CIE. Cosa bolle nella pentola del governo?
Riportiamo in questa pagina in costante aggiornamento le cronache e le riflessioni delle ultime settimane sul fronte del CIE, per cercare di capire cosa stia davvero bollendo nella pentola del governo, dopo la campagna mediatica che ha ri-messo al centro dell'attenzione i centri per senza carte, le leggi razziste del nostro paese, la difficoltà del governo a fare fronte ad una spesa enorme, tra gestione dei centri, espulsioni, ristrutturazioni continue dei CIE danneggiati o distrutti dalle rivolte.
Siamo convinti che il governo intenda liberarsi della patata bollente, facendo sì che tutto cambi, affinché tutto resti come prima.
Proviamo a vedere come, andando oltre i toni intollerabilmente melensi dei media.
Iniziative contro il CIE di Gradisca in maggio e giugno
A pochi chilometri da noi a Gradisca d’Isonzo dal 2006 esiste un CIE (centro di identificazione ed espulsione). In questa prigione sono reclusi in condizioni durissime decine di cittadini non dell’unione europea per il solo motivo di non possedere (o non possedere più) un permesso di soggiorno valido. Divieto di leggere, di comunicare con l’esterno, psicofarmaci, privazioni e soprusi di ogni tipo sono pane quotidiano e provocano tra l’altro continui episodi di autolesionismo. Riteniamo importante far conoscere l’esistenza di questi luoghi e le logiche che li governano, promuovendo iniziative di informazione e denuncia. Invitiamo tutti e tutte a partecipare e a contribuire in modo attivo alle iniziative che si terranno nei prossimi giorni: Trieste, sabato 18 maggio dalle 17 in via delle Torri (dietro la chiesa di s.antonio) Pordenone, sabato 18 maggio dalle 17 in p.tta Cavour Udine, sabato 24 maggio al nuovo spazio sociale in viale Osoppo Le iniziative vogliono anche promuovere la partecipazione al presidio regionale che ci sarà sabato 1 giugno nel pomeriggio di fronte al CIE di Gradisca indetto dal Coordinamento regionale contro i CIE.Sabato 20 aprile – Il CIE tra la movida di Torino
ore 19,30 aperibenefit antirazzisti sotto processo ore 20,30 assemblea sui CIE con testimonianze ore 22 presidio antirazzista itinerante per portare il CIE in mezzo alla città. Appuntamento alle 19,30 in largo Saluzzo "Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!" Questo striscione è apparso lo scorso mese davanti alla villa di Antonio Baldacci, responsabile del CIE di Torino. Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto. La mattina dopo Fatih era morto. Non venne eseguita nessuna autopsia. Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito. Due giorni dopo il colonnello e medico Baldacci dichiarerà "gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa". Parole che ricordano quelle degli aguzzini di ogni dove. Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si recò a casa Baldacci per un "cacerolazo". Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni. La protesta di persone indignate per una morte senza senso. Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade. I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell'amministrazione comunale. L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione. L'occupazione simbolica dell'atrio del Museo egizio - 29 giugno 2008 - per ricordare l'operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione - 17 luglio 2008 - dell'assessore all'integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata - 11 luglio 2008 - contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta - 20 marzo 2009 - alla lavanderia "La nuova", che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l'elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti. Nel CIE di Torino negli ultimi due mesi si sono susseguite le lotte e le rivolte. Tutte le sezioni del CIE sono state gravemente danneggiate. In febbraio la polizia ha pestato, gasato gli immigrati in rivolta dopo un fallito tentativo di fuga. Sei sono stati arrestati. Nonostante la repressione le lotte non si sono fermate. Per evitare la deportazione qualcuno si taglia, altri salgono sul tetto. Il CIE è quasi inagibile. In alcune sezioni gli immigrati dormono su materassi gettati in terra. La scorsa settimana tutti i reclusi, ormai solo 47, hanno fatto uno sciopero della fame di due giorni. Per la libertà. Nei CIE le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all'espulsione da lunghi anni sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell'Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi sia un'urgenza che ci riguarda tutti. Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un’aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, continueremo a portare il CIE per le strade di Torino. Antirazzisti contro la repressione Ti ricordi di Fatih?Mercoledì 27 febbraio – processo agli antirazzisti
Mercoledì 27 febbraio prima udienza del processo a 67 antirazzisti torinesi
La Procura mette in scena un processo alle lotte.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese, in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si traducono in scelte politiche scomode.
Se sperano di spaventarci si sbagliano.
In questi anni le iniziative di opposizione al razzismo, alle politiche securitarie, al militarismo allo sfruttamento si sono moltiplicate sul territorio.
L’urgenza politica e morale di allora è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri.
Porteremo il loro processo nelle strade di questa città!Sabato 2 marzo – Portiemo il CIE nel salotto della città! – presidio antirazzista
Il 27 febbraio e cominciato il primo di due processi agli antirazzisti che, tra il maggio del 2008 e il maggio del 2009, attraversarono l'esperienza dell'Assemblea Antirazzista Torinese.
La lotta contro i CIE ha segnato alcuni momenti importanti di quell'anno ed è oggi un fronte sempre più caldo di resistenza al razzismo di Stato nella sua concreta, quotidiana, materialità.
La morte di Fathi, un immigrato tunisino lasciato senza cure nell'allora "nuovo" CPT di Torino, fu il banco di prova di una relazione politica ancora embrionale.
La lotta che ne seguì fece da catalizzatore per quelle che seguirono.
Oggi le protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare della struttura detentiva di corso Brunelleschi, è entrata nel fascicolo del processo.“Il CIE nel salotto della città”
Il 2 marzo con un presidio itinerante per il centro cittadino porteremo quella storia negata e dimanticata in mezzo alla città.
Appuntamento alle 15 in piazza Castello.
Sabato 23 febbraio punto info solidale con gli antirazzisti sotto processo
Sabato 23 febbraio punto info sul processo a 67 antirazzist*
a Porta Palazzo - sotto i portici all'angolo con corso GiulioRompere il silenzio
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Tre anni fa la Procura giocò la carta dell’associazione a delinquere ed arrestò sei antirazzisti. Il teorema non resse in Cassazione ma la Procura voleva comunque mandare alla sbarra l’Assemblea Antirazzista torinese.
Oggi la Procura mette in scena un processo alle lotte. In due atti.
