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CIE di Torino. Fuga di mezzanotte

Torino 1 gennaio. Dopo l’evasione di massa della notte tra il 24 e il 25 dicembre i reclusi del Centro di corso Brunelleschi, ci hanno riprovato la notte di capodanno. Questa volta la questura non si è fatta cogliere impreparata: decine di uomini sono entrati nelle gabbie prima della mezzanotte. Un’azione preventiva per scoraggiare ogni tentativo di fuga. Nonostante le premesse decisamente poco incoraggianti, dalla sezione blu ci hanno provato lo stesso. Saltate le serrature hanno affrontato la polizia lanciando quello che potevano in risposta ad idranti e lacrimogeni. Nella confusione quattro (forse cinque) immigrati sono riusciti a saltare il muro facendo perdere le proprie tracce.
Un ragazzo senegalese è stato intercettato dalla polizia e arrestato. Il giorno successivo è stato scarcerato con l’accusa di resistenza e lesioni.
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CIE di Torino. Vacanze di Natale

Ci avevano provato la notte del 24 dicembre, ma era andata male. I poliziotti di guardia al Centro di corso Brunelleschi erano riusciti a bloccare un tentativo di fuga. Nell’area rossa usano gli idranti e pestano duro due prigionieri.

La sera dopo, è il 25 dicembre, i secondini sono pochi, chiusi nei loro gabbiotti, quando, profittando che le serrature forzate la notte prima non erano state riparate, gli immigrati senza carte hanno aperto le porte delle varie casette che li rinchiudono, e si sono riversati lungo la recinzione, saltandola in più punti.
Un ragazzo si è ferito cadendo dal muro ed è stato subito riacciuffato, altri tre, che avevano trovato rifugio in un capannone, sono stati individuati, fatti scendere con una scala dei vigili del fuoco e riportati nel centro.
Molti altri, forse più di venti, sono corsi via veloci facendo perdere le proprie tracce.
Se i numeri verranno confermati potrebbe essere stata una fuga più numerosa dopo quella del 22 settembre.
Una lunga vacanza di Natale. Un buon augurio per l’anno che viene.
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Torino. Contro pogrom razzisti e stragi fasciste

Torino. Contro pogrom razzisti e stragi fasciste
Torino 17 dicembre. Siamo alle Vallette, il quartiere popolare, che ha i suoi emblemi in quella discarica sociale che è carcere e nel nuovo stadio della Juve, dove le tensioni sociali si stemperano tra tifo e ginnastica ultrà.
In questo quartiere il 10 dicembre si è consumato un pogrom.
Una ragazzina racconta un bugia, uno stupro mai avvenuto, punta il dito su due rom, i rom che vivono in baracche fatiscenti tra le rovine della cascina della Continassa. In pochi giorni nel quartiere cominciano a girare i soliti volantini anonimi dei “cittadini indignati” che invitano a “ripulire la Continassa”.
Il corteo, in prima fila la segretaria cittadina del PD, Bragantini si dirige al campo. I rom fuggono, la polizia sta a guardare. Partono le molotov che si mangiano tutto.

Sabato 17 prima al mercato di piazza Montale, poi in quello di corso Cincinnato, c’è un volantinaggio di solidarietà con le vittime della barbarie razzista. Tanti si fermano, prendono il volantino, dichiarano solidarietà.

Nel pomeriggio l’appuntamento, organizzato da numerose associazioni antirazziste e gruppi politici, è in piazza Castello per un presidio di solidarietà con i rom della Continassa e con i due africani ammazzati da un fascista due giorni prima a Firenze.
Il presidio si trasforma in corteo spontaneo: alla testa un folto gruppo di senegalesi con due striscioni con i nomi dei due ambulanti uccisi. Tra slogan e musica il corteo si dipana per il centro.
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Torino. Fuga dal CIE

Giovedì 22 settembre. La notte scorsa i prigionieri del Centro di Identificazione ed espulsione di corso Brunelleschi hanno tentato una fuga di massa. La seconda in meno di un mese.
In contemporanea hanno tentato di abbattere le porte delle recinzioni delle varie sezioni. In parecchi hanno scavalcato dall’uscita secondaria di corso Brunelleschi.
Alcuni ce l’hanno fatta, altri sono stati riacciuffati. Secondo La Stampa on line hanno riconquistato la libertà in 22, mentre altri 7 sono stati tratti in arresto con l’accusa di resistenza e lesioni.
Durante la notte, alcuni abitanti affacciati al balcone di corso Brunelleschi gridavano ai poliziotti “almeno questi li avete ripresi”.
Come in videogame. Un gioco feroce dove si smarrisce l’umanità.
Oltre quelle gabbie ci sono uomini e donne. Chi lo dimentica è complice.
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Torino. Furia d’agosto al CIE

