20 luglio 2010. Maroni lo vorrebbe fare a Falconara Marittima, nel compendio demaniale di via Fossatello, già area logistica esterna a servizio dell’ex aeroporto militare. Il presidente della Regione Spacca, in una lettera inviata al Ministro dell’Interno ha ribadito che “la Regione è indisponibile a condividere con il Governo la scelta di realizzare un Cie nel suo territorio”, anche se Maroni ne vorrebbe uno in ogni regione.
“La Regione Marche – ricorda Spacca – ha da tempo manifestato perplessità e contrarietà alla costruzione nel proprio territorio di centri di identificazione ed espulsione in cui accogliere temporaneamente gli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione o respingimento. Tale posizione è stata rappresentata anche attraverso atti ufficiali”.
Spacca fa sapere a Maroni che il 24 novembre 2009 “l’Assemblea legislativa regionale ha approvato un ordine del giorno in cui si dichiara che ‘il trattenimento dei cittadini immigrati in attesa di identificazione si è rivelato essere un trattamento ai limiti della legalità, causa di dispersioni di famiglie e fenomeni di autolesionismo e suicidio, e che va comunque considerato lesivo dei diritti umani e fuorviante negli scopi che persegue’, impegnando di conseguenza la giunta a opporsi ‘nei modi e nelle forme stabilite dalla Costituzione, alla realizzazione nelle Marche di centri di detenzione per migranti, quali i centri di identificazione ed espulsione, in cui la limitazione della libertà personale sia disposta al di fuori del medesimo quadro di garanzie previste per i cittadini italiani”.
Per la giunta marchigiana, “anche il tempo di permanenza nelle strutture (fino a sei mesi) rischia di configurarsi come il superamento dell’elemento di temporaneità tipico dei centri, con un aggravio di costi per lo Stato e una maggiore difficoltà a gestire i conflitti dovuti alla restrizione della libertà personale degli ospiti”.
Belle parole. Peccato che Spacca, esponente di punta del PD marchigiano, dimentichi che i CIE, allora CPT, sono stati istituiti da una legge del 1998, firmata da due suoi compagni di partito, l’ex ministro Livia Turco e l’attuale presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Come mai oggi il CIE è considerato un luogo “lesivo dei diritti umani e fuorviante negli scopi che persegue”. Forse il passaggio all’opposizione affina la capacità critica? O magari vale il principio che sotto casa questi posti non li vuole nessuno. Nemmeno chi appartiene al partito che li ha aperti.