Archivi categoria: cronache

Cie di Gradisca: “un gigante dai piedi d’argilla”

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Parma, 10 anni, 30 occupazioni

La lotta per la casa a Parma compie dieci anni e non sembra conoscere segni di arretramento. Qualche settimana fa alcune famiglie erano state sgomberate da uno stabile di via Bengasi: le stesse famiglie, coadiuvate dalla Rete Diritti in Casa”, … Continua a leggere

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La barbarie di ogni giorno

Con i polsi legati e il nastro adesivo sulla bocca. Una foto immortala un migrante algerino su un volo di linea Alitalia da Roma a Tunisi e i media nazionali di accorgono che le deportazioni/rimpatri forzati di migranti sono azioni … Continua a leggere

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Pogrom di polizia ad Atene

Atene 25 aprile. Sin dalle prime ore del giorno è scattata un’ampia operazione di polizia nel centro della città.
Camionette con centinaia di uomini in assetto antisommossa hanno circondato interi isolati e hanno fatto irruzione in numerosi edifici a caccia di immigrati. Chiunque paresse straniero è stato brutalmente fermato e perquisito. Tutti gli immigrati senza documenti sono stati condotti nei nuovi centri di detenzione.
Il ministro per la difesa civile Chrysochoidis, già protagonista di numerose campagne contro gli immigrati, ha dichiarato che “Atene sarà ripulita in pochi giorni. Noi dobbiamo riappropriarci dello spazio pubblico”. Continua a leggere

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Grecia. Il muro di Evros e la guerra all’immigrazione

La Grecia ha deciso: il muro lungo il confine con la Turchia si farà. Lo ha annunciato il ministro “per la protezione dei cittadini” Michalis Chrisochoidis. L’Unione Europea non finanzierà il progetto, peraltro caldeggiato da Sarkozy, ma non si opporrà a quello che l’incaricata UE Cecilia Malmström, ha definito un “affare interno”.
La pressione dell’estrema destra xenofoba, che i sondaggi danno in crescita, il tentativo di spezzare il fronte della lotta di classe giocando la carta della guerra tra poveri, sono all’origine della scelta di dare una ulteriore svolta disciplinare all’immigrazione nel paese ellenico.
Molti immigrati sono afgani, spesso minorenni, cui è negato l’asilo politico o il riconoscimento dello status di profughi, perché provengono da una paese “democratico” e non hanno “motivo” di fuggire.
Tanti si ammassano in campi di fortuna alle spalle di Patrasso, nella speranza di guadagnare un passaggio clandestino verso l’Italia. Nel nostro paese se ne parla solo quando qualcuno muore schiacciato dalle ruote di un camion cui si era aggrappato.
Il muro di Evros è solo uno dei tasselli – forse solo il più visibile – di una politica di repressione dell’immigrazione clandestina, che nei prossimi mesi porterà alla costruzione di 30 centri di detenzione da mille posti l’uno.
Nei quartieri periferici di Atene, la grande città dove si concentrano gran parte degli immigrati che provano, attraverso la Grecia, ad approdare nell’Europa più ricca, si moltiplicano le aggressioni fasciste.

Ne abbiamo parlato con Georgios del gruppo di comunisti libertari di Atene.

Ascolta l’intervista a radio Blackout
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Processo agli antirazzisti torinesi primo atto

Si è svolta oggi l’udienza preliminare del processo agli antirazzisti torinesi.
Erano presenti solo sette imputati, di cui uno detenuto per antifascismo e un’altra ai domiciliari per la lotta No Tav.
Si sono costituiti parte civile i curatori fallimentari del ristorante il Cambio, il capo dei comitati spontanei razzisti Carlo Verra e la consigliera di circoscrizione del PDL Patrizia Alessi.
Gli avvocati della difesa hanno presentato alcune eccezioni di natura procedurale per mancata notifica, l’accoglimento delle quali ha portato al rinvio al 24 maggio dell’udienza.
Il mega processo che mette insieme alcuni episodi di lotta antirazzista – ma non solo – è stato spezzato in due.
In questa prima tranche sono state messe insieme alcune tra le tante manifestazioni, proteste, azioni, contestazioni che hanno – almeno in parte – attraversato il percorso dell’assemblea antirazzista torinese. Altre iniziative, dello stesso tenore e dello stesso ambito, saranno oggetto di altri procedimenti. Chiaro l’intento di prendere due piccioni con una fava giuridica.
Da un lato proporre, pur senza riproporla formalmente, la chiave associativa negata dalla cassazione, dall’altro investire gli stessi antirazzisti di una miriade di procedimenti separati, negando loro almeno il beneficio della continuità, derivante dell’accorpamento.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese e in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
Non a caso il regista dell’intera operazione è il PM Padalino, noto per le sue simpatie leghiste e per proposte di stampo teneramente nazista come il rilievo delle impronte ai bambini e alle bambine rom.