“Noi da qua non scendiamo. L’altra sera la polizia ci ha sparato i lacrimogeni”. È una torrida domenica di agosto, ancora più torrida per i reclusi del CIE di corso Brunelleschi che nella notte sono saliti sul tetto delle aree bianca e blu. Chi parla è un immigrato appollaiato lassù, che spera che i microfoni di radio Blackout possano rompere il muro di silenzio e indifferenza che stringe le maglie delle gabbie che rinchiudono le vite dei senza carte.

Tutto comincia venerdì 19 agosto. Nella notte scoppia una rivolta che investe diverse aree del CIE: vanno a fuoco materassi e suppellettili, un ragazzo si taglia, un altro cerca di impiccarsi. I poliziotti rifiutano di far arrivare le ambulanze e assediano le gabbie. Poi entrano nelle aree ribelli colpendo con i manganelli e gli spray urticanti. Impiegano anche i cani . Alcuni ragazzi vengono feriti. Poi cala una calma tesa, tra le minacce degli uomini in divisa e la rabbia dei prigionieri.

La mattina dopo la protesta riprende: sciopero della fame e battiture. Nella notte molti decidono di salire sui tetti.
Alcuni antirazzisti fanno un piccolo presidio solidale in serata. Un secondo presidio notturno viene disperso dalla polizia, tra le proteste e le urla degli immigrati sul tetto. Due donne vengono fermate, trattenute a lungo in questura e rilasciate con un bel pacchetto di denunce.
Il solito gruppetto di residenti incarogniti urla contro chi è abbastanza umano da non tollerare che nella loro città vi sia una galera per chi è nato povero.

Domenica 21 nuovo presidio solidale al CIE. Un compagno si guadagna subito un soggiorno di tre ore al commissariato di corso Tirreno per aver provato senza successo a lanciare bottigliette d’acqua agli immigrati sul tetto della sezione blu, quella più vicina alla strada. Dal tetto arriva un messaggio in una bottiglia di plastica: “aiuto e libertà”.
Alcuni residenti si avvicinano e comincia un dialogo meno incarognito del solito.
Il quotidiano “La Stampa” racconta un’altra storia. Per il quotidiano torinese si sarebbe trattato di un fallito tentativo di fuga di messa, seguito da una rivolta con danneggiamenti della mensa dell’area bianca. L’innesco di questo fuoco d’agosto sarebbero state le palline infarcite di messaggi lanciate dagli antirazzisti. Stessa musica nell’articolo del 21 agosto.
Se bastassero gli incitamenti a innescare le rivolte, oggi dei CIE resterebbe ben poco.
Le rivolte, le fughe sono normali in un mondo di gabbie e filo spinato.
Chi si oppone alle frontiere da sostegno ai ribelli e cerca di spezzare il silenzio e le bugie su questi moderni lager della democrazia.
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Torino. Inganni e deportazioni

Giovedì 9 giugno. La questura da appuntamento a tutti in corso Verona per la consegna del permesso di soggiorno. Ma è solo un trucco. Cinquanta egiziani vengono sequestrati, portati nella sede centrale di via Grattoni dove viene comunicata loro l’espulsione.
Fuori dalla questura si raduna un piccolo presidio di parenti e antirazzisti, che sperano si possa ancora impedire la deportazione. La risposta della polizia è rapida e brutale: carica con tanto di lacrimogeni.
Gli egiziani, caricati a forza sui pullman vengono portati all’aeroporto di Caselle dove in serata è già pronto un volo speciale della Mistral Air, la compagnia che ha l’appalto dal Ministero per questo genere di operazioni.

