Archivi categoria: cronache

Orrori quotidiani al CIE di Torino

Stefania Gatti è un giovane avvocato, al CIE di Torino, per visitare un suo assistito.
Mentre aspetta assiste ad una deportazione. Uno uomo viene condotto nell’atrio: ha con se tutte le sue cose e sa cosa lo aspetta. E’ tranquillo, sin troppo tranquillo. Poco dopo si sentono le urla dalla stanzetta in cui è rinchiuso. Quando si apre la porta Stefania vede l’uomo coperto di sangue: si è tagliato per cercare di evitare di essere imbarcato a forza su un aereo diretto a Tunisi. La sua vita è qui, non là. Dopo la medicazione viene comunque portato via.
I poliziotti si scusano con l’avvocato per il ritardo. “Sa, queste cose qui succedono tutti i giorni”.

Orrori quotidiani. La banalità del male di fronte alla quale l’indifferenza è complicità.

Ascolta la testimonianza di Stafania Gatti: Stefania
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L’Italia respinge in Grecia i profughi bambini

Dopo aver intervistato 29 bimbi e adulti respinti dai porti nostrani, Human rights watch ha stilato un rapporto in cui denuncia il comportamento delle autorità italiane che imbarcano in massa verso la Grecia profughi provenienti da paesi in guerra. Agli adulti non viene data la possibilità di fare domanda d’asilo, ai bambini non viene concessa l’ospitalità prevista dalle stesse leggi italiane.
In Grecia, i profughi, spesso provenienti dall’Afganistan, sono sottoposti ad abusi delle forze dell’ordine, condizioni detentive inumane e degradanti in un ambiente ostile, segnato da violenze xenofobe.
Nell’ultimo anno si sono moltiplicate le aggressioni contro gli stranieri dei neonazisti di “Xrisi Argi”, coperti e appoggiati dalla polizia. Solo le ronde antifasciste nei quartieri pongono un argine alle violenze naziste.
La maggior parte dei profughi considera la Grecia e l’Italia tappe di un viaggio con destinazione Gran Bretagna, Svezia, Norvegia, ma la legislazione europea, che impone di fare richiesta di asilo nel primo paese dell’Unione in cui si arriva, rende questo percorso molto difficile e rischioso.
Non è la prima volta che l’Italia entra nel mirino delle istituzioni umanitarie o transnazionali per il trattamento inflitto ad immigrati e richiedenti asilo.
Basti pensare alla condanna della corte di Strasburgo per tortura e trattamenti inumani per i respingimenti verso la Libia.

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Mineo. Una discarica per richiedenti asilo

Era la primavera del 2011. Migliaia di tunisini presero la via del mare per cercarsi un’altra vita in Europa. La rivolta che aveva scosso il paese, contagiando quelli vicini, aveva reso meno chiuse le frontiere. Il ministro dell’Interno, il leghista Maroni, affrontò l’ondata di sbarchi da par suo, trasformando Lampedusa in un gigantesco carcere a cielo aperto, nella vana speranza di scaricare la patata bollente agli altri Stati Europei. Quando la situazione divenne incandescente decise di aprire campi-tenda e vecchie caserme per rinchiudere gente che voleva solo proseguire il proprio viaggio.
Finì all’italiana. Quelli arrivati entro il 5 aprile ottennero un permesso di sei mesi, quelli sbarcati dopo erano clandestini.
In questo caos in cui la criminalità del governo era pari solo alla sua cialtroneria i CIE si riempirono all’inverosimile di gente più che disponibile ad animare rivolte su rivolte. L’intero sistema concentrazionario italiano andò in crisi. In questo clima maturò l’affare Mineo.
A Mineo, 35 chilometri dalla base militare di Sigonella, la ditta della famiglia Pizzarotti aveva costruito un residence per le famiglie dei militari statunitensi. Nella primavera del 2011 il residence è vuoto, perché gli americani hanno optato per soluzioni più comode ed economiche.
Pizzarotti si ritrova una patata bollente che non riesce a piazzare in nessun modo, finché un governo amico non decise di togliergli le castagne dal fuoco trasformando il residence in CARA, ossia un centro per richiedenti asilo. Lì vennero deportati richiedenti asilo da ogni angolo di’Italia, interrompendo le pratiche già in atto, spezzando le relazioni con la gente del luogo. In questo modo i CARA si potevano trasformare in CIE e la famiglia Pizzarotti non ci rimetteva un euro.
Due anni dopo il CARA di Mineo è strapieno, luogo di proteste e rivolte da parte di profughi e rifugiati, dimenticati in questa prigione nel deserto. Le pratiche, tutte concentrate a Catania, si sono allungate all’infinito, le risposte tardano, Mineo è diventata una polveriera.