Il primo atto va in scena il 27 febbraioArance amare – mostra itinerante per i mercati di Torino – 26 gennaio 2013
Le arance, i mandarini, le clementine che fanno mostra di se nei mercati di Torino, sono state raccolte da lavoratori stagionali, che vengono pagati 50 cent alla cassetta di arance, 1 euro per cassetta di mandarini. Ogni cassetta pesa una media di 18/20 chili. In una giornata di lavoro la media arriva a 25 euro. In nero, non tutti i giorni ma solo quelli che il caporale ingaggiato dai padroni decide di sceglierti. Se alzi la testa, se reclami per i ritmi o per la paga, puoi anche andartene, perché nessuno ti chiamerà più.
I media ci raccontano di migrazioni epocali, di emergenze continue per giustificare le condizioni di vita indecenti di questi lavoratori. Per loro non ci sono tende o gabinetti funzionanti quando arrivano nella piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi. Di affittare una casa non se ne parla nemmeno: a Rosarno o a San Ferdinando una stanza costa come nel centro di Milano o Roma.
In realtà basterebbero pochi soldi per mettere su strutture decenti, basterebbero liste publiche per tagliare fuori i caporali, basterebbe che chi guadagna, e bene, sul lavoro degli stagionali, ci mettesse qualcosa del suo per garantire loro un letto e una doccia. Invece no. Così le tendopoli scoppiano subito, circondate da baracche fatte di lastre di amianto e teli di plastica, così per i bisogni ci sono buche a cielo aperto.
Quella dell'emergenza è una bufala che ci raccontano perché è più facile immaginare una fame tutta africana, che vedere la realtà. La realtà è fatta di operai del nord che hanno perso il lavoro e vengono a fare la raccolta per rimediare un salario, la realtà è fatta di richiedenti asilo che attendono da oltre due anni la risposta che consentirebbe loro di andare via, di cercarsi un lavoro stabile. La guerra in Libia è finita da due anni, ma i profughi di quella guerra vivono ancora in un limbo apolide.
Se vedessimo la realtà vedremmo che la condizione degli africani di Rosarno è ormai la condizione di tanta parte dei lavoratori italiani. L'unica emergenza è quella quotidiana di uno sfruttamento senza limiti, perché per i padroni non conta il colore delle pelle, ma quello dei soldi.
Le arance che mangiamo sono sempre più amare.Sabato 26 gennaio mostra itinerante e volantinaggio nei mercati delle zone popolari di Torino.
Appuntamento alle 9,30 in corso Palermo 46 - per info: 338 6594361Frontiere d’Europa. 30 nuovi centri di detenzione in Grecia
Grecia. Il ministro della protezione civile M. Chrysohoidis, ha annunciato ieri l'apertura di trenta nuovi centri di detenzione per immigrati in collaborazione con il ministero degli esteri.
Il ministro si è incontrato con i governatori di dieci province greche per verificare la loro disponibilità ad ospitare i centri. Ha anche fornito assicurazione che l'Unione Europea si è impegnata a versare 250 milioni di euro per i prossimi tre anni.
Per ciascuno dei centri sarà istituito un apposito presidio di polizia di almeno 150 agenti oltre a 70 guardie private, ogni 250 immigrati detenuti.
Secondo il piano presentato ogni centro sarà diviso in quattro sezioni, in ciascuna delle quali saranno rinchiusi 250 immigrati. Ognuno dei nuovi lager "ospiterà" 1000 senza carte, per un totale di 30.000 prigionieri.
La Grecia si candida così al ruolo di paese cuscinetto tra i paesi più ricchi dell'Unione e le aree di emigrazione. Un avamposto di frontiera, ben pagato per il servizio reso.-
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GFE. Una lotta di tutti, una sconfitta di tutti
Mercoledì 13 luglio si è conclusa la lotta dei lavoratori della GFE. Una sconfitta, una sconfitta che brucia dopo quasi un anno di scioperi, presidi permanenti, scioperi della fame e della sete e iniziative di solidarietà.
L’accordo prevede l’assunzione prioritaria alla SNATT per un massimo di 80 lavoratori su 180. Il vice presidente della Provincia si fa garante che gli 80 rinunceranno alla causa civile in corso contro l’azienda.
Gli altri 100 lavoratori verranno “spalmati” tra altre cooperative di LegaCoop, dove spesso le condizioni di lavoro sono appena migliori che alla GFE.
Non vi è un impegno preciso all’applicazione del contratto nazionale (finora è stato applicato il contratto UCI, decisamente peggiore del nazionale). C’è solo una generica dichiarazione di intenti per “un adeguamento al contratto nazionale siglato dai sindacati confederali”.
Dopo la firma dell’accordo e l’approvazione da parte dei lavoratori le istituzioni locali (provincia in primis), la CGIL e i padroni hanno fatto dichiarazioni trionfali.
La sconfitta dei lavoratori disinnesca una bomba sociale che rischiava di fare da detonatore nelle tante situazioni lavorative simili alla GFE.
Dicono che l’accordo sia frutto di trattative durate un’intera giornata e che sia stato approvato dalla maggioranza (5 voti contrari e 70 favorevoli) dei lavoratori.
La verità è un’altra. L’accordo era stato concepito da giorni, le centrali sindacali ne erano al corrente e stavano lavorando ai fianchi i lavoratori in lotta. Un gioco sporco che mirava a dividerli, mettendo in cattiva luce chi dava loro sostegno al di fuori della CGIL. Un accordo imposto spaventando i lavoratori, stremati dopo una lotta lunghissima. Proprio il giorno prima si era scatenato il panico perché ad alcune famiglie di lavoratori erano state tagliate, per morosità, luce ed acqua. Un caso?
Il PD e la CGIL si sono schierati dalla parte del padrone, per l’armonia sociale, perchè c’è la crisi e bisogna tutti tirare la cinghia e fare sacrifici.
Il sindacato non ha voluto generalizzare la lotta della GFE, che doveva essere una lotta di tutti e rischiava di innescare un processo di scardinamento del sistema di sfruttamento cooperativo che regge buona parte dell’economia emiliana. Si è fatto di tutto perché questi lavoratori si sentissero isolati, trasformando una questione sociale generale in un problema circoscritto ai soli lavoratori della GFE.
Questa vicenda mostra, se mai ce ne fosse bisogno, che le lotte, per avere una possibilità di vittoria, devono essere condotte dai lavoratori stessi, senza deleghe. Continua a leggere
Fuga da Milo
Trapani, 20 luglio. Sono almeno 20 gli immigrati fuggiti dal nuovo Centro d’Identificazione ed Espulsione di contrada Milo, inaugurato pochi giorni fa, nella periferia di Trapani.