Il governo, in difficoltà con il proprio stesso elettorato, dopo il risultati delle consultazioni amministrative, reagisce con la consueta combinazione di stupidità e ferocia.
Purtroppo la solidarietà concreta contro le espulsioni è ancora pratica di una piccola minoranza. A noi tutti l’impegno a farla crescere.
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Torino. Braccio di ferro

Torino, 25 marzo. Dopo la distruzione dell’area verde del CIE gli immigrati hanno passato le ultime due notti nel cortile, senza possibilità di lavarsi. Nell’area blu dopo l’incendio di alcuni materassi, oggi due immigrati sono stati arrestati. La tensione resta alta. La questura pare decisa ad applicare la linea dura, obbligando chi brucia le stanze a restare nelle strutture ormai inagibili.
Una sorta di braccio di ferro per vedere chi molla prima.
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Volo speciale. Torino, Bari, Lampedusa. E ritorno

Martedì 22 marzo.
Torino Caselle. Due voli speciali diretti prima a Bari e poi a Lampedusa sono partiti alle 11,30 e alle 14. Non sappiamo quanti immigrati siano stati coinvolti nell’operazione ma non è difficile immaginare che sia una tappa nel gioco di bussolotti di Maroni.
Si caricano un po’ di immigrati a Torino e li si molla a Bari, dove, dopo la deportazione a Mineo di un centinaio di richiedenti asilo, c’è un po’ di spazio. Poi si vola a Lampedusa, si fa un carico di tunisini appena sbarcati, e li si porta ancora a Bari.

Torino. Non si placano le proteste nell’area verde del CIE. Dopo l’incendio che domenica notte ha mandato in fumo tre moduli abitativi su cinque, i reclusi, tutti tunisini, hanno dato alle fiamme tavoli e sedie della mensa, dove erano stati obbligati a dormire la notte precedente.
Radunati nel cortile e perquisiti sono stati privati degli accendini.
Altri reclusi si sono tagliati: due sono stati medicati in ospedale.

Gradisca. La rivolta e la fuga di domenica sono state di ben più ampie di quanto era stato fatto trapelare in un primo tempo. Secondo quanto riportano i giornali le stanze ancora agibili dopo le sommosse di fine febbraio sono state danneggiate ulteriormente.
Brutte notizie invece dal fronte del CARA, questa notte tre richiedenti asilo sono stati caricati su un aereo di linea e deportati a Mineo.
Gli operatori di Connecting People hanno blandito gli altri ospiti del CARA con promesse impossibili. Qualcuno ci ha creduto, altri no. C’è chi pensa che a Mineo troverà una villetta tutta per se e un lavoro; gli altri sono stanchi, insofferenti, rassegnati.

Roma. 29 richiedenti asilo sono stati trasferiti a Mineo dal CARA di Castelnuovo di Porto. Una ventina di attivisti di Action si erano incatenati all’ingresso principale per impedire la deportazione, ma sono stati beffati dalla polizia che ha fatto uscire i rifugiati da un ingresso laterale.
Il ministero dell’Interno aveva disposto lo spostamento di 55 persone: in seguito alle proteste di alcune associazioni, alcuni “casi vulnerabili” sono stati esclusi dalla lista.

La condizione dei richiedenti asilo concentrati a Mineo sarà ancora peggiore di quella attuale. Tutte le pratiche sono concentrate in un’unica commissione territoriale; chi ha fatto ricorso avrà difficoltà a partecipare alle udienze, tutte le reti di sostegno e solidarietà sviluppate sui vari territori vengono spezzate.
Ovviamente le sofferenze di chi già ha subito guerre e persecuzioni importano poco a Maroni. L’essenziale è accontentare l’elettorato leghista.
Ma il ministro è nei guai sino al collo. Il viaggio in Tunisia programmato oggi è stato rimandato di qualche giorno: segno che non sarà facile convincere il governo tunisino a mettere in atto misure di contrasto dell’immigrazione, nonché a mantenere gli impegni presi quest’estate da Ben Alì per il rimpatrio veloce dei clandestini. Gli aiuti promessi alla Tunisia per far fronte all’ondata di profughi sono stati ridotti ad un mero supporto al rimpatrio degli immigrati provenienti dal Bangladesh. Della serie: li portiamo a casa noi, così non rischiamo di ritrovarceli su un barcone diretto a Lampedusa. Non manca chi si chiede che fine abbiano fatto i soldi inizialmente stanziati per gli aiuti.
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Torino. Incendiata l’area verde del CIE

