Domenica 12 dicembre. Nel pomeriggio appuntamento nella centralissima piazza Castello affollata per le compere natalizie.
Messe in centro alla piazza le transenne che da qualche settimana blindano il palazzo della Regione, più volte assediato dagli studenti in lotta contro la riforma Gelmini, appeso lo striscione “Torino è antirazzista”, è partito un vivace presidio con Samba Band, distribuzione di volantini e interventi per raccontare di Hassan e Arbil. Condannati dal tribunale a meno di due anni per la rivolta del 14 luglio al CIE di Torino, vi hanno fatto ritorno dopo cinque mesi di galera. Sono in sciopero della fame da 11 giorni: chiedono di essere tolti dall’isolamento e di avere una cella riscaldata. Hassan ha ingoiato due bulloni e una pila. Nella notte di venerdì 10 si è sentito male, provato dallo sciopero e forse dall’ingestione di qualche altra porcheria, nella notte è stato condotto all’ospedale. Dopo quella sera il cellulare di Hassan è rimasto spento.
Di seguito la cronaca della giornata: dalla contestazione al banchetto del Pdl al presidio al CIE.
Leggi qui uno dei volantini distribuiti in piazza.
Nel nostro paese il deserto della disinformazione fa capolino dietro la valanga di informazioni che ci investe quotidianamente. Troppi non sanno neppure cosa sia un CIE e perché uomini e donne vi siano rinchiusi. Troppi non sanno che la clandestinità è la condizione “normale” per un immigrato nel nostro paese. Entrarci legalmente significa avere in tasca un contratto di lavoro: voi conoscete qualche padrone disposto ad assumere un operaio a duemila chilometri di distanza, senza averlo mai visto? Troppi non sanno nulla delle rivolte, delle fughe e delle violenze quotidiane che scandiscono la vita di chi è rinchiuso – sino a sei mesi – in uno di questi moderni lager della democrazia. Una signora molto anziana, piccina compita, elegante nel suo cappottino rosso made in China, dice “è sempre la stessa storia, se la prendono con la povera gente”. In una battuta questa donna ha riassunto il senso di una lotta, che, in primis, è lotta perché la “povera gente” smetta di essere tale. Un marocchino alto, allampanato, lo sguardo un po’ febbrile ci dice “ho perso il lavoro, tra poco mi scade il permesso, ho due figli… cosa posso fare?”
Dopo un paio d’ore gli antirazzisti si spostano sull’altro lato della piazza, all’angolo con via Roma, dove c’è un banchetto del PDL. In testa la Samba Band che suona e grida “libertà è cacciarvi di qua!”. Si schiera l’antisommossa e anche una piccola folla di gente che osserva la scena: quelli del PDL danno in escandescenze e gridano un ormai trito “andate a lavorare!”, cui gli antirazzisti rispondono per le rime, ricordando come il lavoro sia sempre più duro, pericoloso, malpagato, senza tutele grazie alle leggi emanate dal governo Berlusconi. Stupiti dello stupore di chi proprio non capisce ci guardano allibiti, quando dal megafono una compagna dice “dopo Berlusconi noi non vogliamo nessun governo, perché la libertà, quella vera, non delega a nessuno il proprio futuro, perché non c’è giustizia sociale se non si mandano via tutti i padroni”. Un applauso spontaneo della folla accompagna il passaggio sulla sanità per i cittadini di serie A, quelli che possono pagare, e la sanità per cittadini di serie B, quelli cui tocca lavorare per pochi euro al mese e le cure non possono proprio pagarsele.
Ma la giornata non finisce lì. Gli antirazzisti si spostano al CIE di corso Brunelleschi. Al ritmo della Samba, si fa il giro per andare all’ingresso principale che, dopo la ristrutturazione di due anni fa, è stato spostato in via Mazzarello. Si fa qualche intervento sperando che riesca ad oltrepassare il muro: dall’altra parte arriva un “grazie!”. Poco prima dell’ingresso si schiera l’antisommossa per bloccare il passaggio, gli antirazzisti li aggirano e si piazzano sull’ampia pensilina spartitraffico di fronte al CIE. Due compagne vanno comunque dall’altra parte per avere notizie dei ragazzi in sciopero della fame, in isolamento al freddo e senza più collegamento con l’esterno.
Esce infine un “responsabile” che rifiuta di dire il suo nome e pontifica su quel giardino delle delizie che si trova al di là del muro. A suo dire Hassan sta bene, al caldo, visitato dai medici.
Il guardiano del lager – rigorosamente celato dietro all’anonimato – canta la sua canzone, peccato che da oltre quel muro, giorno dopo giorno, per anni sia arrivata ben altra musica.
Il messaggio, quello che più conta, l’hanno dato gli antirazzisti: siamo qui, sappiamo quello che succede, avete i nostri occhi addosso.
Nel frattempo al CIE di Torino hanno trasferito una decina di immigrati reduci dalla rivolta che la notte precedente aveva gravemente danneggiato il CIE di via Corelli a Milano. Molti sono messi male perché la polizia è entrata nelle sezioni, pestando a sangue i ribelli. Una mattanza feroce.
Nella mattinata di lunedì 13 dicembre ridanno il cellulare ad Hassan, che è sempre più debole, ma determinato a non mollare la lotta.
Aggiornamenti alle 22 di lunedì 13. Un altro recluso, Bachir, in sciopero della fame da sei giorni, manda giù una buona sorsata di shampoo e finisce all’ospedale.
Mercoledì 15 dicembre ore 19 presidio al CIE di corso Brunelleschi.
Sabato 18 dicembre dalle ore 15 presidio informativo in piazza Castello angolo via Garibaldi. Promuove la rete “10 luglio antirazzista”.