Fatih. Gli antirazzisti non dimenticano

DSCN0193Sono passati cinque anni. La‎ storia di Fatih, l’immigrato tunisino morto nel CIE – allora CPT – di corso Brunelleschi nella notte del 23 maggio 2008, non la ricorda quasi più nessuno.
Fatih era un immigrato tunisino senza documenti. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. I suoi compagni chiesero aiuto. Nessuno li ascoltò. Racconteranno: “eravamo come cani al canile, urlavamo e nessuno ci ascoltava”.
Il mattino successivo, quando finalmente quelli della Croce Rossa entrarono nella sua cella, per Fatih non c’era più nulla da fare.
Su questa vicenda sarebbe calato il silenzio, se alcuni compagni di Fatih non fossero riusciti ad intercettare un giornalista che raccontò questa storia sulle pagine di Repubblica.
Due giorni dopo il responsabile del CIE Antonio Baldacci dichiarerà alla stampa che “gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa”.
Il colonnello e medico Antonio Baldacci non ebbe nemmeno il pudore di tacere di fronte ad un uomo lasciato senza cure nel Centro affidato alla sua responsabilità.
Poi calò il silenzio stampa. Troppo scottante questa vicenda. In quegli stessi mesi il governo Berlusconi stava varando il secondo “pacchetto sicurezza”, un insieme di norme costruito per rendere ancora più dura la vita degli immigrati e per colpire l’opposizione politica nel nostro paese.
Il caso venne subito chiuso.
I testimoni furono espulsi in gran fretta.
Nessuno sa di cosa sia morto Fatih. Si sa tuttavia che in un centro gestito dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito.
Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti andò a casa di Antonio Baldacci.
Fecero rumore con le casseruole, distribuirono volantini, appesero striscioni.
La protesta di persone che non potevano tollerare una morte senza senso.
Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del doppio processo a 67 antirazzisti torinesi, un processo contro chi ha lottato e lotta contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade.
67 attivisti sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale.
L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione.
L’occupazione simbolica dell’atrio del Museo egizio – 29 giugno 2008 – per ricordare l’operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione – 17 luglio 2008 – dell’assessore all’integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata – 11 luglio 2008 – contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta – 20 marzo 2009 – alla lavanderia “La nuova”, che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l’elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti.
Da mesi è partita una campagna per portare il CIE – e la storia tragica di Fatih – per le strade di Torino.
Nel quinto anniversario della sua morte il gruppo di compagni di “Ti ricordi di Fatih? Antirazzisti contro la repressione” ha organizzano tre giorni contro i CIE.


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Giovedì 23 maggio
al presidio di fronte al CIE di corso Brunelleschi c’erano un centinaio di persone.
Si è cominciato con l’apericena vegetale preparato dagli attivisti di Antispeck Torino e Food not bombs. C’erano anche i compagni della microclinica Fatih e quelli del collettivo antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni” con un volantino sull’utilizzo delle catene chimiche per contenere i prigionieri dei CIE.
Tra interventi, slogan, saluti Alessio Lega ha cantato le sue canzoni in memoria di Fatih. Non era la prima volta che Alessio cantava di fronte a questa galera: nel 1999, durante la lotta per impedirne l’apertura, era con noi per esprimere alla sua maniera l’opposizione a queste prigioni per immigrati. Allora, mentre cantava una canzone non proprio tenera verso i carabinieri, questi circondarono il palchetto minacciando una carica. Lui pudicamente dichiarò che, complice la miopia, non si era accorto di nulla. 14 anni dopo, alle spalle una Targa Tenco e diversi dischi, tutti autoprodotti e liberamente scaricabili, è tornato sotto al CIE, per dare il suo contributo a questa lotta.
Da dentro i prigionieri si sono fatti sentire con grida, saluti, fischi.
Una trentina di palline da tennis sono state gettate oltre il muro. Dentro, in arabo e in italiano, la storia di Fatih. Alcune palline sono tornate indietro con saluti, scritti, richieste.
La serata si è conclusa con una passeggiata lungo il muro: in testa la samba band, dietro tutti gli altri. Per un po’ il traffico tra corso Brunelleschi e via Monginevro è stato bloccato, mettendo in agitazione digos e antisommossa.
Il giorno successivo punto info in via Po con banchetti e volantinaggio.
Sabato 25 maggio l’appuntamento era al Balon.
Partiamo in corteo con gabbia e striscione in mezzo ai banchi. Ad ogni spiazzo una sosta.
Si sistema la gabbia, un tavolino, due sedie, qualche cartello e un mazzo di carte.
Un po’ di teatro di strada, tanti volantini e tanta gente che si ferma, domanda, commenta.
In centro c’è sempre il corpo di Fatih, emblema delle migliaia di immigrati senza nome morti nelle intercapedini dei Tir, annegati in mare, precipitati da un ponteggio, annegati in una fogna.
Abbiamo portato questa storia nel salotto di Torino e per le strade della movida di San Salvario, oggi siamo tra i banchetti di chi campa la vita come può, cercando di vendere qualcosa. Si unisce a noi anche qualche immigrato e qualche immigrata. Tanti tra quelli che si fermano ad ascoltare sono stranieri, che in questa storia riconoscono brandelli della propria, di quella di parenti o amici.

Il giorno successivo apprendiamo da Indymedia Piemonte che nella notte gli Antirazzisti “Louise Michel” hanno fatto visita a casa del colonnello Antonio Baldacci. ‭ ‬A Chieri,‭ ‬di fronte alla sua villetta, ‬è stato lasciato un manichino sporco‭ ‬di sangue,‭ ‬uno striscione,‭ ‬una secchiata di vernice rossa in terra.
Sullo striscione appeso alla cancellata c’era scritto‭ “‬Ti ricordi di Fatih‭? ‬Gli antirazzisti non dimenticano‭”‬.‭
La seconda udienza del processo agli antirazzisti si svolgerà giovedì 30 maggio alle 9 in maxi aula 3 del tribunale di Torino‭.

Lunedì 27 maggio. Aggiornamento
Nel pomeriggio di sabato due reclusi sono saliti sul tetto del CIE intenzionati a non scendere per evitare la deportazione.
Nel CIE di Torino, e in quelli di tutt’Italia, le lotte, le rivolte, la resistenza degli immigrati ad una macchina costruita per mantenere costante la pressione su di loro, è quotidiana.
Il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata la grande posta nel gioco feroce della guerra ai poveri. Il legame tra permesso di soggiorno e lavoro è una minaccia sia per chi ha le carte – e rischia di perderle – sia per chi non le ha – e rischia l’espulsione.
Poco a poco, anche tra i lavoratori italiani cresce le consapevolezza che le leggi che ricattano la vita degli immigrati sono state fatte per disciplinare tutti i lavoratori.
Ai padroni interessa il colore dei soldi, non quello della pelle.

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