Lunedì 21 marzo. L’area verde del CIE di corso Brunelleschi è stata gravemente danneggiata da un incendio. Intorno alla mezzanotte i reclusi avrebbero dato alle fiamme materassi e suppellettili. Secondo quanto riferito da quotidiani ed agenzie il fuoco avrebbe reso inagibili tre su cinque moduli abitativi. I reclusi, secondo l’ormai collaudato “modello Gradisca” non sarebbero stati trasferiti altrove ma ammassati nell’area mensa. A poco più di venti giorni dalla rivolta del 28 febbraio, quando andò in fumo la sezione gialla, il CIE torinese torna ad infiammarsi.
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CIE di Torino. Ancora in sciopero della fame

Sabato 5 marzo. Al CIE di Torino, dopo la rivolta che ha mandato in fumo la sezione gialla, i reclusi sono in sciopero della fame da ormai cinque giorni.
La maggior parte di loro proviene dalle città costiere della Tunisia, dove si campa soprattutto di turismo. L’insurrezione che ha portato alla cacciata di Ben Alì e, la scorsa settimana, del suo successore Gannouci, ha messo in ginocchio l’economia di queste zone. Da qui l’esodo verso l’Europa. Molti contano di raggiungere in Francia parenti ed amici: qualcuno ce l’ha fatta, altri sono stati rinchiusi nei CIE, come quello di corso Brunelleschi. Tra loro, a quanto riferisce l’Unità, c’è anche un minorenne, che non l’ha dichiarato perché teme di essere separato dai propri amici.
Intanto ai valichi di frontiera tra l’Italia e la Francia si sta giocando una partita a ping pong dove le palline sono esseri umani rimbalzati da un lato all’altro del confine. Un confine ormai cancellato che torna ad innalzare le proprie barriere di fronte a uomini in fuga dalla miseria.
I trenta ragazzi rinchiusi nel CIE di Torino sono decisi a resistere: molti di loro hanno partecipato alla rivolta contro Ben Alì, assaporando il gusto della libertà, un gusto cui non sono disposti a rinunciare tanto facilmente. Non capiscono perché proprio a loro tocchino sei mesi in gabbia e poi la deportazione. Il governo italiano non sa che pesci prendere, teme perdere consensi e si muove a casaccio.
Dei tanti approdati a Lampedusa dalle coste tunisine alcuni ottengono asilo, ad altri viene dato il foglio di via e provano a saltare la frontiera con la Francia, altri ancora, come i trenta nel CIE di Torino, si guadagnano un soggiorno gratis dietro le sbarre.
Alcuni loro amici in Tunisia hanno aperto una pagina facebook dedicata a loro. Si chiama Guntanamo/Italia.
Leggi il bel reportage pubblicato su Fortresse Europe.
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Torino. Alpino impacchettato e corteo migrante

Torino, Primo Marzo. Un enorme telo di plastica nera ha impacchettato il Totem all’Alpino. Sul tronco che ne regge il testone è stato piazzato un grosso cartello con la scritta “via gli alpini dalla città”.
Non poteva che iniziare così la giornata di lotta migrante a Torino. Gli alpini sono nelle nostre strade e nel centro di corso Brunelleschi da ormai due anni. Sono gli stessi che ammazzano in Afganistan. Sei mesi là e sei mesi qua. A fare la guerra ai poveri.
Poi si parte. Italiani e immigrati insieme per una giornata che riprende il filo rosso delle lotte dell’autunno contro la sanatoria truffa, per i documenti, contro la schiavitù del lavoro, per la chiusura dei CIE.
Sullo sfondo l’eco delle rivolte in Nordafrica, l’orgoglio dei maghrebini che si sono ripresi un pezzo di libertà, uno scampolo di futuro.
Una rivolta che sta contagiando i CIE di tutta Italia, cominciando da quello di Gradisca, che gli immigrati l’hanno demolito, stanza dopo stanza. E che è arrivata anche a Torino, dove la sera prima era andata a fuoco la sezione gialla.
In testa al corteo sul camion di apertura uno striscione rosso con la scritta “Noureddine, omicidio di Stato”. Il corteo è dedicato all’ambulante di Palermo, morto dopo una lunga agonia. Aveva le carte a posto e sperava che presto sua moglie e la sua bambina potessero venire in Italia.
Di questo sogno banale ed umano non resta più nulla. Noureddine è morto. Per una settimana, giorno dopo giorno, aveva subito i controlli dei vigili, impegnati a far rispettare i regolamenti “sul decoro urbano”. Non ne poteva più. Ha preso una tanica, si è cosparso di benzina e l’ha accesa.
Noureddine è stato ammazzato. Ammazzato dalle leggi di uno Stato che nega un futuro a chi arriva nel nostro paese sperando in una vita migliore. Ma qui trova solo sfruttamento bestiale, discriminazione, razzismo.
Anche a Torino per poco non ci è scappato il morto. In mattinata un immigrato cui era stato negato il permesso di soggiorno, si è dato fuoco nel cortile dell’Ufficio della Questura di corso Verona. Le fiamme che lo hanno avvolto sono state subito spente e lui se la caverà. Non si spegne invece la rabbia per i tanti morti da cui è segnata la pur breve storia dell’immigrazione nel nostro paese.

