Corpi in eccesso.
359 bare allineate in un hangar per dare una parvenza di dignità alle ultime vittime della frontiera sud della Fortezza Europa. I sacchi neri, che a Lampedusa sono sempre pronti, non potevano reggere la prova della telecamera, il ginocchio piegato di Letta, il cordoglio di Barroso e Alfano, il lutto nazionale, l’indignazione degli assassini che hanno deciso di accendere i riflettori su uno dei tanti episodi della guerra ai poveri.
Sullo sfondo i pescatori che fuggono le telecamere perché sanno che chi tira fuori dall’acqua qualcuno rischia l’incriminazione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e il sequestro della barca, del lavoro, del futuro. Le immagini dei giornalisti a caccia di “eroi” potrebbero essere usate da qualche solerte magistrato. Nei lunghi anni di questa guerra nascosta chi ha teso la mano nell’usuale solidarietà di chi solca il mare spesso è incappato nelle maglie della giustizia.
Amara come fiele l’indignazione del governo per l’incriminazione dei superstiti, come se chi governa non sapesse che l’ordinamento lo impone.
Anarres ha chiesto un commento a caldo ad Alberto La Via, un antirazzista siciliano, che in questi anni ha visto il Mare di Mezzo farsi sudario per i corpi cui la ferocia delle frontiere avevano sottratto la vita.
Ventimila quelli che qualcuno ha visto partire da uno dei tanti sud e non tornare mai più. Certo di più quelli di cui non si è avuta alcuna notizia.
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Proponiamo anche questo articolo, sempre di Alberto, tratto dal n.30 di Umanità Nova.
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