CIE. Cosa bolle nella pentola del governo?
Riportiamo in questa pagina in costante aggiornamento le cronache e le riflessioni delle ultime settimane sul fronte del CIE, per cercare di capire cosa stia davvero bollendo nella pentola del governo, dopo la campagna mediatica che ha ri-messo al centro dell'attenzione i centri per senza carte, le leggi razziste del nostro paese, la difficoltà del governo a fare fronte ad una spesa enorme, tra gestione dei centri, espulsioni, ristrutturazioni continue dei CIE danneggiati o distrutti dalle rivolte.
Siamo convinti che il governo intenda liberarsi della patata bollente, facendo sì che tutto cambi, affinché tutto resti come prima.
Proviamo a vedere come, andando oltre i toni intollerabilmente melensi dei media.
Iniziative contro il CIE di Gradisca in maggio e giugno
A pochi chilometri da noi a Gradisca d’Isonzo dal 2006 esiste un CIE (centro di identificazione ed espulsione). In questa prigione sono reclusi in condizioni durissime decine di cittadini non dell’unione europea per il solo motivo di non possedere (o non possedere più) un permesso di soggiorno valido. Divieto di leggere, di comunicare con l’esterno, psicofarmaci, privazioni e soprusi di ogni tipo sono pane quotidiano e provocano tra l’altro continui episodi di autolesionismo. Riteniamo importante far conoscere l’esistenza di questi luoghi e le logiche che li governano, promuovendo iniziative di informazione e denuncia. Invitiamo tutti e tutte a partecipare e a contribuire in modo attivo alle iniziative che si terranno nei prossimi giorni: Trieste, sabato 18 maggio dalle 17 in via delle Torri (dietro la chiesa di s.antonio) Pordenone, sabato 18 maggio dalle 17 in p.tta Cavour Udine, sabato 24 maggio al nuovo spazio sociale in viale Osoppo Le iniziative vogliono anche promuovere la partecipazione al presidio regionale che ci sarà sabato 1 giugno nel pomeriggio di fronte al CIE di Gradisca indetto dal Coordinamento regionale contro i CIE.Sabato 20 aprile – Il CIE tra la movida di Torino
ore 19,30 aperibenefit antirazzisti sotto processo ore 20,30 assemblea sui CIE con testimonianze ore 22 presidio antirazzista itinerante per portare il CIE in mezzo alla città. Appuntamento alle 19,30 in largo Saluzzo "Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!" Questo striscione è apparso lo scorso mese davanti alla villa di Antonio Baldacci, responsabile del CIE di Torino. Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto. La mattina dopo Fatih era morto. Non venne eseguita nessuna autopsia. Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito. Due giorni dopo il colonnello e medico Baldacci dichiarerà "gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa". Parole che ricordano quelle degli aguzzini di ogni dove. Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si recò a casa Baldacci per un "cacerolazo". Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni. La protesta di persone indignate per una morte senza senso. Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade. I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell'amministrazione comunale. L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione. L'occupazione simbolica dell'atrio del Museo egizio - 29 giugno 2008 - per ricordare l'operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione - 17 luglio 2008 - dell'assessore all'integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata - 11 luglio 2008 - contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta - 20 marzo 2009 - alla lavanderia "La nuova", che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l'elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti. Nel CIE di Torino negli ultimi due mesi si sono susseguite le lotte e le rivolte. Tutte le sezioni del CIE sono state gravemente danneggiate. In febbraio la polizia ha pestato, gasato gli immigrati in rivolta dopo un fallito tentativo di fuga. Sei sono stati arrestati. Nonostante la repressione le lotte non si sono fermate. Per evitare la deportazione qualcuno si taglia, altri salgono sul tetto. Il CIE è quasi inagibile. In alcune sezioni gli immigrati dormono su materassi gettati in terra. La scorsa settimana tutti i reclusi, ormai solo 47, hanno fatto uno sciopero della fame di due giorni. Per la libertà. Nei CIE le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all'espulsione da lunghi anni sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell'Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi sia un'urgenza che ci riguarda tutti. Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un’aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, continueremo a portare il CIE per le strade di Torino. Antirazzisti contro la repressione Ti ricordi di Fatih?Mercoledì 27 febbraio – processo agli antirazzisti
Mercoledì 27 febbraio prima udienza del processo a 67 antirazzisti torinesi
La Procura mette in scena un processo alle lotte.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese, in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si traducono in scelte politiche scomode.
