«Al Cie lavoriamo nel terrore».
Lo dicono alla stampa quelli del consorzio Connecting People che gestisce, tra gli altri, il CIE di Gradisca. Gestire un lager “è un’opportunità”. Lo diceva lo scorso anno Mauro Maurino, esponente piemontese del consorzio in gara per la gestione del CIE di Torino agli antirazzisti che gli occupavano l’ufficio.
A sentire i suoi colleghi di Gradisca l’affare è ottimo ma sempre meno sicuro.Dal Messaggero Veneto del 05/08/10
GRADISCA. Il Cie di Gradisca «è un carcere a basso costo che
utilizza una struttura totalmente inadeguata». Arriva dall’interno il nuovo
allarme sul Centro di identificazione ed espulsione di via Udine e a lanciarlo
è il personale dell’ente gestore della struttura (il consorzio cooperativistico
trapanese “Connecting people”). Una vera e propria denuncia quella degli
operatori, costretti a convivere quotidianamente con minacce e aggressioni. «Da
luglio 2009 – ricordano i portavoce del personale adibito ai servizi interni
del Cie – abbiamo subìto 15 aggressioni, in due casi estremamente gravi e la
situazione non è migliorata. Siamo costretti a lavorare nel terrore, in una
situazione di totale insicurezza, con telecamere spente e sensori a infrarossi
fuori uso a seguito dei ripetuti tentativi di fuga. Molte delle paratie in
vetro antisfondamento posizionate nelle camerate, poi, sono ormai sbriciolate,
ma da settimane non vengono sostituite. Lavoriamo e viviamo con il fondato timore
che possa succedere qualcosa di veramente grave». Personale che denuncia anche
un sottodimensionamento delle presenze nei tre turni giornalieri. «Il giorno
siamo in 5-6, la notte, il turno potenzialmente più pericoloso, capita spesso
di operare in 3 persone. È vero, poi, che il regolamento interno prevede 6-7
persone per turno, ma quel documento risale ancora a quando la struttura era
adibita a centro di accoglienza: il Cie è una cosa completamente diversa».
Lamentale, sostengono gli operatori del Cie, più volte avanzate a Prefettura e
Questura di Gorizia. «In concreto, purtroppo, è cambiato poco o nulla, la
situazione resta insostenibile, anche perché gli immigrati ospiti del Cie,
molti dei quali provenienti dal circuito carcerario, hanno capito che possono
sfruttare a loro favore tale situazione». Cie di Gradisca dove, ieri, sono
ripresi i trasferimenti. In mattinata, infatti, 5 clandestini sono stati
dimessi con il foglio di via (l’invito ad abbandonare il paese entro 5 giorni)
per decorrenza dei 6 mesi previsti come limite massimo per il trattenimento
amministrativo mentre nel primo pomeriggio, scortati dalle forze dell’ordine,
sono stati introdotti nella struttura altri 11, trasferiti da Cagliari a bordo
di un volo charter. (ma.ce.)
Dal Piccolo del 05/08/10
La fuga dal Cie finisce su internet
GRADISCA E l’ evasione dal Cie finisce in diretta radio sul
web. Con una nuova denuncia: «Ci hanno rinchiusi nelle celle nonostante sia
proibito dalla Prefettura» L’ultima fuga dalla struttura immigrati di Gradisca,
che ha visto 12 clandestini nordafricani riuscire ad eludere la sorveglianza e
far disperdere le proprie tracce, è stata raccontata praticamente in diretta
telefonica da un immigrato a radio Blackout, un network vicino alla galassia
no-global. E successivamente il suo intervento è stato pubblicato in streaming
su un sito internet. L’ospite del Cie di Gradisca, a cui mancavano pochi giorni
per il rimpatrio, ha fatto esplodere la sua gioia per la fuga riuscita dei
compagni di detenzione, raccontando alcuni particolari in più sulla sommossa.
Dopo la rivolta interna culminata nel tentativo di fuga di una trentina di
nordafricani e culminata nel ferimento di un algerino, la struttura per
immigrati di via Udine si è dunque nuovamente confermata un autentico colabrodo
da 17 milioni di euro. Approfittando del fatto che, per punizione, erano stati
chiusi a chiave nelle celle – pare che questa misura fosse stata apertamente
sconsigliata dalla Prefettura all’ente gestore della struttura – e che la porta
non venisse aperta neanche per portare il cibo. Attorno alle 15 alcuni
clandestini di etnia maghrebina si sono messi al lavoro per praticare un buco
nel soffitto o comunque forzare, come ormai abitudine, una grata per poi
raggiungere il tetto. Da lì hanno provato a scappare in 20: inizialmente ce
l’hanno fatta in nove, ma successivamente altri tre nordafricani sono riusciti
a scavalcare il muro e darsi alla macchia. «Sono contento per loro, questo è un
posto di m…Ci passano il cibo sotto le porte, come i cani. Sto da dio a
sapere che sono scappati da questo carcere di massima sicurezza». Che poi tanto
inespugnabile non è: all’ex caserma Polonio si attende da oltre un anno
l’intervento chiamato a rendere il centro di identificazione ed espulsione una
struttura finalmente a prova di fughe e rivolte interne. (l.m.)