Il corteo percorre le strade di S. Salvario per poi dirigersi verso il centro. La gente si avvicina, prende i volantini, fa domande. Musica e interventi si alternano dai vari impianti.
In via Po compare una scritta sulla filiale dell’Unicredit “Questa banca arma Gheddafi”. Il faccione del dittatore libico è anche in testa al corteo, armato di una falce insanguinata “made in Italy”.
Si finisce in piazza Castello con gli immigrati che spingono sino al Palazzo della Regione, dove si sosta a lungo, fronteggiando quelli dell’antisommossa, mentre la piazza si riempie di musica, parole, slogan.
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Fiamme nell’area gialla del CIE di Torino

Lunedì 28 febbraio. Un incendio è divampato questa sera nell’area gialla del CIE di Torino. In quest’area sono concentrati parecchi immigrati sbarcati a Lampedusa dalla Tunisia.
Gran via vai di vigili del fuoco e auto della polizia intorno alla struttura di corso Brunelleschi.
Il vento di rivolta che attraversa le prigioni per immigrati diventa sempre più forte.
Seguiranno aggiornamenti.
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Torino. Occupata “obiettivo lavoro”. Domani corteo migrante

Torino, lunedì 28 febbraio. In mattinata una trentina di antirazzisti hanno simbolicamente occupato per circa un’ora l’agenzia interinale “Obiettivo lavoro” di via Milano. Obiettivo lavoro fa intermediazione di colf e badanti per conto del Comune di Torino. Fuori, ben prima dell’apertura c’è una lunga fila di lavoratrici in attesa. Oggi è giorno di paga. La maggior parte sono straniere, ma non mancano le italiane. La povertà è senza frontiere.
In strada, davanti all’ingresso viene aperto lo striscione “Primo Marzo corteo antirazzista”, nell’agenzia echeggiano i ritmi della Samba Band.
I caporali dell’agenzia si dividono i ruoli: c’è quello buono e dialogante e quella irosa che inveisce. Le donne che entrano prendono i volantini, poche vanno via veloci, altre si fermano e chiedono, qualcuna ammicca complice.
Un’antirazzista spiega le ragioni dell’azione, ricorda il ricatto cui sono sottoposti i lavoratori e le lavoratici immigrate, l’indecenza del caporalato legale, che agisce in guanti bianchi ma fa girare veloce l’ingranaggio dello sfruttamento all’osso di colf e badanti.
Il caporale buono prova a interloquire, proclama la propria onestà, difende il proprio ruolo. Viene freddato da una lavoratrice che uscendo ci sussurra “gli chieda come mai loro intascano 11 euro l’ora e noi ne prendiamo cinque”. Quel sussurro, amplificato dagli antirazzisti, mette nell’angolo il caporale buono.

Riprende la samba con slogan e tamburi. Nel frattempo è arrivata la digos che si affanna a chiamare rinforzi. Quando arrivano i gipponi dell’antisommossa gli antirazzisti sono già nel cuore del mercato di Porta Palazzo, dove suonano, volantinano, fanno comizi volanti.
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Bari e Torino. Bloccati immigrati che provano a fuggire dal CIE

Due reclusi hanno provato a scappare dal CIE di Bari Palese: secondo il Giornale di Puglia sarebbero stati arrestati in seguito ad un colluttazione con gli agenti di guardia.

