Senza tregua
L’estate torrida nelle prigioni per migranti è continuata per tutto il mese di agosto. Da nord a sud i reclusi nei centri hanno saltato muri, divelto recinzioni, fatto buchi. Molti sono riusciti a fuggire, altri hanno subito pestaggi, arresti, processi.
Il 5 agosto il parlamento ha convertito in legge il decreto governativo del 6 luglio prorogando le missioni militari all’estero. Sul fronte della guerra contro l’immigrazione è stato mantenuto l’intervento della guardia di finanza a fianco delle truppe libiche nelle azioni di pattugliamento in mare. Maroni si vanta di essere riuscito in tal modo a bloccare gli sbarchi sulle nostre coste, che nell’ultimo anno avrebbero subito una drastica riduzione, obbligando immigrati e profughi e cercare altre rotte. Gli uomini, donne, bambini rinchiusi nelle prigioni libiche nessuno li vede, pochi ne sanno. Forse, purtroppo, a pochi interessa. In galere dove il razzismo dei guardiani è pari solo all’avidità, torture, stupri, umiliazioni sono il pane quotidiano. Il confine tra la vita e la morte è sottile come le banconote gualcite che qualcuno riesce a pagare alle guardie perché chiudano un occhio. E fuori, oltre le mura, spesso c’è il deserto, che impietoso uccide chi non ha abbastanza soldi per riprendere il viaggio.
In luglio la vicenda dei profughi eritrei pestati a sangue nel centro di Misratah, dove si erano ribellati, poi deportati a Brak, grazie ad un banale sms con richiesta di aiuto, ha, sia pure a fatica, bucato il silenzio, obbligando le autorità libiche a fare dietrofront, liberando i prigionieri, con un permesso temporaneo di tre mesi per la Libia.
In occasione della visita del premier libico il 30 agosto a Roma, celebrando tra spettacolo e affari il secondo anniversario del trattato che ha dato il via alla collaborazione sui respingimenti, solo poche voci si sono levate per chiedere dei profughi abbandonati nel deserto, dei centri di detenzione che Gheddafi pretende di aver chiuso in luglio. I diritti umani e altre amenità vanno bene per le cerimonie, le dichiarazioni ufficiali, il bon ton umanitario. Ma quando si tratta di business la musica cambia.
Sul fronte “interno” è sempre più evidente la difficoltà del governo a gestire le continue rivolte e tentativi di fuga dai CIE: nonostante i pestaggi feroci, l’impiego dell’esercito a fianco di polizia e carabinieri, la situazione sfugge al controllo. In molti centri telecamere, sistemi di rilevamento ad infrarossi, a volte intere sezioni sono state rese inutilizzabili nel corso delle sommosse degli immigrati.
Ne sanno qualcosa gli operatori del consorzio Connecting People, che gestiscono, tra gli altri, il CIE di Gradisca, dove in quest’agosto di fuoco le fughe tentate e riuscite si sono moltiplicate. I bei soldi che vanno a chi gestisce i Centri cominciano a costar cari a chi ha deciso di gestire un lager.
A più riprese quelli di Connecting People hanno denunciato aggressioni, insulti e minacce da parte dei reclusi, invocando maggior “sicurezza” in quello che definiscono “un carcere a basso costo che utilizza una struttura totalmente inadeguata”. Questi affaristi dell’umanitario, sinistri gestori di gabbie per uomini, chiamano le cose con il loro nome. Senza pudore né vergogna.
Ma, di sicuro, con sempre maggior paura.
E – a seguire le cronache di luglio e agosto – non si può dire che non ne abbiano motivo.
Brindisi, domenica 15 agosto
Ci provano in trenta, ci riescono in 10, gli altri, alcuni malconci per il saldo del muro, vengono riacciuffati. Questo il bilancio di ferragosto al CIE di Restinco.
Milano, notte tra domenica 16 e lunedì 16 agosto
Dal CIE di via Corelli provano a scappare in 4, ma solo uno ci riesce, 18 reclusi sono invece denunciati per la sommossa che per tutta la nottata ha infiammato il centro. La repressione contro gli immigrati saliti sul tetto della struttura è durissima: i poliziotti pestano duro, colpendo anche il viso, persone distese inermi a terra. Una vera mattanza. I quattro feriti più gravi, svenuti per le botte ricevute, vengono ricoverati in ospedale.
Gradisca, domenica 15 agosto
Nel campetto di pallone dei CIE si accede a gruppi di 10, fatti entrare da un operatore di Connecting people, che li conta. In una quarantina si scagliano addosso al secondino, un immigrato algerino in Italia da anni, e fanno irruzione nell’area, divelgono i lucchetti e provano a saltare il muro. Ci riescono in 25: purtroppo 14 vengono ripresi. Per gli altri 11 è un ferragosto di libertà.
Trapani, 17 agosto
Nuova fuga di massa dal “Serraino Vulpitta”. Ci hanno provato in piena notte, calandosi dalle finestre del primo piano e forzando poi la cancellata. Dei 43 fuggitivi soltanto una quindicina è riuscita ad allontanarsi facendo perdere le proprie tracce ai poliziotti che hanno ripreso gli altri. Un immigrato, la gamba fratturata nel salto dalla finestra, è stato ricoverato in ospedale e potrebbe essere stato denunciato per i danneggiamenti alla struttura durante la fuga. La magistratura sta vagliando la posizione di altri cinque immigrati. I CIE, vale la pena ricordarlo, non sono formalmente carceri, per cui chi scappa non può essere imputato di evasione. Ma ai pubblici ministeri non manca mai la fantasia per scovare altre imputazioni.
Il Centro di Trapani, assieme a quello di Lamezia Terme, è finito nel mirino di Medici senza Frontiere, l’associazione di volontari, che da qualche anno ha scelto di intervenire nella tutela e nella denuncia della condizioni igienico sanitarie in cui vivono gli immigrati nel nostro paese. Nel rapporto di MSF, i centri di Trapani e Lamezia sono descritti come i peggiori d’Italia ed andrebbero immediatamente chiusi.
Gradisca, 28 e 29 agosto
Nuova fuga di massa dalla struttura isontina. In trenta sono saliti sul tetto inscenando una protesta, mentre nella confusione 13 tentavano la fuga: solo 8 ce la fanno ad allontanarsi dal centro.
Il giorno successivo la replica, ma questa volta la polizia è pronta ad intervenire: volano le manganellate, due immigrati pestati ed ammanettati sono portati fuori dal centro, vengono sparati anche dei lacrimogeni.
La guerra contro i poveri continua.
La resistenza anche.