Se sperano di spaventarci si sbagliano.
In questi anni le iniziative di opposizione al razzismo, alle politiche securitarie, al militarismo allo sfruttamento si sono moltiplicate sul territorio.
L’urgenza politica e morale di allora è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri.
Porteremo il loro processo nelle strade di questa città!Sabato 2 marzo – Portiemo il CIE nel salotto della città! – presidio antirazzista
Il 27 febbraio e cominciato il primo di due processi agli antirazzisti che, tra il maggio del 2008 e il maggio del 2009, attraversarono l'esperienza dell'Assemblea Antirazzista Torinese.
La lotta contro i CIE ha segnato alcuni momenti importanti di quell'anno ed è oggi un fronte sempre più caldo di resistenza al razzismo di Stato nella sua concreta, quotidiana, materialità.
La morte di Fathi, un immigrato tunisino lasciato senza cure nell'allora "nuovo" CPT di Torino, fu il banco di prova di una relazione politica ancora embrionale.
La lotta che ne seguì fece da catalizzatore per quelle che seguirono.
Oggi le protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare della struttura detentiva di corso Brunelleschi, è entrata nel fascicolo del processo.“Il CIE nel salotto della città”
Il 2 marzo con un presidio itinerante per il centro cittadino porteremo quella storia negata e dimanticata in mezzo alla città.
Appuntamento alle 15 in piazza Castello.
Sabato 23 febbraio punto info solidale con gli antirazzisti sotto processo
Sabato 23 febbraio punto info sul processo a 67 antirazzist*
a Porta Palazzo - sotto i portici all'angolo con corso GiulioRompere il silenzio
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Tre anni fa la Procura giocò la carta dell’associazione a delinquere ed arrestò sei antirazzisti. Il teorema non resse in Cassazione ma la Procura voleva comunque mandare alla sbarra l’Assemblea Antirazzista torinese.
Oggi la Procura mette in scena un processo alle lotte. In due atti.
Il primo atto va in scena il 27 febbraioArance amare – mostra itinerante per i mercati di Torino – 26 gennaio 2013
Le arance, i mandarini, le clementine che fanno mostra di se nei mercati di Torino, sono state raccolte da lavoratori stagionali, che vengono pagati 50 cent alla cassetta di arance, 1 euro per cassetta di mandarini. Ogni cassetta pesa una media di 18/20 chili. In una giornata di lavoro la media arriva a 25 euro. In nero, non tutti i giorni ma solo quelli che il caporale ingaggiato dai padroni decide di sceglierti. Se alzi la testa, se reclami per i ritmi o per la paga, puoi anche andartene, perché nessuno ti chiamerà più.
I media ci raccontano di migrazioni epocali, di emergenze continue per giustificare le condizioni di vita indecenti di questi lavoratori. Per loro non ci sono tende o gabinetti funzionanti quando arrivano nella piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi. Di affittare una casa non se ne parla nemmeno: a Rosarno o a San Ferdinando una stanza costa come nel centro di Milano o Roma.
In realtà basterebbero pochi soldi per mettere su strutture decenti, basterebbero liste publiche per tagliare fuori i caporali, basterebbe che chi guadagna, e bene, sul lavoro degli stagionali, ci mettesse qualcosa del suo per garantire loro un letto e una doccia. Invece no. Così le tendopoli scoppiano subito, circondate da baracche fatte di lastre di amianto e teli di plastica, così per i bisogni ci sono buche a cielo aperto.
Quella dell'emergenza è una bufala che ci raccontano perché è più facile immaginare una fame tutta africana, che vedere la realtà. La realtà è fatta di operai del nord che hanno perso il lavoro e vengono a fare la raccolta per rimediare un salario, la realtà è fatta di richiedenti asilo che attendono da oltre due anni la risposta che consentirebbe loro di andare via, di cercarsi un lavoro stabile. La guerra in Libia è finita da due anni, ma i profughi di quella guerra vivono ancora in un limbo apolide.