La notizia è stata diffusa in una nota del sindacato di polizia Siulp che, pur non avendo alcuno scrupolo morale a fare i secondini, tuttavia vorrebbero starsene più tranquilli.
Nel territorio di Trapani, attualmente, sono attivi il vecchio CIE “Serraino Vulpitta”, la nuova struttura di Milo, e la tendopoli di Kinisia, momentaneamente vuota.
Di seguito il bel comunicato del Coordinamento per la Pace di Trapani
Se vince l’umanità
Ancora una volta l’umanità ha vinto. Le fughe di immigrati dal nuovo Centro d’Identificazione ed Espulsione di contrada Milo dimostrano che l’insopprimibile bisogno di libertà è più forte di qualunque cinico efficientismo repressivo. Sapere che da Milo è possibile scappare significa ridare una speranza a questa città ridotta a un carcere a cielo aperto.
Il nuovo mega-lager di Trapani (una struttura costata un mare di soldi, concepita secondo i più moderni criteri in materia di segregazione) è un mostro di cemento e ferro circondato da sbarre, fatto apposta per contenervi centinaia di esseri umani colpevoli soltanto di essere nati dalla parte sbagliata del mondo (almeno secondo i criteri di chi dispone delle vite di noi tutti).
Da oggi il CIE di Milo, questo mostro di cemento e ferro, fa un po’ meno paura. Ma quando sarà chiuso, insieme al “Serraino Vulpitta” e alla tendopoli di Kinisia, sarà sempre troppo tardi.
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Ancora sciopero e blocchi alla TNT di Piacenza
Continua la lotta dei lavoratori alla TNT di Piacenza. Dopo le mobilitazioni di venerdì 8, il tavolo di trattativa previsto per il lunedì successivo si era rivelato un mero tentativo di sedare le lotta da parte della dirigenza delle due cooperative Stella e Vega, del gruppo Gesco Nord, già fin troppo noto per simili vicende di caporalato legalizzato.
La contropartita richiesta da capi e capetti in cambio di qualche timida e vaga concessione era stata la totale estromissione del sindacato Si Cobas che sta seguendo la vertenza.
Ma la risposta dei lavoratori non si è fatta attendere a lungo: rifiutata l’inaccettabile proposta dei padroni e la vergognosa offerta dell’importo di 100 euro a chi avesse restituito la tessera, hanno organizzato per la serata giovedì 14 luglio, un nuovo picchetto davanti all’azienda, con blocco dei camion in entrata e in uscita. Circa duecento, in gran parte lavoratori di Vega e Stella, insieme ad un gruppo di solidali, si sono ritrovati per più di cinque ore davanti ai cancelli. “Padroni di niente, schiavi di nessuno”, rivendicando i propri diritti e l’applicazione del contratto nazionale, denunciando le buste paga fittizie e chiedendo le dimissioni dei caporali “Ci avete sfruttato abbastanza, adesso è arrivato il momento che ve ne andiate”. L’infamia dei padroni si è palesata immediatamente: circa trenta lavoratori avevano già iniziato il turno e al loro tentativo di unirsi allo sciopero la reazione è stata il ritiro del badge d’accesso e la minaccia del licenziamento.
E mentre le forze del disordine schieravano le macchine dei carabinieri nel cortile e gli uomini della d.i.g.o.s. si affannavano a tradurre dall’arabo le decisioni prese dai lavoratori in assemblea, la dirigenza ha proposto un nuovo tavolo di trattativa per lunedì prossimo. Inutile dire che le aspettative sono scarse, ma determinazione nel dire basta è tanta, basta allo sfruttamento, basta alle perquisizioni personali da parte dei caporali in uscita dal lavoro, ai ritmi massacranti intervallati dall’imposizione di assurde pause non retribuite e alle continue minacce di licenziamento, perpetrate soprattutto nei confronti di chi, perdendo il lavoro, rischierebbe di perdere il permesso di soggiorno. Il presidio si è sciolto poco dopo l’una di notte ma la lotta non si ferma e sono previsti altri appuntamenti, sia prima, sia dopo il tavolo, se le cose non cambieranno davvero.
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Trapani. Muri e gabbie del nuovo CIE di Milo
Muri altissimi e gabbie di ferro per rinchiudere le vite di 200 immigrati senza carte. È l’ultimo CIE italiano, quello di Milo vicino a Trapani.
Lo hanno inaugurato i 50 tunisini trasferiti dalla tendopoli/lager di Chinisia, che è stata momentaneamente chiusa. A Milo hanno portato anche quattro richiedenti asilo, rinchiusi a Chinisia nonostante siano in attesa del riconoscimento dello status di rifugiati.
La struttura, costata 6 milioni di euro, è stata realizzata in un terreno contiguo all’area dell’ex aeroporto di Milo, vicino al Comando provinciale dei vigili del fuoco e alla stazione dell’Agenzia spaziale italiana. È previsto che in futuro ci sia anche una sezione femminile e un centro di accoglienza per richiedenti asilo.
La gestione del nuovo CIE è stata temporaneamente affidata al centro di accoglienza Badia Grande della Caritas di Trapani e alla cooperativa Insieme, del consorzio Connecting People.
Con l’abbandono di Chinisia, si chiude la vicenda delle tre tendopoli trasformate in altrettanti centri di identificazione e espulsione, con l’ordinanza 3935 del 21 aprile.
A Palazzo San Gervasio la tendopoli/cie è stata chiusa dopo l’inchiesta di Repubblica, anche se ufficialmente si parla di lavori di ristrutturazione. La tendopoli/cie di Santa Maria Capua Vetere è stata sequestrata dalla magistratura dopo l’incendio che l’ha distrutta.
La chiusura – sia pure temporanea – di Chinisia probabilmente è stata decisa in seguito alle proteste dei poliziotti trapanesi, che non ne volevano sapere di sorvegliare tre Cie nella stessa città. Naturalmente ai tutori del disordine statale poco importa delle vite negate dei migranti clandestini: pestaggi, umiliazioni e violenze sono il pane quotidiano che gli uomini in divisa fanno inghiottire ai reclusi dei CIE.