A Torino, nel Centro di corso Brunelleschi, un ragazzo si è tagliato i polsi: mentre veniva condotto fuori, altri due hanno provato a scavalcare la recinzione. Uno c’è riuscito ma è stato subito ripreso e malmenato dalla polizia.
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CIE: rivolta a Gradisca, sciopero della fame a Torino

Dopo un periodo di relativa calma la rabbia degli immigrati torna a esplodere nella struttura gradiscana.
Non sappiamo quando sia iniziata la rivolta.
Un’attivista antirazzista che passava di lì riferisce che intorno alle 20 al di là delle mura si vedeva un gran fumo. Poi sono arrivati i vigili del fuoco e un’ambulanza.
L’onda lunga delle proteste che investono da giorni numerosi CIE, da Bari a Restinco, da Modena a Torino, è arrivata anche a Gradisca.
Proprio ieri, trasferiti con un volo speciale da Lampedusa, erano arrivati 50 tunisini. Trenta richiedenti asilo sono stati portati al CARA, gli altri sono stati rinchiusi nel CIE.
La situazione potrebbe diventare ancora più incandescente, perchè le migliaia di tunisini approdati in pochi giorni in Italia potrebbero essere l’avanguardia di un esodo molto più ampio.
Al CIE di Torino gli immigrati sono in sciopero della fame da sabato sera. La maggior parte di loro viene dalla Tunisia. Sono preoccupati per le famiglie, non riescono a mettersi in contatto e temono per la loro sorte. Tutti sentono il vento di libertà che viene dal nordafrica.
La sezione delle donne è stata svuotata per far posto agli immigrati approdati a Lampedusa.
Domenica notte un gruppetto di antirazzisti ha fatto un veloce saluto ai reclusi: petardi, battitura di ferri, slogan. Da dentro si è levato un gran fragore.
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Torino. La libertà in gabbia

Lunedì 14 febbraio entra nel vivo il processo contro due anarchici. L’accusa? Diffamazione e minacce nei confronti di Borghezio, europarlamentare della Lega e, per inciso, noto razzista e fascista non pentito. I fatti? Alla vigilia del 25 aprile del 2009 … Continua a leggere

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Quando muoiono i bambini

Roma, 6 febbraio. Quattro bambini bruciano vivi in una baracca ai margini del nulla metropolitano.
Siamo a Tor Fiscale. Assi, plastica, poche povere cose. Basta una scintilla, un braciere acceso per tenere lontano l’inverno, e il fuoco si mangia tutto.
Il resto è copione già visto. La disperazione dei parenti, l’indignazione del sindaco post fascista della capitale, che strilla che servono poteri speciali per fare campi sicuri, che si infuria contro la burocrazia. Un alibi traballante ma poco importa. In fondo sono solo zingari. La mattina dopo arrivano le ruspe e tirano giù tutte la baracche. L’ordine è ripristinato.
Arriva anche la magistratura, che mette sotto inchiesta il padre e le due madri: abbandono di minore. La madre di tre dei bambini e nonna del quarto non crede all’incidente: il braciere erea lontano, le fiamme sono divampate troppo in fretta.
Una vicenda che ne ricorda un’altra di quattro anni fa.
Quattro bambini rom morirono nell’incendio di una baracca di legno sotto ad un cavalcavia, vicino alla raffineria di Stagno, a Livorno, l’11 agosto del 2007. I genitori vennero arrestati con l’accusa di abbandono di minore e di incendio doloso, nonostante avessero detto di essere stati aggrediti. Prosciolti dall’accusa di incendio doloso, patteggiarono e vennero scarcerati perché incensurati. Sulla vicenda calò il silenzio nonostante il rogo fosse stato rivendicato del GAPE – Gruppo Armato di Pulizia Etnica.

Quando ci sono di mezzo i rom viene sfogliato l’intero florilegio di pregiudizi razzisti nei loro confronti. Se i bimbi muoiono è colpa loro, che non ci badano, che vanno in giro a rubare, che li fanno vivere in roulotte e baracche.
Come se qualcuno – davvero – potesse scegliere di vivere di elemosina in una baracca senza nulla.
Esemplari le dichiarazioni razziste di Tiziana Maiolo, di Futuro e libertà, dopo il rogo di Tor Fiscale. Per lei i bambini Rom che fanno pipì sui muri sono meno educati del suo cagnolino.