Se vedessimo la realtà vedremmo che la condizione degli africani di Rosarno è ormai la condizione di tanta parte dei lavoratori italiani. L'unica emergenza è quella quotidiana di uno sfruttamento senza limiti, perché per i padroni non conta il colore delle pelle, ma quello dei soldi.
Le arance che mangiamo sono sempre più amare.Sabato 26 gennaio mostra itinerante e volantinaggio nei mercati delle zone popolari di Torino.
Appuntamento alle 9,30 in corso Palermo 46 - per info: 338 6594361Frontiere d’Europa. 30 nuovi centri di detenzione in Grecia
Grecia. Il ministro della protezione civile M. Chrysohoidis, ha annunciato ieri l'apertura di trenta nuovi centri di detenzione per immigrati in collaborazione con il ministero degli esteri.
Il ministro si è incontrato con i governatori di dieci province greche per verificare la loro disponibilità ad ospitare i centri. Ha anche fornito assicurazione che l'Unione Europea si è impegnata a versare 250 milioni di euro per i prossimi tre anni.
Per ciascuno dei centri sarà istituito un apposito presidio di polizia di almeno 150 agenti oltre a 70 guardie private, ogni 250 immigrati detenuti.
Secondo il piano presentato ogni centro sarà diviso in quattro sezioni, in ciascuna delle quali saranno rinchiusi 250 immigrati. Ognuno dei nuovi lager "ospiterà" 1000 senza carte, per un totale di 30.000 prigionieri.
La Grecia si candida così al ruolo di paese cuscinetto tra i paesi più ricchi dell'Unione e le aree di emigrazione. Un avamposto di frontiera, ben pagato per il servizio reso.-
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Cie di Gradisca: “un gigante dai piedi d’argilla”
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Parma, 10 anni, 30 occupazioni
La lotta per la casa a Parma compie dieci anni e non sembra conoscere segni di arretramento. Qualche settimana fa alcune famiglie erano state sgomberate da uno stabile di via Bengasi: le stesse famiglie, coadiuvate dalla Rete Diritti in Casa”, … Continua a leggere
La barbarie di ogni giorno
Con i polsi legati e il nastro adesivo sulla bocca. Una foto immortala un migrante algerino su un volo di linea Alitalia da Roma a Tunisi e i media nazionali di accorgono che le deportazioni/rimpatri forzati di migranti sono azioni … Continua a leggere
Pogrom di polizia ad Atene
Atene 25 aprile. Sin dalle prime ore del giorno è scattata un’ampia operazione di polizia nel centro della città.
Camionette con centinaia di uomini in assetto antisommossa hanno circondato interi isolati e hanno fatto irruzione in numerosi edifici a caccia di immigrati. Chiunque paresse straniero è stato brutalmente fermato e perquisito. Tutti gli immigrati senza documenti sono stati condotti nei nuovi centri di detenzione.
Il ministro per la difesa civile Chrysochoidis, già protagonista di numerose campagne contro gli immigrati, ha dichiarato che “Atene sarà ripulita in pochi giorni. Noi dobbiamo riappropriarci dello spazio pubblico”. Continua a leggere
Grecia. Il muro di Evros e la guerra all’immigrazione
La Grecia ha deciso: il muro lungo il confine con la Turchia si farà. Lo ha annunciato il ministro “per la protezione dei cittadini” Michalis Chrisochoidis. L’Unione Europea non finanzierà il progetto, peraltro caldeggiato da Sarkozy, ma non si opporrà a quello che l’incaricata UE Cecilia Malmström, ha definito un “affare interno”.
La pressione dell’estrema destra xenofoba, che i sondaggi danno in crescita, il tentativo di spezzare il fronte della lotta di classe giocando la carta della guerra tra poveri, sono all’origine della scelta di dare una ulteriore svolta disciplinare all’immigrazione nel paese ellenico.
Molti immigrati sono afgani, spesso minorenni, cui è negato l’asilo politico o il riconoscimento dello status di profughi, perché provengono da una paese “democratico” e non hanno “motivo” di fuggire.
