Torino. Un attimo di rabbia, sei mesi di carcere

Torino, 12 novembre 2010. Due immigrati condannati a quattro e sei mesi di reclusione per una protesta al CIE.
È il 17 agosto di quest’anno. Al CIE di Torino c’è tensione: sono passate solo tre settimane dalla rivolta del 14 luglio, dalla resistenza sul tetto del tunisino Sabri, che lottava per non essere deportato, quando mancavano pochi giorni alla fine dei sei mesi che lo Stato italiano ruba alle vite dei “clandestini”.
Qualche bottiglia d’acqua – di quelle piccole di plastica – vola verso i poliziotti. Due immigrati vengono tratti in arresto con l’accusa di resistenza. Un breve momento di rabbia nei giorni tutti uguali di chi sta in gabbia.
Uno, Ali Bouchri, viene liberato dal Gip, perché accusato di poco o nulla e per lui scatta la deportazione in Marocco, l’altro, Bilel Abdaoui, finisce alle Vallette.
Nella prima udienza del processo – con rito abbreviato condizionato – è subito chiaro che le “prove” a carico di Bouchri e Abdaoui sono carta nel vento: verbali che non dicono nulla, un testimone che non riconosce nessuno, i filmati sull’episodio spariti per “errore”.
Ma tanto basta alla giudice Pane, dopo cinque minuti di riflessione, condanna Bouchri a quattro mesi, Abdaoui a sei. I poliziotti hanno sempre ragione anche quando non ricordano niente, confondono tra loro gli imputati, si perdono “le prove”.
Alcuni antirazzisti presenti in aula hanno salutato Bilel all’uscita.
Il suo difensore ne ha chiesto la scarcerazione, il PM non si è opposto.
La corte si è riservata di decidere. Tra quattro o cinque giorni Bilel Abdaoui saprà se trascorrerà l’inverno in carcere o al CIE. O, chi sa? Magari in Tunisia. Imbarcato a forza.

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