Anche a Chinisia, come nelle altre tendopoli/CIE, rivolte, fughe e repressione sono stati continui in poco più di tre mesi. I reclusi, in buona parte tunisini, dopo aver assaggiato il gusto aspro e forte della lotta per la libertà nel loro paese, non sono disposti a rinunciarvi.
A Trapani è stata rimandata la chiusura del vecchio Serraino Vulpitta, che era previsto fosse sostituito dalla nuova struttura di Milo.
Potrebbe essere interessante capire dove finiranno i 10 milioni di euro che l’ordinanza 3935 aveva stanziato per la ristrutturazione e la gestione delle tre tendopoli/CIE di Chinisia, Santa Maria Capua Vetere e Palazzo S. Gervasio.
Sulla tendopoli/lager di Chinisia e sulla rivolta e fuga del 23 giugno vale la pena leggere il reportage pubblicato il 4 luglio su Fortresse Europe. Continua a leggere
Pordenone. Immigrati di nuovo in piazza!
A pochi mesi di distanza dalla partecipatissima manifestazione di febbraio scorso gli immigrati pordenonesi sono nuovamente scesi in piazza per rivendicare nuovamente diritti e dignità. E’ stata ancora una volta una manifestazione riuscita e determinata che ha bloccato il centro … Continua a leggere
Piacenza. Blocco ai cancelli della TNT
Dopo la lotta alla Ceva Logistica a Cortemaggiore siamo ancora a Piacenza. I lavoratori delle cooperative Stella e Vega associate al consorzio Gesco Nord, tutti immigrati provenienti dal Marocco e dall’Egitto sono scesi ieri pomeriggio in sciopero spontaneo bloccando i cancelli d’ingresso del magazzino dell Tnt di Piacenza. Siamo nel polo logistico: per tutti i politici il fiore all’occhiello della nuova economia della città. I lavoratori in sciopero, circa 150 su 300, sono stanchi di essere trattati come schiavi e chiedono la mera applicazione del Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori del settore commercio, sistematicamente non applicato dalle cooperative.
Ogni mattina ed a ogni inizio turno tutti i soci lavoratori delle cooperative, che hanno l’appalto per la movimentazione merci (carico e scarico dei camion che portano la corrispondenza) si presentato ai cancelli ma a solo alcuni è poi concesso di entrare al lavoro: il nuovo caporalato che ben tipico di tante cooperative della logistica. I lavoratori raccontano di essere stati sottoposti a perquisizioni corporali e di indennità di malattia in nero e sempre variabili.
I lavoratori, organizzati dal SI Cobas, hanno deciso di opporsi alla nuova schiavitù in cui sono costretti a lavorare. Lottano sia contro le cooperative da cui sono stati assunti, alcuni anche a tempo indeterminato, e della Tnt che è complice dello sfruttamento e del ricatto contro i lavoratori.
Le buste paga spesso sono a zero o ammontano a pochi euro: il resto viene pagato in nero.
Con la divisa della Gesco Nord e le scarpe infortunistiche, coraggiosi e determinati, i lavoratori, sempre sotto il ricatto della perdita del permesso di soggiorno, hanno resistito ai tentativi di uscita di alcuni camion e si sono opposti alla richieste della dirigenza e della polizia di spostare il presidio.
La fila di camion è diventata molto lunga e gli animi si sono surriscaldati, mentre le perdite economiche per la Tnt aumentavano.
Si presenta la Digos in blocco, che filma per tutta la giornata, due auto della polizia e una dei carabinieri. Nell’aria non c’è un intervento immediato: sono stati colti di sorpresa. I compagni presenti hanno sostenuto i lavoratori nel blocco dell’ingresso e l’uscita dei camion, nei vari punti, dalle 18 alle 21,30: nel corso della giornata i proprietari hanno proposto, prima di incontrare alcuni soci lavoratori senza il sindacato, poi di incontrare anche i rappresentanti del sindacato.
Il risultato è stata la garanzia della firma di un verbale di accordo per l’applicazione del contratto nazionale per tutti i lavoratori delle cooperative. Alle 21,30 il blocco è stato tolto. Ci saranno ancora alcuni momenti di tensione perchè la TNT pare intenzionata a lasciare fuori i lavoratori che hanno protestato: il blocco riprende e in breve entrano tutti.
Continua a leggere
Trieste: 25 giugno in piazza contro la sanatoria-truffa
Sabato 25 giugno siamo scesi nuovamente in piazza, in una manifestazione organizzata dal comitato Primo Marzo di Trieste, per due motivi: festeggiare la positiva conclusione di una battaglia durata due anni e, allo stesso tempo, rimarcare il fatto che … Continua a leggere
Razzismo senza fine
Il governo italiano aveva bisogno di un diversivo per far fronte alla sua profonda crisi di legittimità e consenso.
E così, tanto per mostrare i muscoli e distrarre l’opinione pubblica, è stato varato un decreto legge che torna a colpire ferocemente gli immigrati. Per questa rappresaglia sulla pelle dei più deboli, occorreva aggirare l’ostacolo del reato di clandestinità bocciato dalla corte di Giustizia Europea, e così è stato.
I punti salienti di questo nuovo provvedimento razzista consistono nell’espulsione coatta e immediata sia dei “clandestini”, sia dei cittadini europei considerati “pericolosi”. P er facilitare questa macchina delle deportazioni, si è pensato persino di rinnovare gli accordi italo-libici con il governo provvisorio di Bengasi, in perfetta continuità con le politiche intraprese fino a ieri con il dittatore Gheddafi. E poi viene prolungata la detenzione nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE) da sei a diciotto mesi. In pratica, si potrà finire dietro le sbarre per un anno e mezzo senza aver commesso reati ma solo perché si è immigrati e senza il permesso di soggiorno. In particolare, l’accanimento nei confronti dei cittadini comunitari è un’evidente intimidazione nei confronti di zingari e rumeni, da sempre nel mirino dei razzisti di casa nostra.
D’altronde, questo governo ha risposto alle esigenze dei profughi del Nordafrica con la vergogna delle tendopoli (rigorosamente vietate ai giornalisti) che in alcuni casi – come a Santa Maria Capua Vetere – gli stessi immigrati hanno provveduto a distrugge re. Qui da noi, a Kinisia, la tendopoli è tornata in funzione e viene adibita a CIE, mentre il nuovo super lager di Milo continua a crescere come una metastasi alla periferia della città.