Tanti si ammassano in campi di fortuna alle spalle di Patrasso, nella speranza di guadagnare un passaggio clandestino verso l’Italia. Nel nostro paese se ne parla solo quando qualcuno muore schiacciato dalle ruote di un camion cui si era aggrappato.
Il muro di Evros è solo uno dei tasselli – forse solo il più visibile – di una politica di repressione dell’immigrazione clandestina, che nei prossimi mesi porterà alla costruzione di 30 centri di detenzione da mille posti l’uno.
Nei quartieri periferici di Atene, la grande città dove si concentrano gran parte degli immigrati che provano, attraverso la Grecia, ad approdare nell’Europa più ricca, si moltiplicano le aggressioni fasciste.
Ne abbiamo parlato con Georgios del gruppo di comunisti libertari di Atene.
Ascolta l’intervista a radio Blackout
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Processo agli antirazzisti torinesi primo atto
Si è svolta oggi l’udienza preliminare del processo agli antirazzisti torinesi.
Erano presenti solo sette imputati, di cui uno detenuto per antifascismo e un’altra ai domiciliari per la lotta No Tav.
Si sono costituiti parte civile i curatori fallimentari del ristorante il Cambio, il capo dei comitati spontanei razzisti Carlo Verra e la consigliera di circoscrizione del PDL Patrizia Alessi.
Gli avvocati della difesa hanno presentato alcune eccezioni di natura procedurale per mancata notifica, l’accoglimento delle quali ha portato al rinvio al 24 maggio dell’udienza.
Il mega processo che mette insieme alcuni episodi di lotta antirazzista – ma non solo – è stato spezzato in due.
In questa prima tranche sono state messe insieme alcune tra le tante manifestazioni, proteste, azioni, contestazioni che hanno – almeno in parte – attraversato il percorso dell’assemblea antirazzista torinese. Altre iniziative, dello stesso tenore e dello stesso ambito, saranno oggetto di altri procedimenti. Chiaro l’intento di prendere due piccioni con una fava giuridica.
Da un lato proporre, pur senza riproporla formalmente, la chiave associativa negata dalla cassazione, dall’altro investire gli stessi antirazzisti di una miriade di procedimenti separati, negando loro almeno il beneficio della continuità, derivante dell’accorpamento.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese e in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
Non a caso il regista dell’intera operazione è il PM Padalino, noto per le sue simpatie leghiste e per proposte di stampo teneramente nazista come il rilievo delle impronte ai bambini e alle bambine rom.
L’urgenza politica e morale della lotta antirazzista va al di là della repressione che colpisce chi ha tentato di mettere sabbia nel meccanismo feroce che stritola le vite degli immigrati per tenerli sotto costante ricatto.
In questi anni è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, un corpus di leggi che stabilisce che viaggiare è un reato, cercare un futuro migliore un’ambizione criminale.
Di fronte alle nuove leggi razziali ribellarsi e sostenere chi si ribella è un dovere. Ineludibile.
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Parma, lotta per la casa: dopo via Bengasi non ci fermeremo!
A Parma la lotta per il diritto alla casa non si ferma. L’occupazione di due palazzine in via Bengasi 2 e 4 ha permesso ad alcune famiglie e a più di cinquanta di migranti di avere un tetto sulla testa … Continua a leggere
Pioltello. Corteo contro lo sgombero del presidio
Gli operai delle cooperative Esselunga hanno deciso di battersi contro lo sfruttamento e il caporalato, rischiando il proprio posto di lavoro. In questa lotta si sono riconosciuti tanti altri lavoratori, poiché il sistema Esselunga è lo stesso cui sono obbligati … Continua a leggere
Stato di polizia. Solidarietà agli antirazzisti e ai No tav colpiti dalla repressione
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe. Nel nostro paese è … Continua a leggere
CIE: Una guerra non dichiarata
Ascolta l’intervista di Raffaele a radio Blackout su immigrazione, CIE, informazione negata, permesso a punti, repressione. Quello che segue è l’articolo di Raffaele Viezzi pubblicato su Umanità Nova numero 10 del 18 Marzo 2012 www.umanitanova.org “Contrastare … Continua a leggere
CIE di Gradisca: Connecting People pescata con le mani nel sacco
Giovedì 23 febbraio. Che la gestione dei CIE sia un affare lucroso è cosa nota. Intorno a questi nonluoghi girano una montagna di soldi pubblici da arraffare e in molti fanno a gara per accaparrarseli. La fame di profitto va … Continua a leggere
Respingimenti in mare. Strasburgo condanna l’Italia per tortura
La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per i respingimenti verso la Libia. La condanna riguarda il caso “Hirsi”. 24 persone per le quali non è stato rispettato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura.
