Torino. Una giornata contro i CIE

Liberté, freedom, al hurria. Libertà.
Cronaca e riflessioni sull’iniziativa contro il CIE del 10 luglio.Da sempre nei CIE – ieri CPT – soprusi, pestaggi, cure negate, sedativi nel cibo sono pane quotidiano. Le lotte degli immigrati rinchiusi nei CIE hanno segnato l’ultimo decennio. Una lunga resistenza, spesso disperata, fatta di braccia tagliate, bocche cucite, lamette o pile ingoiate. Qualcuno ha preferito la morte alla deportazione e l’ha fatta finita. In tanti si sono ribellati, bruciando materassi, distruggendo suppellettili, salendo sul tetto. Un po’ ovunque ci sono stati tentativi di fuga.
Chi arriva in Italia ha negli occhi il deserto, le galere libiche, il mare, i pescherecci che passano senza fermarsi, i militari che vanno a caccia di uomini. Hanno negli occhi il ricordo dei tanti lasciati per strada, morti senza tomba né umana pietà. Pochi di loro fanno “fortuna”: per i più c’è lavoro nero, salari infimi, paura, discriminazione. Chi viene pescato senza carte in regola finisce nei CIE e di lì via, indietro, ancora verso l’inferno.
Finire in un CIE è sin troppo facile.
Raccontano che nei CIE stanno i delinquenti, ma mentono sapendo di mentire. Nei CIE rinchiudono chi ha perso il lavoro e, quindi, anche le carte, oppure chi un lavoro a posto con i libretti non l’ha mai avuto e quindi nemmeno le carte in regola.
Il diritto legale di vivere nel nostro paese è riservato solo a chi ha un contratto di lavoro, a chi accetta di lavorare come qui nessuno più era obbligato a fare. Oggi i migranti, con permesso o in nero, sono i nuovi schiavi di quest’Europa fatta di confini e filo spinato. Gente la cui vita vale poco o nulla.
Dallo scorso agosto, quando entrò in vigore il pacchetto sicurezza, un insieme di provvedimenti disciplinari volti alla repressione dell’immigrazione clandestina e dell’opposizione politica e sociale, le proteste nei CIE, inizialmente a cadenza quotidiana, si sono moltiplicate.
Purtroppo l’impegno degli antirazzisti non è stato sufficiente a rompere il muro del silenzio che circonda quanto avviene in questi lager della democrazia, in queste prigioni per uomini e donne “colpevoli” di essere nati poveri.Un gruppo di antirazzisti torinesi ha lanciato l’idea di costruire un’iniziativa contro i CIE, che sapesse raccogliere un consenso ampio, portando davanti alle mura del lager di corso Brunelleschi tanta gente che forse non c’era mai stata.
Negli ultimi anni i presidi davanti al CIE, che, pure, è stato teatro di lotte, scioperi della fame, episodi di autolesionismo, repressione feroce, non sono mai andati oltre le quaranta/cinquanta persone. Nei periodi buoni.
Si è quindi lavorato per dar vita ad giornata in cui, superando le diversità e facendo delle differenze un laboratorio nel quale sperimentare percorsi di lotta comune, fosse possibile che le tante anime dell’opposizione politica e sociale si incontrassero per costruire una giornata di lotta ampia.
È nato il comitato “10 luglio Antirazzista” che ha saputo catalizzare centri sociali e case occupate, sindacati di base e organizzazioni di migranti, gruppi politici e associazioni GLBT.
Una scommessa non facile, una scommessa vinta.

    Nonostante il caldo infernale il corteo partito da piazza Sabotino, nel cuore del popolare quartiere S. Paolo, ha visto una buona partecipazione, cresciuta durante il percorso. Numerose le soste per informare, parlare con il quartiere, raccontare le storie dei prigionieri di corso Brunelleschi. In corso Peschiera si è sostato a lungo davanti alla ex clinica S. Paolo, occupata da profughi e rifugiati del corno d’Africa, parte dei quali ancora resistono nell’area detta “casa bianca”. Poi giù per le strade del quartiere, con soste al mercato ed ai principali incroci. Lo striscione di apertura aveva la scritta “Torino è antirazzista”.
    La Torino Samba Band ha accompagnato la giornata attirando l’attenzione dei numerosi passanti.
    Buona la presenza di anarchici e libertari nello spezzone dell’anarchismo sociale, aperto dallo striscione della FAI torinese “Senza Stati né frontiere nessuno è clandestino”. Presenti anche compagni di Alessandria, Tortona, Valenza, S. Salvatore, Parma, Monza, Milano, Trieste.
    C’erano i sindacati di base, CUB e USB, con le loro bandiere, Emergency, il circolo di cultura GLBT “Maurice”, Sinistra Critica, il circolo di Rifondazione “Vighetti Meyer” di Bussoleno, numerosi esponenti delle case occupate e dei centri sociali torinesi, il comitato pace di Robassomero, il collettivo antirazzista “Gabelli”, il Comitato immigrati autorganizzati e tanta, tanta gente venuta a sostenere quanto scritto sull’altro striscione di testa “Chiudere i CIE subito!”.
    Il corteo si è concluso davanti al CIE di corso Brunelleschi, dove lo attendeva un imponente schieramento di polizia. L’iniziativa è proseguita per tutta la serata con musica dal vivo, interventi, testimonianze, telefonate con i reclusi del CIE, che hanno ringraziato per la presenza solidale.
    In apertura Marco Rovelli, autore di “Lager Italiani” e di Servi” prima di proporre alcune canzoni del suo repertorio, è intervenuto sui CIE e sul meccanismo infernale che stritola la vita dei migranti.
    Un compagno di Trieste ha raccontato l’esperienza di lotta contro il CIE di Gradisca d’Isonzo, uno di Milano ha fatto un breve excursus delle lotte contro quello di via Corelli ed ha lungamente narrato la lotta dei rom di via Triboniano. Karim degli immigrati autorganizzati ha sostenuto con forza la necessità di dare continuità alla lotta, moltiplicando le iniziative comuni.
    La testimonianza registrata di un pestaggio all’interno del CIE di Milano ha reso ancor più doloroso l’incombere del muro del CIE sorvegliato da uomini in armi.
    Gli stessi che pestano gli immigrati nei CIE, gli stessi che, poco dopo la mezzanotte, hanno cominciato a pressare gli antirazzisti, che hanno comunque concluso il programma nonostante l’agitazione crescente tra le forze del disordine statale.
    Alcuni hanno gettato oltre il muro messaggi infilati in palline da tennis: un ragazzo marocchino ha scritto un saluto per un amico.
    Alcune palline sono tornate indietro con le risposte dei reclusi: un ragazzo tunisino, Thomas, ha scritto “Grazie, siamo con voi, state sempre dalla nostra parte”.
    Un immigrato asmatico ha lanciato la scatola delle medicine che la Croce Rossa gli ha dato per curare la sua malattia: un ottimo farmaco. Peccato che fosse scaduto da oltre due anni!
    Il messaggio più breve, che ha trovato eco a due lati del muro della vergogna diceva: “liberté, merci”. Liberté, freedom, al hurria. Libertà.
    In uno degli interventi prima del concerto una compagna ha detto “Quel muro, il muro del CIE, è una vergogna. Non per chi vi è rinchiuso, ma per tutti noi. Dobbiamo porvi fine, tirandolo giù, chiudendo i lager della democrazia.”

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