L’urgenza politica e morale della lotta antirazzista va al di là della repressione che colpisce chi ha tentato di mettere sabbia nel meccanismo feroce che stritola le vite degli immigrati per tenerli sotto costante ricatto.
In questi anni è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, un corpus di leggi che stabilisce che viaggiare è un reato, cercare un futuro migliore un’ambizione criminale.
Di fronte alle nuove leggi razziali ribellarsi e sostenere chi si ribella è un dovere. Ineludibile.
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Parma, lotta per la casa: dopo via Bengasi non ci fermeremo!

A Parma la lotta per il diritto alla casa non si ferma. L’occupazione di due palazzine in via Bengasi 2 e 4 ha permesso ad alcune famiglie e a più di cinquanta di migranti di avere un tetto sulla testa … Continua a leggere

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Pioltello. Corteo contro lo sgombero del presidio

Gli operai delle cooperative Esselunga hanno deciso di battersi contro lo sfruttamento e il caporalato, rischiando il proprio posto di lavoro. In questa lotta si sono riconosciuti tanti altri lavoratori, poiché il sistema Esselunga è lo stesso cui sono obbligati … Continua a leggere

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Stato di polizia. Solidarietà agli antirazzisti e ai No tav colpiti dalla repressione

Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe. Nel nostro paese è … Continua a leggere

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CIE: Una guerra non dichiarata

Ascolta l’intervista di Raffaele a radio Blackout  su immigrazione, CIE, informazione negata, permesso a punti, repressione. Quello che segue è l’articolo di Raffaele Viezzi pubblicato su Umanità Nova numero 10 del 18 Marzo 2012          www.umanitanova.org “Contrastare … Continua a leggere

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CIE di Gradisca: Connecting People pescata con le mani nel sacco

Giovedì 23 febbraio. Che la gestione dei CIE sia un affare lucroso è cosa nota. Intorno a questi nonluoghi girano una montagna di soldi pubblici da arraffare e in molti fanno a gara per accaparrarseli. La fame di profitto va … Continua a leggere

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Respingimenti in mare. Strasburgo condanna l’Italia per tortura

La Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per i respingimenti verso la Libia. La condanna riguarda il caso “Hirsi”. 24 persone per le quali non è stato rispettato l’articolo 3 della Convenzione sui diritti umani, quello sui trattamenti degradanti e la tortura.
I 24 facevano parte di un gruppo di 200 profughi di guerra somali ed eritrei, intercettati in mare il 6 maggio del 2009, caricati su navi italiane e portati in Libia contro la loro volontà, senza dare loro la possibilità di fare richiesta di asilo.
In Libia sono stati per mesi in prigioni dove hanno subito abusi di ogni genere. La loro vicenda non è stata seppellita nel silenzio e nell’indifferenza per un mero caso. Intercettati in Libia dal Cir – consiglio italiano rifugiati – hanno incaricato gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani di presentare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.
L’Italia dovrà pagare il risarcimento a 22 delle 24 vittime: 15.000 euro più le spese. Gli altri due sono morti in un nuovo tentativo di raggiungere l’Italia.
Ma è solo un dato simbolico, perché il prezzo vero di quelle vite non lo pagherà nessuno. Il prezzo per quelli annegati in mare, per quelli torturati, struprati e umiliati nelle prigioni libiche, per chi è morto di fame e di sete nel deserto perché non aveva denari per pagare i mercanti d’uomini. Nessuno pagherà il prezzo per i bambini che quel giorni e in tanti altri giorni anonimi e non saputi di questi anni di guerra ai poveri hanno visto chiudersi l’orizzonte della loro vita.
Una lunga strage. Una strage di Stato.
La condanna della corte di Strasburgo rappresenta tuttavia un duro colpo alla politica delle espulsioni collettive, sancita dal trattato di amicizia italo-libica voluta da Prodi, siglata da Berlusconi e perseguita di recente dal governo Monti, nel corso della visita in Libia del 21 gennaio.
Ma – lo sappiamo bene – non cambierà le politiche della Fortezza Europa.
Finché ci saranno frontiere, muri, filo spinato, finché ci saranno uomini in armi a sorvegliarne i confini, le convenzioni, i diritti umani, le corti internazionali non saranno che l’alibi umanitario, la foglia di fico di un’Europa chiusa, spaventata, arroccata intorno ai propri privilegi.
I 22 salvati di Strasburgo ci ricordano le migliaia di sommersi senza nome che il mare nostrum ha inghiottito. 1500 solo nel 2011. Da qualche parte, in un campo profughi, in un villaggio remoto c’è qualcuno che ne ha memoria. Qui da noi non sono che i numeri che scandiscono il ritmo di una guerra. La guerra ai poveri.
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CIE di Modena. Sciopero della fame e della sete