I 24 facevano parte di un gruppo di 200 profughi di guerra somali ed eritrei, intercettati in mare il 6 maggio del 2009, caricati su navi italiane e portati in Libia contro la loro volontà, senza dare loro la possibilità di fare richiesta di asilo.
In Libia sono stati per mesi in prigioni dove hanno subito abusi di ogni genere. La loro vicenda non è stata seppellita nel silenzio e nell’indifferenza per un mero caso. Intercettati in Libia dal Cir – consiglio italiano rifugiati – hanno incaricato gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani di presentare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
L’Italia dovrà pagare il risarcimento a 22 delle 24 vittime: 15.000 euro più le spese. Gli altri due sono morti in un nuovo tentativo di raggiungere l’Italia.
Ma è solo un dato simbolico, perché il prezzo vero di quelle vite non lo pagherà nessuno. Il prezzo per quelli annegati in mare, per quelli torturati, struprati e umiliati nelle prigioni libiche, per chi è morto di fame e di sete nel deserto perché non aveva denari per pagare i mercanti d’uomini. Nessuno pagherà il prezzo per i bambini che quel giorni e in tanti altri giorni anonimi e non saputi di questi anni di guerra ai poveri hanno visto chiudersi l’orizzonte della loro vita.
Una lunga strage. Una strage di Stato.
La condanna della corte di Strasburgo rappresenta tuttavia un duro colpo alla politica delle espulsioni collettive, sancita dal trattato di amicizia italo-libica voluta da Prodi, siglata da Berlusconi e perseguita di recente dal governo Monti, nel corso della visita in Libia del 21 gennaio.
Ma – lo sappiamo bene – non cambierà le politiche della Fortezza Europa.
Finché ci saranno frontiere, muri, filo spinato, finché ci saranno uomini in armi a sorvegliarne i confini, le convenzioni, i diritti umani, le corti internazionali non saranno che l’alibi umanitario, la foglia di fico di un’Europa chiusa, spaventata, arroccata intorno ai propri privilegi.
I 22 salvati di Strasburgo ci ricordano le migliaia di sommersi senza nome che il mare nostrum ha inghiottito. 1500 solo nel 2011. Da qualche parte, in un campo profughi, in un villaggio remoto c’è qualcuno che ne ha memoria. Qui da noi non sono che i numeri che scandiscono il ritmo di una guerra. La guerra ai poveri.
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CIE di Modena. Sciopero della fame e della sete
Mercoledì 22 febbraio. I reclusi del Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena sono in sciopero della fame e della sete da due giorni. Alla protesta partecipano tutti i 56 reclusi della struttura.
Il CIE di Modena è l’equivalente di un supercarcere per senza documenti. Le condizioni di detenzione sono peggiori che altrove, l’isolamento molto più rigido. Ormai da un paio d’anni anche in altri CIE è stato impedito agli “ospiti” di tenere i propri telefoni cellulari, a Modena non è mai stato possibile comunicare con l’esterno se non dietro stretta sorveglianza dei gestori del Centro, la Misericordia di Giovanardi, fratello gemello dell’ex ministro del PDL.
Nonostante l’isolamento questa volta le notizie sono filtrate all’esterno.
A scatenare la protesta, durissima e compatta dei prigionieri, l’inganno messo in atto dalla Questura modenese, che aveva promesso, che, nonostante il recepimento da parte del governo italiano della direttiva rimpatri, allo scadere del sesto mese di detenzione, nessuno sarebbe rimasto nel CIE.
Nei giorni scorsi diversi immigrati sono passati dal giudice di pace che ha prolungato di altri due mesi il soggiorno forzato a Modena. Chi entra in un CIE passa sempre dal giudice di pace che, di volta in volta, aggiunge due mesi a quelli iniziali.