Come dichiarato pochi giorni fa da Medici Senza Frontiere, a Kinisia «le persone dormono dentro delle tende e i servizi medici sono largamente insufficienti. Manca l’elettricità, le condizioni igieniche sono pessime e l’accesso all’acqua saltuario. Il solo fatto di essere in stato di fermo prolungato per essere entrati irregolarmente nel territorio italiano ha forti ripercussioni sulla salute mentale delle persone».
E sulla libertà e la dignità di tutte e tutti, aggiungiamo noi. Continua a leggere
Caritas/caserma: arrivi in ritardo? Ti trasferisco!
Parma. Trasferiti per punizione dalla struttura di accoglienza gestita dalla Caritas a Parma ad una comunità in provincia. Due ragazzi tunisini con il permesso di soggiorno temporaneo, tra i pochi a cui le strutture di Parma hanno dato una forma di “accoglienza”, che vivevano nella struttura di piazza Duomo si sono visti chiudere la porta in faccia dai gestori per due volte, per un ritardo nel ritorno serale. Tutti i sette compagni tunisini si sono rifiutati di entrare in casa ed hanno deciso di passare la notte al Parco Ducale.
Poi, dopo l’intervento del consolato tunisino, sono stati trasferiti a Martorano presso la comunità Betania. Un luogo isolato dove non potranno più frequentare il corso di italiano e mantenere rapporti con altre persone.
La loro colpa? Essere rientrati con venti minuti di ritardo sull’orario previsto. I responsabili della Caritas hanno parlato di “episodi di indisciplina”, e, con la superiorità tipica del buonismo cattolico (come i preti al seguito dei conquistadores) hanno dichiarato: “noi abbiamo accolto questi ragazzi, li abbiamo vestiti, gli stiamo insegnando l’italiano: guardate come sono puliti e ordinati, ecco è solo merito nostro”.
Nelle ultime settimane abbiamo conosciuto diversi ragazzi tunisini con il permesso di soggiorno temporaneo che non hanno trovato nessuna accoglienza a Parma, vivono in strada: per loro le porte sono tutte chiuse. Fino ad ottobre hanno il permesso temporaneo e, poi, se non troveranno un lavoro, diventeranno “clandestini”, gli verrà tolto anche il diritto ad esistere e potranno essere chiusi in un Cie e deportati.
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Riparte la lotta contro la sanatoria truffa
Dopo la circolare del Ministero dell’Interno che, dopo aver illuso chi aveva avuto un diniego per “doppia espulsione”, in molte città sta riprendendo vigore la lotta contro la sanatoria truffa. Una lotta che, oltre agli esclusi dalla circolare Manganelli, coinvolge i lavoratori immigrati truffati dai propri datori di lavoro per i quali l’uscita dalla clandestinità è comunque preclusa.
Il 25 giugno in numerose località si svolgerà una giornata di iniziative. Leggi qui l’appello.
A rendere ancora più rovente il fronte dell’immigrazione, il decreto governativo del 16 giugno che prolunga a 18 mesi la possibilità di reclusione nei CIE.
L’estate degli antirazzisti è appena cominciata.
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Palazzo S. Gervasio. Muri, ciabatte, rivolte e censura
Palazzo S. Gervasio. Qui, in provincia di Potenza sorge una delle tante tendopoli/CIE messe su in fretta e furia da Maroni, quando è stato chiaro che l’Unione Europea non aveva alcuna intenzione di farsi carico delle migliaia di profughi e migranti stipati a Lampedusa.
Nato il primo aprile come centro di accoglienza è stato trasformato in CIE “temporaneo” con un decreto del consiglio dei ministri del 21 aprile. Stessa sorte della tendopoli di Kinisia in provincia di Trapani e dell’ex caserma Andolfato, chiusa dopo l’incendio dell’8 giugno.
Qui cose banali come visite di avvocati, giornalisti o amici sono un miraggio.
Raffaella Cosentino nel suo reportage su questo blocco di cemento a filo spinato al confine tra Basilicata a Puglia scrive “Isolati nelle campagne lucane al confine con la Puglia, i giovani della rivoluzione dei gelsomini vedono svanire in un incubo il sogno dell’Europa. “Ammar 404” era il nome dato alla censura del dittatore Ben Alì dagli internauti tunisini. 1305 è il numero della circolare interna del Viminale che instaura la censura sui centri per migranti in Italia a partire dal primo aprile, vietandone di fatto l’accesso ai giornalisti ‘fino a nuova disposizione’. In questo momento è più facile entrare in un carcere di massima sicurezza che in una tendopoli.”
Secondo la Questura tutto va bene e i ragazzi tunisini chiusi dietro al filo spinato vivono nel migliore dei mondi possibili.
Dopo due mesi la giornalista di Repubblica è riuscita ad ottenere dalla Prefettura di Potenza il permesso di parlare ai reclusi dietro le spesse maglie metalliche della prima recinzione. Il articolo, arricchito da un video fatto filtrare dai reclusi racconta un storia diversa.
Qui nessuno ha più le scarpe: gliele hanno sequestrate per impedire loro di imitare la trentina di ragazzi che si sono arrampicati, hanno saltato la recinzione, guadagnandosi la strada per proseguire il viaggio.
Quelli di Connecting People, che hanno preso in gestione la struttura senza alcuna gara di appalto, non forniscono neppure i moduli per la richiesta di asilo.
Per loro l’unico problema dei reclusi è la mancanza di peperoncino nel cibo.
Il video passato alla giornalista di Repubblica mostra una rivolta e un tentativo di fuga di massa: ci sono immigrati feriti e agenti in tenuta antisommossa.
Checché ne dicano secondini prezzolati di Connecting People, l’unica fame vera è quella di libertà.
Guarda il video sul sito di Repubblica.
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Torino. Inganni e deportazioni
Giovedì 9 giugno. La questura da appuntamento a tutti in corso Verona per la consegna del permesso di soggiorno. Ma è solo un trucco. Cinquanta egiziani vengono sequestrati, portati nella sede centrale di via Grattoni dove viene comunicata loro l’espulsione.
Fuori dalla questura si raduna un piccolo presidio di parenti e antirazzisti, che sperano si possa ancora impedire la deportazione. La risposta della polizia è rapida e brutale: carica con tanto di lacrimogeni.
Gli egiziani, caricati a forza sui pullman vengono portati all’aeroporto di Caselle dove in serata è già pronto un volo speciale della Mistral Air, la compagnia che ha l’appalto dal Ministero per questo genere di operazioni.