Mercoledì 22 febbraio. I reclusi del Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena sono in sciopero della fame e della sete da due giorni. Alla protesta partecipano tutti i 56 reclusi della struttura.
Il CIE di Modena è l’equivalente di un supercarcere per senza documenti. Le condizioni di detenzione sono peggiori che altrove, l’isolamento molto più rigido. Ormai da un paio d’anni anche in altri CIE è stato impedito agli “ospiti” di tenere i propri telefoni cellulari, a Modena non è mai stato possibile comunicare con l’esterno se non dietro stretta sorveglianza dei gestori del Centro, la Misericordia di Giovanardi, fratello gemello dell’ex ministro del PDL.
Nonostante l’isolamento questa volta le notizie sono filtrate all’esterno.
A scatenare la protesta, durissima e compatta dei prigionieri, l’inganno messo in atto dalla Questura modenese, che aveva promesso, che, nonostante il recepimento da parte del governo italiano della direttiva rimpatri, allo scadere del sesto mese di detenzione, nessuno sarebbe rimasto nel CIE.
Nei giorni scorsi diversi immigrati sono passati dal giudice di pace che ha prolungato di altri due mesi il soggiorno forzato a Modena. Chi entra in un CIE passa sempre dal giudice di pace che, di volta in volta, aggiunge due mesi a quelli iniziali.
I reclusi sono decisi a resistere finché non otterranno la libertà.

Circolano indiscrezioni su un possibile cambio della guardia nella gestione della struttura emiliana, poiché la Misericordia che l’ha in gestione sin dall’apertura, potrebbe non presentarsi per la prossima gara di appalto. La riduzione del contributo diario per ogni prigioniero renderebbe meno redditizio l’affare. Secondo le stesse fonti tra i possibili concorrenti ci sarebbe la francese Gepsa, che un anno fa sarebbe dovuta subentrare al consorzio Connecting People nella gestione del CIE di Gradisca d’Isonzo, ma per una serie non troppo chiara di inghippi amministrativi, di fatto è rimasta fuori.
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CIE di Gradisca: piccole ordinarie sopraffazioni

Le notizie di maltrattamenti, pestaggi, angherie e abusi che filtrano dalle mura dei CIE ogni tanto fanno notizia anche se molto meno di quello che sarebbe necessario per squarciare il velo di silenzio e indifferenza che circonda questi luoghi. Ciò … Continua a leggere

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Profughi di guerra e guerra ai profughi

Le scelte del governo nell’ultimo anno sono state un mix di criminalità e cialtroneria. È stato un anno di “emergenze” costruite per poter meglio modellare un dispositivo securitario, che punta sul disciplinamento del lavoro migrante, come grimaldello per eliminare ogni … Continua a leggere

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Blocchi e scioperi all’Esselunga di Pioltello

Non si ferma la lotta degli operai delle cooperative che gestiscono la logistica alla Esselunga di Pioltello. Nonostante la dura repressione – ormai trenta lavoratori tra cui tutti i 24 delegati sindacali – sono stati licenziati continua giorno e notte … Continua a leggere

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Un pacchetto a scoppio ritardato

I primi di agosto del 2009 divenne legge il “pacchetto sicurezza”, un insieme di norme volute dal governo Berlusconi per aumentare gli ostacoli in quella corsa con handicap che è la vita degli immigrati poveri nel nostro paese.
L’ultimo dei bocconi avvelenati viene servito a “freddo” due anni dopo l’emanazione della legge.
Gli immigrati che rinnovano o chiedono per la prima volta il permesso di soggiorno, dovranno pagare una tassa, il cui importo oscilla tra gli 80 e i 200 euro.
Il nuovo contributo, previsto dalla legge sulla sicurezza del 2009, era rimasto sulla carta. Un decreto firmato a ottobre 2011 dagli allora ministri dell’Interno Roberto Maroni e dell’Economia Giulio Tremonti e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre, lo rende operativo a partire dal 30 gennaio prossimo. L’importo del «contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno» varia in base alla durata del permesso: 80 euro se è compresa tra tre mesi e un anno, 100 euro se è superiore a un anno e inferiore o pari a due anni, 200 euro per il «soggiorno di lungo periodo», meglio noto come «carta di soggiorno». A questa cifra si aggiungono i 27,50 euro per il rilascio del permesso di soggiorno elettronico.
Oltre il danno c’è la beffa. Metà degli introiti della tassa andrà al “fondo rimpatri”, ossia alla cassa che lo Stato usa per deportare gli stranieri “senza carte”, quelli che nella roulette russa dei permessi hanno perso. Alcuni hanno lavorato in nero e sono incappati nella rete dei cacciatori d’uomini in divisa Continua a leggere