I reclusi sono decisi a resistere finché non otterranno la libertà.
Circolano indiscrezioni su un possibile cambio della guardia nella gestione della struttura emiliana, poiché la Misericordia che l’ha in gestione sin dall’apertura, potrebbe non presentarsi per la prossima gara di appalto. La riduzione del contributo diario per ogni prigioniero renderebbe meno redditizio l’affare. Secondo le stesse fonti tra i possibili concorrenti ci sarebbe la francese Gepsa, che un anno fa sarebbe dovuta subentrare al consorzio Connecting People nella gestione del CIE di Gradisca d’Isonzo, ma per una serie non troppo chiara di inghippi amministrativi, di fatto è rimasta fuori.
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CIE di Gradisca: piccole ordinarie sopraffazioni
Le notizie di maltrattamenti, pestaggi, angherie e abusi che filtrano dalle mura dei CIE ogni tanto fanno notizia anche se molto meno di quello che sarebbe necessario per squarciare il velo di silenzio e indifferenza che circonda questi luoghi. Ciò … Continua a leggere
Profughi di guerra e guerra ai profughi
Le scelte del governo nell’ultimo anno sono state un mix di criminalità e cialtroneria. È stato un anno di “emergenze” costruite per poter meglio modellare un dispositivo securitario, che punta sul disciplinamento del lavoro migrante, come grimaldello per eliminare ogni … Continua a leggere
Blocchi e scioperi all’Esselunga di Pioltello
Non si ferma la lotta degli operai delle cooperative che gestiscono la logistica alla Esselunga di Pioltello. Nonostante la dura repressione – ormai trenta lavoratori tra cui tutti i 24 delegati sindacali – sono stati licenziati continua giorno e notte … Continua a leggere
Un pacchetto a scoppio ritardato
I primi di agosto del 2009 divenne legge il “pacchetto sicurezza”, un insieme di norme volute dal governo Berlusconi per aumentare gli ostacoli in quella corsa con handicap che è la vita degli immigrati poveri nel nostro paese.
L’ultimo dei bocconi avvelenati viene servito a “freddo” due anni dopo l’emanazione della legge.
Gli immigrati che rinnovano o chiedono per la prima volta il permesso di soggiorno, dovranno pagare una tassa, il cui importo oscilla tra gli 80 e i 200 euro.
Il nuovo contributo, previsto dalla legge sulla sicurezza del 2009, era rimasto sulla carta. Un decreto firmato a ottobre 2011 dagli allora ministri dell’Interno Roberto Maroni e dell’Economia Giulio Tremonti e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre, lo rende operativo a partire dal 30 gennaio prossimo. L’importo del «contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno» varia in base alla durata del permesso: 80 euro se è compresa tra tre mesi e un anno, 100 euro se è superiore a un anno e inferiore o pari a due anni, 200 euro per il «soggiorno di lungo periodo», meglio noto come «carta di soggiorno». A questa cifra si aggiungono i 27,50 euro per il rilascio del permesso di soggiorno elettronico.
Oltre il danno c’è la beffa. Metà degli introiti della tassa andrà al “fondo rimpatri”, ossia alla cassa che lo Stato usa per deportare gli stranieri “senza carte”, quelli che nella roulette russa dei permessi hanno perso. Alcuni hanno lavorato in nero e sono incappati nella rete dei cacciatori d’uomini in divisa Continua a leggere
Trapani. Memoria resistente
Un pomeriggio di solidarietà e di lotta, per non dimenticare.
Mercoledì 28 dicembre, decine di antirazzisti si sono radunati davanti il cancello del Centro di Identificazione ed Espulsione “Serraino Vulpitta” rispondendo all’appello per la manifestazione in ricordo della strage del 1999 e per ribadire la ferma opposizione contro le leggi razziste e l’esistenza dei centri di detenzione per immigrati.