Nel luglio del 2008 una bambina rom, appena sgomberata da una ex fabbrica abbandonata in via Pisa a Torino, disse “almeno per un po’ ho vissuto in una casa vera”. Una casa con il gabinetto. E porte, finestre, luce… Dopo lo sgombero la riportarono lungo il fiume in una baracca piena di topi.

A Torino, il 14 ottobre del 2008 andò a fuoco un campo rom in via Vistrorio. Tre molotov in punti diversi e l’insediamento sulle rive del torrente Stura dove vivevano 60 persone andò in fumo.
Non andò peggio perché un ragazzo diede l’allarme. I giornali allusero alla possibilità che il campo l’avessero bruciato gli stessi rom, per forzare la mano al comune ed ottenere posto nell’area allestita per l’emergenza freddo. Le prove? Non era morto nessuno!
Qualche mese dopo, la magistratura, dopo decine di aggressioni a immigrati e tossici, mise gli occhi sul gruppo fascista “Barriera Domina”: nei telefonini di alcuni di loro trovarono le scansioni dei giornali che parlavano del rogo di via Vistrorio. Due righe in cronaca e poi l’oblio. Chi ha dato ha dato, chi avuto avuto.
Sulla vicenda il sito Ojak, oggi purtroppo non più attivo, fece una controinchiesta.

Quelli come Alemanno vogliono i campi. Altri vorrebbero cacciare tutti. I più chiudono gli occhi e non guardano, magari si commuovono anche un po’. I bambini fanno sempre tenerezza.

Il rogo di Tor Fiscale, come già quello di Stagno, ha fatto notizia perché i bambini erano quattro, altrimenti sarebbero bastate poche note in cronaca, ordinaria amministrazione.
Un bambino muore di freddo, un altro bruciato, un altro se lo porta via una banale influenza.
Infinito l’elenco dei campi rom andati in fumo. A volte distrutti da bravi cittadini, decisi a fare pulizia. Etnica. Altre volte bruciati dalla povertà che non concede sicurezza.

Resta il fatto che quei quattro bambini sono stati ammazzati. Resta il fatto che ogni giorno, in qualche dove, c’è qualcuno che muore. Muore di povertà.
La povertà non è un destino.
I responsabili siedono sui banchi dei governi e nei consigli di amministrazione delle aziende.
Ma che nessuno si creda assolto, perché l’indifferenza è complicità.
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Torino. Antirazzisti al mercato

Sabato 29 gennaio un gruppo di antirazzisti della Rete “10 luglio antirazzista” si è dato appuntamento al mercato di Porta Palazzo per un presidio informativo. Il presidio è quasi subito diventato itinerante. Gli antirazzisti, aperti due striscioni, “Torino è antirazzista” e “W le rivolte nei paesi arabi”, sono partiti, seguiti passo passo dalla polizia politica. Al ritmo della Samba Band hanno fatto un lungo giro, chiudendo la giornata nella piazzetta del Balon.

Di seguito il testo del volantino, in italiano e arabo, distribuito tra i banchi del mercato, che invita all’assemblea antirazzista del 31 gennaio. Appuntamento in corso Ferrucci 65a
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Torino. Capodanno al CIE

Torino 1 gennaio 2011. Due blindati, due grupponi di poliziotti e finanzieri in assetto antisommossa e un folto nugolo di digos attendevano gli antirazzisti venuti a fare i fuochi di capodanno davanti al Centro di corso Brunelleschi.
In mattinata i quotidiani avevano diffuso la notizia che, grazie alla “direttiva rimpatri”, la normativa europea entrata in vigore il 24 dicembre, sei immigrati accusati di non aver ottemperato al decreto di espulsione, sono stati rimessi in libertà.

A Natale i reclusi avevano raccontato ai microfoni di radio Blackout di un pranzo a base di pasta fredda e immangiabile. Nel pomeriggio del 31 dicembre quattro grosse borse piene di cose buone sono state consegnate ai prigionieri delle quattro sezioni “operative” del Centro, la rossa, la verde, la viola, la gialla. Sorrisi e complicità hanno accolto il dono, specie nella sezione femminile.
In contemporanea, da un balcone di fronte, ben visibile dall’interno del CIE, è stato appeso uno striscione bianco con la scritta “Freedom”: un fumogeno rosso lo ha illuminato.

