A Torino le mense delle scuole della prima e sesta circoscrizione le gestisce la Camst, la stessa ditta che fornisce i pasti nel CIE di corso Brunelleschi.
In questi giorni davanti alle scuole elementari della sesta circoscrizione hanno fatto la loro comparsa gli antirazzisti, che distribuiscono alle mamme, ai papà, ai nonni dei bambini il volantino “Chi gestisce la mensa della scuola?”. Un manifesto analogo è stato affisso per le strade del quartiere.
Davanti alla “Anna Frank” di via Botticelli angolo via Patetta ha fatto la sua comparsa anche la Digos, evidentemente chiamata da qualcuno che non ama che i propri affari vengano messi in piazza. Una ragione in più per far girare il volantino.
Di seguito il testo. Qui il pdf da scaricare.
A Torino e provincia sono molte le scuole e le università il cui servizio mensa è gestito dalla Camst. Quella dove vanno i tuoi figli è una di queste.
Se vai sul sito della Camst tutto è perfetto: rispetto per l’ambiente, cibi naturali, sani, di buona qualità. Lo slogan della maggior ditta di ristorazione italiana è “La cucina di casa, fuori casa”. Già fuori “casa”.
Uno slogan che ha il sapore della beffa per gli “ospiti” del CIE, il Centro di Identificazione ed Espulsione di corso Brunelleschi, dove i pasti sono in gestione alla Camst.
Cosa sono i CIE? Anche se talvolta i giornali ne parlano – perché qualcuno scappa, fa lo sciopero della fame, sale sul tetto per non essere portato via – sono pochi a sapere davvero cosa siano queste prigioni per senza carte.
Forse dovremmo tutti ricordare le storie dei nostri vecchi, tutte uguali, da nord a sud, nella disperazione di lasciare una terra dove non c’è pane né futuro, ad inseguire una speranza.
Oggi, quelli che si salvano dal mare, dai trafficanti d’uomini, dalle guardie di frontiera ma non da uno Stato che li definisce “illegali” vengono rinchiusi nei CIE. I piemontesi che andavano in Argentina finivano negli “Alberghi” degli immigrati. Felicia Cardano riporta i racconti sentiti in famiglia: “Mio padre arrivò a Buenos Aires nel 1889 a bordo del ‘Frisca’. Durante il viaggio morirono il suo migliore amico e altre trenta persone. Lo misero all’Hotel della Rotonda, un enorme baraccone di legno, dove si stava stipati come sardine insieme ai pidocchi e alla puzza.”.
Sono storie di ieri, storie dei tanti piemontesi che partirono alla volta del Sudamerica per cercare “suerte”, fortuna, ma videro la morte in faccia, poi le baracche/prigioni, il disprezzo, lo sfruttamento bestiale. Tanti scappavano dalla guerra, la prima, quella che si mangiò la vita di tanti giovani contadini ed operai mandati a morire per spostare un confine.
Molti di quelli che oggi arrivano in Piemonte, fuggono le guerre e la miseria come i nostri bisnonni. Chi arriva ha negli occhi il deserto, le galere libiche, il mare, i pescherecci che passano senza fermarsi, i militari che vanno a caccia di uomini. Hanno negli occhi il ricordo dei tanti lasciati per strada, morti senza tomba né umana pietà. Pochi di loro trovano “suerte”, fortuna: per i più c’è lavoro nero, salari infimi, paura, discriminazione. Chi viene pescato finisce nei CIE e di lì via, indietro, ancora verso l’inferno.
Il diritto legale di vivere nel nostro paese è riservato solo a chi ha un contratto di lavoro, a chi accetta di lavorare come qui nessuno più era obbligato a fare.
Nei CIE finisci per quello che sei, non per quello che fai. Come nei lager nazisti. Raccontano che nei CIE stanno i delinquenti, ma mentono. Nei CIE rinchiudono chi ha perso il lavoro e, quindi, anche le carte, oppure chi un lavoro a posto con i libretti non l’ha mai avuto e quindi nemmeno le carte in regola.
Chi resta, dopo aver ricevuto un decreto di espulsione, rischia la galera perché – da un anno – l’immigrazione clandestina è un reato penale. Pensate se succedesse a voi. Perdete il lavoro – di questi tempi non è difficile – e un giorno venite intercettati da una pattuglia e poi “ospitati” in un CIE, per sei mesi, in attesa di essere deportati lontano dalla vostra vita, dai vostri affetti, dai vostri figli.
Da sempre nei CIE – ieri CPT – soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi a go go sono pane quotidiano.
Un pane amaro come quello servito dalla Camst. E non solo perché qualche volta nel sugo spunta uno scarafaggio. Non solo perché i reclusi protestano per il cibo scadente. Il pane dei prigionieri è sempre pane amaro.
Chi accetta di gestire la mensa di un CIE è complice del meccanismo delle espulsioni, delle politiche razziste del nostro paese.
Ma qualcosa lo puoi fare anche tu.
Vai da quelli della Camst e dì loro che cucinare per un lager è inaccettabile.
Dì loro che domani tuo figlio mangia il panino di casa, che chi lucra sulla vita degli immigrati merita di essere boicottato.
Chiama quelli della Camst e dì loro chi sei e cosa pensi. Questo è il numero: 011 7750211
A volta basta poco per inceppare una macchina: una manata di sabbia negli ingranaggi. Qualche genitore che guarda negli occhi suo figlio e dice no, non ci sto. Questo non è il mondo che voglio per te e per tutti gli altri bambini.
Mettersi in mezzo è un’urgenza che parla a ciascuno di noi.
Se non ora, quando? Se non io, chi per me?
Per info e contatti:
Federazione Anarchica Torinese – FAI
corso Palermo 46 – riunioni – aperte a tutti gli interessati – ogni giovedì dalle 21
fai_to@inrete.it – 338 6594361