Al “Serraino Vulpitta” ci sono attualmente 38 persone recluse, per lo più tunisini. Alcuni di questi gridavano tutta la loro rabbia per le loro speranze deluse: «Siamo scappati da una dittatura e siamo finiti dietro le sbarre. Stiamo peggio che in carcere. Noi non siamo criminali». Le condizioni sono quelle di sempre. Gli immigrati denunciano non solo la scarsa qualità del cibo, ma anche la mancanza di coperte. Nonostante la chiusura dello spazio centrale del ballatoio che dà sull’esterno, i manifestanti e gli immigrati sono riusciti a comunicare reciprocamente.
A quanto pare, il “Serraino Vulpitta” funziona come un centro di raccolta terminale per chi deve essere rimpatriato a breve. Una struttura che, nonostante la sua tragica storia e la sua fatiscenza, rimane a disposizione delle autorità come valvola di sfogo per alleggerire il nuovo CIE di contrada Milo, più grande e meno gestibile in caso di rivolte e proteste. Gli immigrati hanno annunciato la loro intenzione di intraprendere uno sciopero della fame.
Poi, gli antirazzisti si sono diretti in centro storico per raccontare quello che avevano visto e sentito.
La presenza di alcuni immigrati di origine senegalese, intervenuti durante la manifestazione, ha sollecitato l’interesse della cittadinanza mentre venivano smascherati i meccanismi delle leggi razziste e le menzogne che sono alla base del pregiudizio e dell’ostilità nei confronti degli stranieri.
A Trapani c’è chi non dimentica e non si arrende.
Coordinamento per la Pace – Trapani
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CIE di Torino. Vacanze di Natale
Ci avevano provato la notte del 24 dicembre, ma era andata male. I poliziotti di guardia al Centro di corso Brunelleschi erano riusciti a bloccare un tentativo di fuga. Nell’area rossa usano gli idranti e pestano duro due prigionieri.
La sera dopo, è il 25 dicembre, i secondini sono pochi, chiusi nei loro gabbiotti, quando, profittando che le serrature forzate la notte prima non erano state riparate, gli immigrati senza carte hanno aperto le porte delle varie casette che li rinchiudono, e si sono riversati lungo la recinzione, saltandola in più punti.
Un ragazzo si è ferito cadendo dal muro ed è stato subito riacciuffato, altri tre, che avevano trovato rifugio in un capannone, sono stati individuati, fatti scendere con una scala dei vigili del fuoco e riportati nel centro.
Molti altri, forse più di venti, sono corsi via veloci facendo perdere le proprie tracce.
Se i numeri verranno confermati potrebbe essere stata una fuga più numerosa dopo quella del 22 settembre.
Una lunga vacanza di Natale. Un buon augurio per l’anno che viene.
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Torino. Contro pogrom razzisti e stragi fasciste
Torino. Contro pogrom razzisti e stragi fasciste
Torino 17 dicembre. Siamo alle Vallette, il quartiere popolare, che ha i suoi emblemi in quella discarica sociale che è carcere e nel nuovo stadio della Juve, dove le tensioni sociali si stemperano tra tifo e ginnastica ultrà.
In questo quartiere il 10 dicembre si è consumato un pogrom.
Una ragazzina racconta un bugia, uno stupro mai avvenuto, punta il dito su due rom, i rom che vivono in baracche fatiscenti tra le rovine della cascina della Continassa. In pochi giorni nel quartiere cominciano a girare i soliti volantini anonimi dei “cittadini indignati” che invitano a “ripulire la Continassa”.
Il corteo, in prima fila la segretaria cittadina del PD, Bragantini si dirige al campo. I rom fuggono, la polizia sta a guardare. Partono le molotov che si mangiano tutto.
Sabato 17 prima al mercato di piazza Montale, poi in quello di corso Cincinnato, c’è un volantinaggio di solidarietà con le vittime della barbarie razzista. Tanti si fermano, prendono il volantino, dichiarano solidarietà.
Nel pomeriggio l’appuntamento, organizzato da numerose associazioni antirazziste e gruppi politici, è in piazza Castello per un presidio di solidarietà con i rom della Continassa e con i due africani ammazzati da un fascista due giorni prima a Firenze.
Il presidio si trasforma in corteo spontaneo: alla testa un folto gruppo di senegalesi con due striscioni con i nomi dei due ambulanti uccisi. Tra slogan e musica il corteo si dipana per il centro.
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