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Quei materassi che bruciano ogni notte

Stefania è quasi avvocato. Martedì scorso è entrata nel CIE di Torino per incontrare un cliente, un ragazzo pestato a sangue durante l’ultima rivolta dei reclusi di corso Brunelleschi.
La protesta si è fatta incandescente nella notte del 13 gennaio, un freddo cane e niente riscaldamento. Alcuni prigionieri bruciano i materassi, altri salgono sui tetti, fuori la polizia intercetta qualche manciata di solidali, poi, dopo l’arrivo di altri, li rilascia.
Nella notte del 15 è ancora rivolta. La polizia spara lacrimogeni e pesta. Il giorno dopo parte una perquisizione punitiva con perquisizione delle celle in cerca di attrezzi usati per le rivolte.
Stefania ascolta il racconto del pestaggio subito dal ragazzo che l’ha chiamata. Poi resta lì, nella zona destinata ai colloqui, in attesa di un altro “cliente”. Aspetta e ascolta. Ascolta uno della Croce Rossa, l’organizzazione umanitaria che gestisce il CIE di Torino sin dalla sua apertura nel lontano 1999, quando l’Italia bombardava la ex Jugoslavia e il confine tra la guerra fatta fuori e quella in casa era sottile sottile.
Il tizio della Croce rossa ovviamente parla con la voce di chi si è fatto complice dei secondini, ma il suo racconto ci dice che, anche a Torino sta succedendo quello che capita un po’ dappertutto, da quando il governo – e l’Europa – hanno deciso che lì dentro ci puoi rimanere sino a un anno e mezzo. Una condanna senza crimine, senza giudice, senza avvocato.
Le rivolte, racconta l’uomo della Croce Rossa, sono le punte più aguzze di una realtà quotidiana di lotta e di tentativi di evasione. I materassi bruciano ogni notte, le coperte spariscono in fretta, perché servono per intrecciare le corde per saltare il muro.
Solo questo conta. Saltare il muro.
Anche i poliziotti che passano parlano, parlano dei telefoni portati via agli immigrati, che hanno osato fare foto della rivolta che potrebbero uscire fuori e mostrare a chi vuol vedere quello che succede.
Stefania racconta questa storia all’informazione di radio Blackout. Un racconto preciso, senza sbavature, intelligente, che si intreccia con la spiegazione dei meccanismi che stritolano le vite di chi finisce nei pollai per immigrati. La direttiva rimpatri stabilisce che nel CIE ci puoi stare sino a sei mesi, ma la prigione amministrativa dovrebbe essere l’estrema ratio. Prima si dovrebbero tentare altre strade, verificare se il senza carte ha parenti, affetti, legami. Lo dovrebbe fare il giudice di pace al momento della ratifica della detenzione. Ma, dice Stefania, per quello che ha visto lei, quelli convalidano sempre.
E, ogni notte, in ogni dove d’Italia, i materassi bruciano.

Ascoltate l’intervista a Stefania sul sito di radio Blackout.
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Capodanno di rivolta ed evasione nei CIE

Gli ultimi giorni dell’anno sono stati particolarmente animati in vari CIE sparsi per la penisola. Durante la notte di natale una rivolta è scattata nel cie di Modena, con materassi gettati nel cortile. A capodanno invece una tentata fuga con … Continua a leggere

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Tredici anni dopo la strage del Vulpitta: non dimentichiamo!

Come ogni anno gli antirazzisti e gli anarchici trapanesi sono tornati in piazza per ricordare la strage del Vulpitta e contro tutti i CIE. Manifestazione svoltasi pochi giorni prima dell’ennesimo tragico naufragio di immigrati davanti alle nostre coste. Quella che … Continua a leggere

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Il lavoro uccide. La strage dei migranti

Tratto da Anarres. A Torino, nell’anniversario della strage della Thyssen si torna a parlare di lavoro. Di lavoro che uccide, di padroni che lucrano, delle vite operaie che non valgono il costo di un estintore. La strage dell’acciaieria torinese divenne … Continua a leggere

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In questo inizio inverno…

Delle vicende degli immigrati sfruttati nel cuneese ci siamo gia` occupati piu` volte. Qui sotto vi proponiamo un aggiornamento pubblicato su Umanita` Nova di questa settimana. Saluzzo – Mentre alla casa del cimitero tirano a campare tra brandelli di lavoro, … Continua a leggere

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Cie di Gradisca: “E’ peggio di un carcere”

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Piacenza.Cariche all’IKEA

La mappa della logistica in Emilia-Romagna e Lombardia? È una mappa dello sfruttamento e della violenza. La violenza dei caporali, la violenza dello stato. La violenza di Ikea. Quella di azienda “friendly” è solo una patina. Ma la lotta dei … Continua a leggere

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Saluzzo. I forzati della raccolta della frutta

Saluzzo e i paesi intorno vivono di un’agricoltura florida, basata sulla frutta, dalle pesche ai kiwi. Ormai da qualche anno, all’inizio dell’estate arrivano in zona molti immigrati africani, per partecipare alla roulette alla raccolta. Si tratta di lavoratori quasi sempre … Continua a leggere