Il governo, in difficoltà con il proprio stesso elettorato, dopo il risultati delle consultazioni amministrative, reagisce con la consueta combinazione di stupidità e ferocia.
Purtroppo la solidarietà concreta contro le espulsioni è ancora pratica di una piccola minoranza. A noi tutti l’impegno a farla crescere.
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Rivolta e incendio al CIE di Santa Maria Capua Vetere
Giovedì 9 giugno. Nella notte tra martedì 7 e mercoledì 9 è scoppiata una rivolta nel nuovo CIE/tendopoli nell’ex caserma Andolfato. La scintilla le botte e gli sfottò verso un giovane immigrato che chiedeva di poter tornare a casa per il funerali del fratello.
La risposta della polizia è stata durissima: cariche, botte e lancio di lacrimogeni.
I lacrimogeni avrebbero innescato un incendio, che ha distrutto buona parte delle tende del CIE.
Completamente diversa la versione della polizia che accusa gli immigrati di aver incendiato le tende per coprire un tentativo di fuga.
Secondo il Corriere del Mezzogiorno la procura ha messo sotto sequestro il CIE e i 98 immigrati tunisini – venti dei quali malconci dopo gli scontri e l’incendio – sono stati trasferiti.
Repubblica riferisce che gli immigrati sarebbero stati prelevati nella notte e trasferiti in altre strutture dell’Italia meridionale. Secondo gli avvocati che hanno seguito per l’intera nottata la vicenda una trentina di loro dovrebbero ottenere il permesso, altrettanti hanno qualche possibilità, mentre per gli altri sarebbe certa l’espulsione.
Un fatto è certo. C’è un CIE di meno.
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Picchetto e sciopero alla Ceva Logistica
La lotta dei lavoratori delle cooperative della logistica si estende e si radicalizza. Questa volta siamo a Cortemaggiore in provincia di Piacenza. In ballo c’è il meccanismo perverso delle coop/caporali, ossia le cooperative che nascono – e muoiono – al solo scopo di garantire alle aziende lavoratori usa e getta, senza pastoie normative, senza tutele.
Sono le cinque mezza del mattino del 24 maggio. Ci sono una trentina di persone, tra operai ed attivisti del coordinamento di sostegno alla lotta delle cooperative. Sono ormai tre anni che va avanti la lotta contro la schiavitù legale. Gli operai della Ceva di Cortemaggiore sono stati contagiati dalla lotta vittoriosa di un anno e mezzo fa alla FIEGE Borruso di Brembio.
Il presidio si trasforma subito in picchetto con blocco delle merci in entrata: la maggior parte dei lavoratori partecipa allo sciopero. Sul tappeto il salario ridotto di fatto di ben 250 euro al mese per l’azzeramento degli scatti di anzianità, per gli straordinari (sotto)pagati in nero, per i mancati passaggi di livello. Ducis in fundo il mancato indennizzo mensa.
Qui come altrove, al di là delle richieste economiche c’è la sete di dignità di lavoratori per il 99% immigrati.
La trama dello sfruttamento è sempre la stessa: quelli della Ceva dipendono dalla Asso srl, che fa parte del consorzio CAL, lo stesso che impiega i suoi operai alla Bennet di Origgio e Turate.
Il 24 maggio l’effetto sorpresa è determinante: i camion cominciano ad ammucchiarsi all’ingresso dei cancelli picchettati. i caporali vanno in affanno, i potenziali crumiri non osano affrontare il picchetto, la produzione si blocca, il danno si accumula.
Dopo un paio d’ore arrivano tre macchine e un cellulare dei carabinieri che, provano – senza troppa convinzione – a dissuadere gli operai dal continuare il picchetto. Al rifiuto dei presidianti entrano nell’azienda a far finta di cercare lavoratori in nero regolarmente utilizzati dalla cooperativa per far fronte ai picchi di lavoro di fine mese.
Arriverà più tardi il responsabile della CAL (tal Chiari, già conosciuto ad Origgio tre anni fa) che si dichiara disponibile ad accogliere le richieste degli operai fissando un incontro, minacciando velatamente la chiusura dell’impianto per la “crisi”.
La lotta prosegue.
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Sanatoria truffa. Nuova provocazione del governo.
Della lunga, tormentata e per tanti versi paradossale vicenda della “sanatoria truffa” ci siamo occupati più volte. Con la sentenza della corte di giustizia europea contro il reato di inottemperanza all’ordine di allontamento dall’Italia pareva che, quantomeno per coloro che si erano visti rifiutare la sanatoria a causa dei due o più ordini di espulsione accumulati, la vicenda si fosse conclusa positivamente. Pochi giorni fa, una circolare del Ministero dell’Interno rivolta alla prefetture dava l’indicazione di riaprire subito tutti i procedimenti rimasti sospesi per evitare – come stava succedendo – che lo stato dovesse pagare anche le spese processuali dei legali che assistono gli immigrati vittime di questa truffa. Invece: colpo di scena!
Due giorni fa una nuova circolare del Ministero sospende la precedente invitando le Prefetture a considerare temporaneamente sospese le indicazioni precedenti “in relazione alla necessità di effettuare ulteriori e più approfondite valutazioni sull’argomento, per corrispondere compiutamente ai numerosi quesiti interpretativi relativi alla richiamata circolare. Si fa riserva di fornire, a breve, definitivi chiarimenti.”
Qualsiasi sia la motivazione di questo dietro-front, stato confusionale o deliberata scelta politica, si tratta di una provocazione che dimostra la mancanza di rispetto e il disprezzo nei confronti della vita, delle aspirazioni e delle sofferenze di decine di migliaia di migranti.
Ascolta l’intervento dell’avvocato Manlio Vicini, legale dell’Associazione Diritti per Tutti.
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Massa. In lotta contro la sanatoria truffa
Nell’ultimo anno si sono moltiplicate le inziative contro la sanatoria-truffa a Massa. Cortei e presidi hanno dato nei mesi visibilità alla lotta dei senza carte. Il Primo Maggio gli immigrati hanno occupato il Duomo: dopo qualche giorno, terminata l’occupazione, è … Continua a leggere
Trieste: il comitato Primo Marzo ancora in piazza
Venerdì 20 maggio c’è stato un nuovo presidio informativo del comitato Primo Marzo sui temi del lavoro migrante, dei CIE e delle lotte contro lo sfruttamento e la sanatoria-truffa. Dopo aver attraversato il centro cittadino in precedenti occasioni, questa volta … Continua a leggere
Sfruttamento in salsa emiliana. La lotta dei lavoratori GFE
Vi abbiamo già parlato dei lavoratori della GFE, in lotta per il lavoro e il salario. Vi proponiamo un lungo articolo in cui si ricostruisce la loro vicenda, una vicenda che mostra tutta la sottile ipocrisia del sistema di sfruttamento feroce, che è il tratto distintivo della cooperazione.