Allo scoccare della mezzanotte davanti al muro del Centro sono partiti slogan e battiture.
Libertà, libertà, libertà. E poi i fuochi, i petardi, i fumogeni. Quelli dell’antisommossa si sono spostati lesti lesti un po’ più in là. Gli antirazzisti, numerosi nonostante il freddo, si sono fatti sentire ancora più forte.
Un lungo anno è appena trascorso. Fuori e dentro le gabbie è cresciuta la resistenza: a noi tutti l’impegno perché non sia troppo in là un tempo senza muri e senza gabbie.
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Una vita a punti

Tra i tanti inghippi inventati dal governo per rendere complicata la vita degli immigrati c’è anche il permesso a punti.
Di che si tratta?
Naturalmente il nome vero è un altro: si chiama accordo di integrazione. Tradotto in italiano: io detto le regole e tu ti pieghi, perché altrimenti non sei sufficientemente integrato e quindi niente permesso di soggiorno.
Come quei software che non si attivano se non accetti le condizioni imposte dalla licenza, sei obbligato a sottoscrivere l’accordo di integrazione, dichiarando di aderire ai “principi della Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione” fissati dal Ministro dell’Interno nel decreto del 23 aprile 2007.
L’accordo ha come destinatari gli stranieri appena entrati in Italia. Avere in tasca un contratto di soggiorno non è più condizione necessaria e sufficiente al mantenimento del permesso di soggiorno. Al momento del rinnovo, dopo due anni, l’immigrato deve dimostrare di sapere l’italiano al livello “A2”, di conoscere la Costituzione nonché le regole imposte dallo Stato in materia di sanità, educazione dei figli, scuola, lavoro, tasse. Se non è in grado di presentare una documentazione che attesti il raggiungimento degli standard richiesti deve sottoporsi ad un test: se non lo passa viene buttato fuori anche se lavora.
L’accordo si articola in crediti che si possono accrescere acquisendo attestati che dimostrino di aver acquisito le competenze richieste, si possono anche perdere se si subiscono condanne o anche semplici denunce, o multe.
L’accordo di integrazione si mostra senza veli per quello che è: un’ulteriore selezione della manodopera immigrata. Gli immigrati con un buon livello di istruzione, con maggiori qualifiche professionali, messi in regola; gli altri, quelli che hanno studiato poco nel loro paese e certo non hanno tempo né modo di farlo in Italia, schiacciati sempre più nel limbo dei senza carte, per cui il lavoro e il futuro sono sempre più neri. Ma non solo, perché si introduce anche il voto di condotta, che può portare alla bocciatura anche l’allievo più diligente. Una scuola di disciplina per adulti.
Naturalmente non mancherà chi troverà il modo di farci dei bei soldi, perché è sin troppo facile prevedere quale enorme business saranno le scuole che rilasceranno le pagelle di idoneità. Per non dire dell’inevitabile traffico di attestati fasulli.
Ancora non è chiaro quando diverranno operativi gli accordi di integrazione per i nuovi arrivati.

Il 9 dicembre è invece stato introdotto il test di italiano per quelli che chiedono il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo.
Chi ha già o ha maturato i requisiti per il permesso di lungo soggiorno CE rischia, se non ce la fa, di non riuscire a rinnovarlo o ad ottenerlo.
A proposito… chi pensate che si occupi dei test? Il ministero dell’Interno, ovviamente! Che test e contratto di integrazione siano un tassello disciplinare nella vita degli immigrati lo dimostra che a gestirli sono le questure per conto del Ministero dell’interno, cui vanno fatte le domande, che fissa la data e luogo del test e ne comunica l’esito.
I test vanno fatti presso i Centri provinciali per l’Istruzione degli Adulti. Ma non tutti ci stanno a svolgere questa selezione di classe per conto del ministro di polizia: gli insegnanti che li fanno saranno pagati dal Ministero dell’Interno, esattamente come i poliziotti.
A Torino numerosi insegnanti del CTP Gabelli hanno annunciato con un lettera pubblica che rifiuteranno di fare i test, perché non vogliono essere complici.

Per capirne di più leggete la bozza di accordo di integrazione scaricata dal sito del ministero dell’Interno e il testo del regolamento del permesso a punti. Dulcis in fundo leggetevi l’elenco dei crediti decurtabili in caso di condanne, denunce o multe.
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