Continua a tenere banco ogni giorno sui media locali ciò che succede dentro il CIE di Gradisca. Le lotte, le rivolte e le fughe rendono impossibile fare finta di niente anche a chi, invece, vorrebbe nascondere la testa sotto la sabbia.
Da Il piccolo dell’11 settembre 2010
I vicini: «Sentiamo le loro urla»
di Giovanni Tomasin
Gradisca. Vivere a poche centinaia di metri da un Cie significa dover fare i conti con situazioni fuori dalla norma: le grida di protesta che provengono dal centro durante le rivolte, il dispiegamento delle forze dell’ordine in caso di evasioni e molto altro.
I vicini. «Non è certo un bel vivere», spiega un’anziana signora. La sua casa dista poche centinaia di metri dal Cie, e a separarla dal muro di cinta c’è soltanto qualche campo e dei cespugli. «Una volta qui era una zona tranquilla – ricorda -, ora quando scappa qualcuno abbiamo le volanti della polizia e dei carabinieri che corrono a tutto gas sotto casa». La signora non ha mai avuto problemi con gli immigrati che sempre più spesso riescono a tagliare la corda: «Assolutamente no – dice -, però comunque non viviamo tranquilli». Qualche fastidio ce l’ha invece Matteo Trevisan: la sua famiglia coltiva un pescheto che sta esattamente alle spalle del Cie. «L’anno scorso è arrivato un gruppo di immigrati, quelli che hanno il permesso di uscire – ovvero gli ospiti del Cara, il centro per richiedenti asilo interno alla struttura – e con i sacchi si sono portati via chili e chili di pesche». Un avvenimento soltanto apparentemente insignificante: «Se è per una pesca va bene – dice Trevisan – ma quando si iniza a portar via dei sacchi pieni diventa un problema. Quello è il nostro lavoro». L’episodio si è ripetuto anche in seguito, anche se in proporzioni minori: «Vengono, magari in tre o quattro, e quando mi avvicino scappano – spiega -. Siamo andati a parlare al centro ma non abbiamo mai ottenuto niente, ci promettono volanti che non arrivano mai». Nel vicinato del Cie sono nate poi le classiche dicerie su quello che avviene all’interno del centro: «Sembra che per fuggire si facciano scala l’uno con l’altro fino a saltare la recinzione – dice un signore – e poi scappano verso Sagrado per prendere il treno. Ma nel mio giardino non sono mai passati. Quando ci sono le rivolte, però, li sentiamo eccome».
Il Cara. Oltre ai vicini, c’è anche un altro gruppo di persone che può testimoniare in parte di quello che succede nel Cie. Sono proprio gli ospiti del Cara: al contrario degli immigrati trattenuti nel Cie, i richiedenti asilo sono liberi di uscire dalle mura del centro. Chi vive a Gradisca li conosce bene: ragazzi dai tratti medio orientali o africani, vestiti in modo povero ma decoroso. Qualcuno porta al collo una kefiah . È facile, se si passa da quelle parti, scambiare quattro chiacchere con loro sullo ”scomodo vicino”, il Cie. Incontriamo un giovane iracheno, un po’ provato dal recente ramadan . Come lui in tanti scappano da guerre più o meno conosciute in Iraq o nel Kurdistan turco. Alcuni fanno domanda d’asilo e entrano nei Cara, tanti finiscono nei Cie: «Nel Cie c’è confusione – ci racconta nel suo italiano stentato – e vediamo sempre tanta polizia»
“I Cie sono Lager”
di Luigi Murciano
Gradisca. «I Cie sono lager». È la condanna che il vescovo di Rovigo Lucio Soravito de Franceschi ha pronunciato dopo la sua visita al centro di Gradisca. Parole che hanno suscitato la contrarietà del presidente del Veneto Luca Zaia. Il vescovo ha voluto vedere in prima persona un Cie dopo che il governo ha manifestato l’intenzione di aprire una struttura analoga nel Polesine. Il presule non ha dubbi: «L’esistenza dei Cie è inaccettabile – ha detto -, soprattutto per un popolo di emigranti come il nostro. Dobbiamo aiutare gli stranieri a inserirsi, integrandoli, non rinchiudendoli». Immediata la reazione del successore di Giancarlo Galan, il governatore Luca Zaia: «In linea di principio posso capire le preoccupazioni della Chiesa, però c’è una legge italiana che prevede queste strutture e va applicata – ha detto Zaia -. Riguarda persone per diversi motivi raggiunte da decreto di espulsione, che nulla hanno a che fare con le politiche di integrazione, per le quali il Veneto è al primo posto a livello internazionale. Il 5% del pil regionale è frutto del lavoro degli immigrati per bene, da non confondere con quelli che pensano di poter venire qui senza documenti e vivere di espedienti. Quando si parla di accoglienza e solidarietà bisogna stare attenti a non confondere chi realmente approda in Italia perchè in fuga da guerra e fame con chi invece non scappa affatto da morte sicura. Mi riferisco soprattutto ad albanesi, marocchini e tunisini: stando ai dati diffusi dalle forze dell’ordine, sono le etnìe che delinquono di più e che riempiono i Cie. Non dimentichiamo poi — ha aggiunto Zaia — che il 