In fondo trovate anche un numero di conto corrente per sostenere questi 185 lavoratori in lotta dallo scorso dicembre. La cassa integrazione arriva solo ogni tanto e molti fanno fatica ad andare avanti. I soldi raccolti sinora hanno permesso a molte famiglie di resistere alle pressioni di chi vorrebbe piegarne la resistenza.
Dal novembre del 2010 180 operai della cooperativa GFE di Campegine (RE) sono in lotta per il mantenimento del posto e per il miglioramento delle condizioni di lavoro.
La GFE è una delle tante cooperative emiliane che sono cooperative solo di nome: dietro il paravento della cooperazione si nasconde una realtà di miseria, sfruttamento, mancata applicazione dei contratti nazionali, ricatti, salari bassissimi. Il nome “cooperativa” serve solo ad ottenere sgravi fiscali a tutto vantaggio delle dirigenze e ad entrare nel circuito delle associazioni come Legacoop o Confcooperative.
Questa cooperativa ha come unico cliente la Snatt, azienda facente parte del gruppo Fagioli, fornitore di piattaforme logistiche e trasporti eccezionali. In pratica i lavoratori della GFE, tutti immigrati indiani e pakistani lavorano esclusivamente per la Snatt, prendono ordini da caporeparto della Snatt ma permettono alla Snatt di spendere molto meno e alla dirigenza della cooperativa di lucrare ampliamente. I salari oscillano tra i 3,50 e i 5 euro all’ora: dipendenti diretti costerebbero molto di più.
Ripercorriamo insieme le principali fasi di una protesta che sta diventando un caso politico difficilmente gestibile nella pacificata provincia reggiana.
La vicenda comincia nel luglio dello scorso anno con uno sciopero per l’applicazione del contratto nazionale del settore trasporti. Si apriva una vertenza con sviluppi impetuosi: a dicembre 2010 la Snatt recide il contratto con la GFE, perchè i costi, con l’applicazione del contratto nazionale diventano troppo alti. Gli operai vengono informati via sms, la GFE viene sciolta e vengono create due nuove cooperative, Emilux e Locos Job, in cui confluiscono i soci che accettano un contratto con meno garanzie.
Dietro l’operazione, non c’è bisogno di dirlo, erano i soliti noti: l’ex presidente della GFE e alcuni suoi stretti collaboratori e la dirigenza della Snatt.
I lavoratori non ci stanno, si ribellano. A dicembre parte un presidio permanente dei lavoratori della cooperativa davanti ai cancelli della Snatt. Sono sostenuti da una parte della CGIL e da settori del movimento reggiano.
Il sindacato chiede al tribunale l’applicazione della procedura d’urgenza per il reintegro dei lavoratori nell’azienda: a in marzo il tribunale la respinge. I tempi per una procedura ordinaria, sarebbero stati di anni, inaccettabili per i lavoratori, che si trovavano senza lavoro e senza reddito, poiché la cassa integrazione viene erogata a sprazzi.
Le istituzioni politiche reggiane, comuni e Provincia, continuano a far finta di nulla: d’altra parte i lavoratori immigrati non votano e non val la pena sostenerli.
In aprile la situazione per gli operai in lotta è disperata: stremati dalla mancanza di entrate economiche, diverse famiglie rischiano lo sfratto o il taglio delle utenze di base, la procedura d’urgenza bloccata, cassa integrazione che non arriva, scarse possibilità di vincere la lotta dato l’immobilismo della CGIL.
In questo clima matura la decisione estrema di proclamare uno sciopero della fame e della sete ad oltranza. Lo sciopero viene proclamato senza avvertire prima il sindacato e questo è indicativo della fiducia che i lavoratori ripongono nella CGIL.
La classe politica locale si sveglia improvvisamente: il sindaco di Campegine si presenta al presidio assicurando che farà il possibile per riavviare le trattative e pigliandosi gli insulti dei lavoratori. Nei giorni successivi diversi lavoratori vengono ricoverati a causa di malori dovuti alla disidratazione. Venerdì 22 aprile c’è un incontro presso la provincia di Reggio Emilia: il Comitato No Pacchetto Sicurezza indice un presidio di solidarietà con i lavoratori.
Ed ecco il colpo di scena: la Snatt e le due cooperative cedono accettando di assumere, in diversi spezzoni, i 180 lavoratori rimasti esclusi, applicando il contratto nazionale. Nel frattempo la Regione si fa carico di pagare la cassa integrazione arretrata.
Dei padroni bisogna sempre diffidare: gli accordi, per quanto scritti, firmati e controfirmati, non vengono rispettati: le cooperative e la Snatt nicchiano, la Regione non paga la cassa. La Snatt prepara un documento in cui si sostiene che l’azienda ha agito correttamente: tra pressioni e ricatti lo firmano più di 400 operai delle cooperative che ci lavorano. Il documento viene depositato in tribunale e come “prova” per la causa civile. Dato che il tribunale deve valutare la pertinenza del documento per metterlo agli atti, l’udienza viene rinviata dal 5 al 23 giugno.
La cassa integrazione di gennaio e febbraio arriva solo il 5 maggio, guarda caso in coincidenza del nuovo incontro in Provincia tra le parti. In questo incontro, seguito da vicino da un folto presidio di lavoratori e solidali, le carte vengono sparigliate del tutto: niente assunzione nelle cooperative già esistenti ma formazione di una nuova cooperativa composta dai 185 lavoratori in lotta, cui la Snatt si impegna a fornire lavoro per un tot di anni. Neanche a dirlo, una proposta indecente: niente impedirebbe alla Snatt di non rinnovare il contratto alla scadenza o di cambiare ragione sociale tra qualche mese invalidando gli accordi.
La proposta viene respinta dai rappresentanti degli operai e la lotta va avanti.
