesto antileghista la dice lunga sulla scelta della Procura di trattare le lotte sociali in termini di ordine pubblico. Nel manifesto era scritto: “25 aprile. Resistenza. Ieri camicie nere… oggi camicie verdi / Ieri squadracce… oggi ronde / Ieri leggi razziali… oggi leggi razziste / Ieri ebrei e rom… oggi immigrati e rom / Oggi il fascismo ha il volto della Lega / Bossi, Maroni, Borghezio… / a piazzale Loreto c’è ancora tanto posto!”.
Secondo il tribunale di Torino che ha emesso la sentenza quel manifesto era una minaccia.
Questa sentenza è ben più che una minaccia alla libertà di dire, scrivere e diffondere la propria opinione.
La vicenda dei No Tav privati della libertà, per la partecipazione alla resistenza allo sgombero della Libera Repubblica della Maddalena, nonostante le accuse siano del tutto banali, la dice lunga sulla volontà di stroncare con la repressione un movimento che non riescono a sconfiggere né con le armi della politica né con la politica delle armi.
La Procura Torinese – sotto la guida del Democratico Caselli – è uno dei tasselli di un’operazione disciplinare in grande stile che il governo bipartisan guidato da Mario Monti, sta facendo nel Piemonte occidentale.
Torino e le sue valli sono il laboratorio nel quale sperimentare le politiche di repressione e controllo sociale per gli anni a venire.
La presenza di un ampio e variegato movimento anarchico, il moltiplicarsi delle iniziative di lotta che mettono insieme resistenza e autogestione, radicalità e radicamento sono una sfida che lo Stato non può permettersi di perdere.
Il governo risponde alle lotte sociali con la militarizzazione dei territori, la Procura con carcere e processi.
Non a caso il Democratico Fassino e il leghista Cota, divisi su tutto, specie sulla spartizione delle risorse pubbliche, vanno a braccetto nel sostenere le operazioni repressive della Procura.
Non è più tempo di compromessi socialdemocratici: non ci sono le risorse e, soprattutto, c’è la chiara volontà di spezzare la resistenza degli anarchici, degli antirazzisti e dei No Tav, perché altrimenti il tappo sulla pentola a pressione rischia di saltare in tutto il paese.
Il governo prepara nuove leggi per meglio imbrigliare chi lotta e, in particolare, gli anarchici. Le proposte sul tappeto sono tante: dal fermo di polizia, all’arresto in differita, dalla ri-penalizzazione dei blocchi di strade e ferrovie sino ad un nuovo reato associativo, scritto apposta per gli anarchici. Qualcuna forse andrà in porto altre no. Ma sin da ora basta la torsione delle leggi attuali per aprire processi e spalancare le porte del carcere.
Per impedire che le lotte sociali siano ridotte a questioni di ordine pubblico, occorre che le lotte crescano e si diffondano in tutto il paese, coinvolgendo in prima persona sempre più persone, sino ad obbligare il governo e la magistratura a fare dietrofront.
Ma non solo. Serve una campagna ampia, forte, di sostegno ai compagni vittime della repressione.
La Commissione di Corrispondenza della FAI esprime la propria solidarietà ai No Tav in carcere e agli antirazzisti torinesi sotto processo per l’assemblea antirazzista.
La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana
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tel. 3333275690