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Trapani. Memoria resistente

Un pomeriggio di solidarietà e di lotta, per non dimenticare.
Mercoledì 28 dicembre, decine di antirazzisti si sono radunati davanti il cancello del Centro di Identificazione ed Espulsione “Serraino Vulpitta” rispondendo all’appello per la manifestazione in ricordo della strage del 1999 e per ribadire la ferma opposizione contro le leggi razziste e l’esistenza dei centri di detenzione per immigrati.
Al “Serraino Vulpitta” ci sono attualmente 38 persone recluse, per lo più tunisini. Alcuni di questi gridavano tutta la loro rabbia per le loro speranze deluse: «Siamo scappati da una dittatura e siamo finiti dietro le sbarre. Stiamo peggio che in carcere. Noi non siamo criminali». Le condizioni sono quelle di sempre. Gli immigrati denunciano non solo la scarsa qualità del cibo, ma anche la mancanza di coperte. Nonostante la chiusura dello spazio centrale del ballatoio che dà sull’esterno, i manifestanti e gli immigrati sono riusciti a comunicare reciprocamente.

A quanto pare, il “Serraino Vulpitta” funziona come un centro di raccolta terminale per chi deve essere rimpatriato a breve. Una struttura che, nonostante la sua tragica storia e la sua fatiscenza, rimane a disposizione delle autorità come valvola di sfogo per alleggerire il nuovo CIE di contrada Milo, più grande e meno gestibile in caso di rivolte e proteste. Gli immigrati hanno annunciato la loro intenzione di intraprendere uno sciopero della fame.
Poi, gli antirazzisti si sono diretti in centro storico per raccontare quello che avevano visto e sentito.
La presenza di alcuni immigrati di origine senegalese, intervenuti durante la manifestazione, ha sollecitato l’interesse della cittadinanza mentre venivano smascherati i meccanismi delle leggi razziste e le menzogne che sono alla base del pregiudizio e dell’ostilità nei confronti degli stranieri.
A Trapani c’è chi non dimentica e non si arrende.
Coordinamento per la Pace – Trapani
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CIE di Torino. Vacanze di Natale

Ci avevano provato la notte del 24 dicembre, ma era andata male. I poliziotti di guardia al Centro di corso Brunelleschi erano riusciti a bloccare un tentativo di fuga. Nell’area rossa usano gli idranti e pestano duro due prigionieri.

La sera dopo, è il 25 dicembre, i secondini sono pochi, chiusi nei loro gabbiotti, quando, profittando che le serrature forzate la notte prima non erano state riparate, gli immigrati senza carte hanno aperto le porte delle varie casette che li rinchiudono, e si sono riversati lungo la recinzione, saltandola in più punti.
Un ragazzo si è ferito cadendo dal muro ed è stato subito riacciuffato, altri tre, che avevano trovato rifugio in un capannone, sono stati individuati, fatti scendere con una scala dei vigili del fuoco e riportati nel centro.
Molti altri, forse più di venti, sono corsi via veloci facendo perdere le proprie tracce.
Se i numeri verranno confermati potrebbe essere stata una fuga più numerosa dopo quella del 22 settembre.
Una lunga vacanza di Natale. Un buon augurio per l’anno che viene.
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Torino. Contro pogrom razzisti e stragi fasciste

Torino. Contro pogrom razzisti e stragi fasciste
Torino 17 dicembre. Siamo alle Vallette, il quartiere popolare, che ha i suoi emblemi in quella discarica sociale che è carcere e nel nuovo stadio della Juve, dove le tensioni sociali si stemperano tra tifo e ginnastica ultrà.
In questo quartiere il 10 dicembre si è consumato un pogrom.
Una ragazzina racconta un bugia, uno stupro mai avvenuto, punta il dito su due rom, i rom che vivono in baracche fatiscenti tra le rovine della cascina della Continassa. In pochi giorni nel quartiere cominciano a girare i soliti volantini anonimi dei “cittadini indignati” che invitano a “ripulire la Continassa”.
Il corteo, in prima fila la segretaria cittadina del PD, Bragantini si dirige al campo. I rom fuggono, la polizia sta a guardare. Partono le molotov che si mangiano tutto.

Sabato 17 prima al mercato di piazza Montale, poi in quello di corso Cincinnato, c’è un volantinaggio di solidarietà con le vittime della barbarie razzista. Tanti si fermano, prendono il volantino, dichiarano solidarietà.

Nel pomeriggio l’appuntamento, organizzato da numerose associazioni antirazziste e gruppi politici, è in piazza Castello per un presidio di solidarietà con i rom della Continassa e con i due africani ammazzati da un fascista due giorni prima a Firenze.
Il presidio si trasforma in corteo spontaneo: alla testa un folto gruppo di senegalesi con due striscioni con i nomi dei due ambulanti uccisi. Tra slogan e musica il corteo si dipana per il centro.
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