Nel frattempo le varie reti di solidali raccolgono fondi e generi di necessità che vengono mano a mano consegnati ai lavoratori.conto corrente IBAN: IT94O0538712802000001988307 intestato a “Flavia Prodi referente sottoscrizione pro lavoratori GFE”
Questa vicenda mostra quanto il tanto decantato “modello emiliano”, basato sulle cooperative, sia oramai marcio. L’universo cooperativo è parte integrante e preponderante del sistema di potere politico ed economico della regione, tenendo in mano diversi settori fondamentali: buona parte dell’edilizia, la grande distribuzione, i servizi alla persona, parte del sistema creditizio-assicurativo, servizi logistici e lavoro interinale. È un sistema che della cooperazione delle origini ha conservato ben poco e dove i soci lavoratori non hanno peso nelle decisioni, affidate a gruppi ristretti di potere, spesso trasversali alle diverse coop. Un sistema funzionale alle logiche di profitto e sfruttamento con tanto di regime fiscale favorevole. Il PD lo presenta come sistema alternativo alla barbarie dell’impresa privata ma è in realtà identico. Cambia solo il nome.
La lotta degli operai della GFE continua, nel silenzio assordante delle istituzioni locali che amano riempirsi la bocca di parole quali “solidarietà” e “partecipazione” ma nei fatti dimostrano di essere vili profittatori. Gli immigrati non sono appetibili per i vari politicanti perché non sono cooptabili dentro il sistema democratico-clientelare delle elezioni. Mentre è facile banchettare su lavoratori sempre sotto ricatto, perché per loro il diritto legale al soggiorno dipende dal lavoro.
Chiunque voglia dare un contributo solidale alla lotta: Continua a leggere
Rompere le gabbie cancellare le frontiere
Parma 14 e 15 maggio 2011
Rompere le gabbie cancellare le frontiere
Incontro su immigrazione, lavoro, CIE
Se un giorno, qualcuno mi chiederà dov’ero quando imprigionavano e deportavano la gente, quando le ronde imperversavano per le strade, quando uomini e donne morivano in mare e nei cantieri, quando il filo spinato divideva i sommersi dai salvati, quando i caporali avevano i loro schiavi, vorrei poter rispondere che ero lì, con gli altri, a passare il deserto.
Se non ora quando? Se non io, chi per me?
A Parma il 14 e 15 maggio vogliamo ripercorrere la rotta degli schiavi, il loro cammino attraverso il deserto, i mercanti d’uomini, il lavoro nero, i caporali, i CIE, la deportazione.
Vogliamo altresì mettere a confronto esperienze, idee e proposte di chi, giorno dopo giorno, lotta contro il razzismo di stato e la guerra ai poveri.
Nell’auspicio che si possano tessere reti sempre più solide.
Sabato 14 aprile
ore 12,30 aperipranzo
ore 13,30/14 presentazione
ore 14,30
I nuovi schiavi. Lavoro migrante tra ricatti, violenze e lotte. Interviene Marco Rovelli
Tra trucchi e inganni, la corsa ad ostacoli per ottenere le “carte”. A proposito di flussi, sanatoria truffa, permesso a punti. Interventi di Simone Ruini e Katia Torri
Il diritto ineguale. Clandestinità, CIE, profughi, rimpatri. Intervengono Eugenio Losco e Mauro Straini
I sommersi ed i salvati nel grande gioco dei potenti. Interviene Stefano Capello
La lotta alla GFE. Voci da una lotta esemplare
Domenica 15 aprile
ore 9,30
Rompere le gabbie cancellare le frontiere. Tavola rotonda sulle prigioni per immigrati: da Torino a Gradisca, da Milano alla Sicilia, dalla Sardegna alla Gran Bretagna. Interventi di Maria Matteo, Alberto La Via, Raffaele Viezzi, Claudio Alberto, Claudia Lauvergnac, Antonio D’Errico, Roberto Bonadio.
Pranzo
ore 14
Assemblea antirazzista. Idee, proposte, iniziative.
Il coordinamento antirazzista della FAI
fai-antiracism@libero.it
faiantirazzisti@autistici.org
http://senzafrontiere.noblogs.org/
Info:
L’incontro si terrà presso il Circolo arci Matonge, via Burla 130.
Autobus numero 7, direzione carcere…
Valentina: 333 8277726; Christian: 349 5784324
Niente galera per i clandestini: la corte europea boccia l’Italia
Giovedì 28 aprile. Con la sentenza di oggi nella causa C-61/11 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che il cosiddetto reato di clandestinità previsto dall’art. 14, c.5 ter, D.Lgs. 286/98, T.U. Immigrazione, è in contrasto con la normativa comunitaria e va disapplicato da tutti i giudici italiani.
La norma era stata introdotta da uno dei pacchetti sicurezza (in particolare dalla legge 15.7.09 n. 94) del governo Berlusconi e fortissimamente voluto dalla Lega. La norma prevedeva il carcere da 1 a 4 anni per il migrante privo di permesso di soggiorno che si fosse trattenuto sul territorio italiano dopo l’espulsione e l’ordine di allontanarsi dall’Italia del questore: insomma il carcere per una semplice violazione amministrativa.
L’Unione Europea ha però emanato il 16 dicembre 2008 la Direttiva 2008/115/CE che prevede le norme e le procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Tra queste norme e procedure vi è certo il trattenimento presso un centro di identificazione, che deve avere comunque la durata più breve possibile, ma non può esservi il carcere: secondo la Corte di Giustizia, infatti, la detenzione non può ovviare al fallimento delle misure amministrative espulsive, non può costituirne un sostitutivo.
La Direttiva rimpatri è entrata in vigore il 24 dicembre 2010. Il governo italiano si è tuttavia ben guardato dall’adeguare la normativa italiana a quella europea. Oggi la sentenza della Corte di Giustizia europea che dichiara illegittimo il reato di clandestinità. Un epilogo in qualche modo scontato: da fine dicembre i giudici italiani non hanno condannato nessun immigrato per “clandestinità”.
In base alla Direttiva rimpatri la stessa reclusione nei CIE dovrebbe essere l’estrema ratio, quando altre strategie hanno fallito.
L’intera politica italiana verso l’immigrazione “irregolare” entra in crisi. In gennaio Maroni, consapevole della scure europea che incombeva sull’Italia, annunciò una revisione della legge Bossi-Fini. Ma non fu che un annuncio. L’intera compagine governativa e, in modo particolare, la Lega, sono in crescente difficoltà di fronte al fiasco delle politiche repressive verso l’immigrazione.
Tra rivolte in nordafrica, guerra in Libia, “incomprensioni” con la Francia, Maroni e la sua banda sono sempre più nei guai. Continua a leggere