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Trieste: centinaia di detenzioni illegali di immigrati

Della tragica e criminale morte di Alina Bonar Diachuk ne abbiamo già parlato. Il caso però non è chiuso e fra gli indigati ora vi è anche il vice-responsabile dell’ufficio immigrazione della questura, con gli stessi capi di imputazione del … Continua a leggere

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Aggiornamenti dal CIE di Gradisca

Mentre è di pochi giorni fa la notizia che la connecting people si è aggiudicata in modo definitivo l’appalto per le gestione del lager (con il respigimento del ricorso della francese Gespa), periodicamente sui media locali spuntano fuori le magagne … Continua a leggere

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Cie di Gradisca: sciopero della fame

Sarebbero stati 48 i reclusi che dal 18 giugno e fino a pochi giorni fa hanno portato avanti -nel silenzio totale dei media- uno sciopero della fame per protestare contro le invivibili condizioni di detenzione. Da pochi giorni lo sciopero … Continua a leggere

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Moderni Schiavisti

E’ di qualche giorno fa la notizia che un gruppo di immigrati nell’alessandrino ha trovato la forza di ribellarsi al sistema di sfruttamento bestiale a cui vengono sottoposti da anni nelle campagne della zona. A questo proposito pubblichiamo la testimonianza … Continua a leggere

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Torino: rinvio a giudizio per gli antirazzisti

Mercoledì 27 giugno. Il giudice dell’udienza preliminare ha pronunciato le sentenza contro 40 antirazzisti torinesi. Rinvio a giudizio per tutti. Respinte quasi tutte le richieste dei difensori che avevano argomentato come buona parte delle imputazioni volute dal PM e dal … Continua a leggere

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Basiano. Lavoratori o schiavi?

Riguardo ai gravi fatti successi alcuni giorni fa a Basiano pubblichiamo questo articolo tratto da Anarres. Basiano, nei pressi di Milano, c’è un magazzino dove vengono lavorate le merci per il supermercato il Gigante. In questo magazzino, gestito dalla Gartico, … Continua a leggere

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Trieste: la normalità dell’abuso.

Della tragica vicenda di Alina Bonar Diachuk, ucraina di 32 anni suicidatasi nel commissariato di Opicina (TS) durante un fermo illegale ci siamo già occupati. Dopo qualche settimana è necessario fare un aggiornamento. Dopo che il caso è esploso sui … Continua a leggere

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Trapani. Fuga di massa dal CIE

Tra sabato 26 e lunedi 28 maggio ben centodieci immigrati sono scappati dal Centro di Identificazione ed Espulsione di contrada Milo alla periferia di Trapani. La fuga di massa era stata tentata da circa duecento persone. Successivamente, nella notte tra martedi e mercoledi, altri quindici ragazzi sono riusciti a riprendersi la libertà su un totale di circa cinquanta detenuti che ci avevano provato. Tutti gli episodi hanno avuto le caratteristiche della rivolta, con drammatiche colluttazioni tra immigrati e personale di polizia. Il CIE di Milo, con la sua capienza massima di 204 posti, si è dunque opportunamente spopolato. Proprio alla fine di maggio, una delegazione di giornalisti vi ha fatto ingresso nell’ambito della campagna “LasciateCIEntrare”. Dopo tanti anni, il mondo dell’informazione “ufficiale” ha preso a cuore la tematica dei centri di internamento per immigrati allo scopo di rendere queste strutture accessibili e “trasparenti”. Pur non essendo più in vigore la direttiva dell’ex ministro dell’Interno Maroni che aveva vietato l’ingresso dei giornalisti nei Centri, la possibilità di accesso ai lager italiani è sempre molto discrezionale a seconda della prefettura di riferimento. A Trapani, la visita guidata al Centro di Milo non ha svelato niente che non si sapesse già: gli episodi di autolesionismo sono frequentissimi (una media di almeno quindici al mese) e i tentativi di fuga sono praticamente all’ordine del giorno. Gli immigrati intervistati hanno sfogato tutta la loro rabbia e frustrazione per una detenzione ingiusta e disumana, naturale prodotto di una legislazione che mortifica i diritti e la libertà delle persone. Tutte cose che gli antirazzisti, a Trapani come ovunque, hanno sempre denunciato sin dalla prima comparsa di queste strutture. Dispiace che alcuni giornalisti se ne siano accorti solo adesso ma, come si dice, meglio tardi che mai. Continua a leggere

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Cie di Gradisca di nuovo in rivolta

Circa un mese fa eravamo tornati a parlare del CIE “modello” della cittadina isontina in occasione della fine dei lavori di ristrutturazione durati ben oltre un anno. Per tutto questo tempo nel lager gradiscano ben poco è successo all’interno per … Continua a leggere

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