70% della popolazione carceraria è costituita da extracomunitari. Sono gli stessi migranti onesti a chiederci rigore e sicurezza. Come vanno puniti gli italiani che non rispettano la legge, allo stesso modo si devono identificare, attraverso i Cie, e rimandare a casa loro gli stranieri che la violano. Devono capire che per stare in Italia bisogna avere le carte in regola, come nei loro Paesi, noi non siamo certo i più tonti». La struttura veneta, ormai è molto probabile, dovrebbe sorgere a Zelo, nel Polesine dopo che inizialmente era stata prospettata una collocazione nel Trevigiano. La decisione del governo ha reso nuovamente attuale la situazione del 2005, quando – con una mossa disperata – l’allora governatore del Friuli Venezia Giulia Riccardo Illy tentò di convincere il collega Galan ad accettare sul proprio territorio la struttura per immigrati prevista (e poi realizzata) a Gradisca. Sfruttando magari il piglio autoritario di sindaci alla Gentilini. Non se ne fece nulla. Ora, cinque anni dopo, anche il Veneto scopre i Cie. E ieri proprio a Treviso un cittadino dell’Honduras fuggito il 15 agosto scorso dal Cie di Gradisca è stato bloccato dalla polizia al Pronto soccorso dell’ospedale «Cà Foncello», dove si era recato per una medicazione. L’uomo, che durante l’evasione si era ferito ad un braccio, aveva fatto ricorso quello stesso giorno alle cure dei medici dell’ospedale di Gorizia, i quali avevano avvertito la Questura. All’arrivo degli agenti, però, lo straniero era già scappato. Per l’immigrato è scattato il decreto di espulsione ed è stato quindi accompagnato alla frontiera. La settimana scorsa la Prefettura di Gorizia ha autorizzato lavori straordinari di ristrutturazione all’interno del centro, dopo le rivolte e le fughe degli ultimi mesi: gli interventi riguarderanno la recinzione esterna e la dotazione di nuovi sistemi tecnologici e di videosorveglianza che dovranno garantire a forze dell’ordine e operatori un maggiore controllo del centro.
Dal Messaggero Veneto del 12 settembre 2010
Cie, migliorie alle misure di sicurezza
di Marco Ceci
Gradisca. La Prefettura di Gorizia ha autorizzato lavori straordinari di ristrutturazione all’interno del Cie (Centro identificazione ed espulsione) di via Udine. Il provvedimento è stato deciso in seguito ai disordini e alle fughe d’immigrati dello scorso mese di agosto. La notizia è trapelata ieri da fonti della stessa Prefettura. Un intervento distinto da quello autorizzato subito dopo la doppia rivolta di ferragosto e destinato al ripristino d’inferriate, porte e finestre antisfondamento, risultate pesantemente danneggiate nel corso dei disordini. Il nuovo provvedimento della Prefettura goriziana, infatti, riguarda l’adeguamento dei sistemi di sicurezza passivi: in particolare, il ripristino del sistema di telecamere a circuito chiuso, del sistema anti-intrusione a infrarossi e il riposizionamento di alcune sezioni delle recinzioni rimosse nel 2007. Saranno ripristinati, in sostanza, le inferriate in origine sistemate a protezione delle camerate e, soprattutto, i cosiddetti offendicula, le sezioni ricurve normalmente poste in cima alle recinzioni. Interventi a più riprese invocati dai sindacati di Polizia e indicati come un passaggio necessario per ristabilire un grado di sicurezza accettabile nella struttura, tanto che l’iter dei lavori era stato avviato già nel 2008. Sindacati che sono tornati a prendere la parola ieri, quando è stata la segreteria provinciale di Gorizia del Sap a replicare come sia «un errore affermare che c’è conflitto tra operatori delle forze di Polizia e dipendenti dell’ente gestore del Cie di Gradisca. Se ci sono state responsabilità, che la Prefettura ha individuato su segnalazione del questore, non gestendo il rapporto di lavoro ma la sicurezza della struttura ha legittimamente ritenuto di vietare l’accesso a determinati operatori di Connecting people (il consorzio cooperativistico trapanese che gestisce il Cie di via Udine, ndr)». Sui lavori annunciati dalla Prefettura, invece, il Sap precisa: «Restano i pregiudizi per la sicurezza di tutti, causati dal mancato ripristino delle celle di parcellizzazione annunciato dalla Prefettura dal dicembre 2008. Va poi reso irraggiungibile il tetto». Ieri, intanto, uno degli immigrati clandestini fuggiti a ferragosto è stato bloccato dalla Polizia a Treviso, nel pronto soccorso dell’ospedale Ca’ Foncello in cui s’era recato per una medicazione. L’uomo, che durante l’evasione si era ferito a un braccio, aveva fatto ricorso quello stesso giorno alle cure dei medici dell’ospedale di Gorizia, i quali avevano avvertito la Questura. Ma all’arrivo degli agenti lo straniero era già scappato. Sempre ieri è stato scarcerato, con ordinanza del Tribunale di Trieste, il marocchino arrestato per aggressione, violenza e resistenza a pubblico ufficiale.