CIE. Cosa bolle nella pentola del governo?
Riportiamo in questa pagina in costante aggiornamento le cronache e le riflessioni delle ultime settimane sul fronte del CIE, per cercare di capire cosa stia davvero bollendo nella pentola del governo, dopo la campagna mediatica che ha ri-messo al centro dell'attenzione i centri per senza carte, le leggi razziste del nostro paese, la difficoltà del governo a fare fronte ad una spesa enorme, tra gestione dei centri, espulsioni, ristrutturazioni continue dei CIE danneggiati o distrutti dalle rivolte.
Siamo convinti che il governo intenda liberarsi della patata bollente, facendo sì che tutto cambi, affinché tutto resti come prima.
Proviamo a vedere come, andando oltre i toni intollerabilmente melensi dei media.
Iniziative contro il CIE di Gradisca in maggio e giugno
A pochi chilometri da noi a Gradisca d’Isonzo dal 2006 esiste un CIE (centro di identificazione ed espulsione). In questa prigione sono reclusi in condizioni durissime decine di cittadini non dell’unione europea per il solo motivo di non possedere (o non possedere più) un permesso di soggiorno valido. Divieto di leggere, di comunicare con l’esterno, psicofarmaci, privazioni e soprusi di ogni tipo sono pane quotidiano e provocano tra l’altro continui episodi di autolesionismo. Riteniamo importante far conoscere l’esistenza di questi luoghi e le logiche che li governano, promuovendo iniziative di informazione e denuncia. Invitiamo tutti e tutte a partecipare e a contribuire in modo attivo alle iniziative che si terranno nei prossimi giorni: Trieste, sabato 18 maggio dalle 17 in via delle Torri (dietro la chiesa di s.antonio) Pordenone, sabato 18 maggio dalle 17 in p.tta Cavour Udine, sabato 24 maggio al nuovo spazio sociale in viale Osoppo Le iniziative vogliono anche promuovere la partecipazione al presidio regionale che ci sarà sabato 1 giugno nel pomeriggio di fronte al CIE di Gradisca indetto dal Coordinamento regionale contro i CIE.Sabato 20 aprile – Il CIE tra la movida di Torino
ore 19,30 aperibenefit antirazzisti sotto processo ore 20,30 assemblea sui CIE con testimonianze ore 22 presidio antirazzista itinerante per portare il CIE in mezzo alla città. Appuntamento alle 19,30 in largo Saluzzo "Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!" Questo striscione è apparso lo scorso mese davanti alla villa di Antonio Baldacci, responsabile del CIE di Torino. Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto. La mattina dopo Fatih era morto. Non venne eseguita nessuna autopsia. Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito. Due giorni dopo il colonnello e medico Baldacci dichiarerà "gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa". Parole che ricordano quelle degli aguzzini di ogni dove. Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si recò a casa Baldacci per un "cacerolazo". Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni. La protesta di persone indignate per una morte senza senso. Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade. I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell'amministrazione comunale. L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione. L'occupazione simbolica dell'atrio del Museo egizio - 29 giugno 2008 - per ricordare l'operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione - 17 luglio 2008 - dell'assessore all'integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata - 11 luglio 2008 - contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta - 20 marzo 2009 - alla lavanderia "La nuova", che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l'elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti. Nel CIE di Torino negli ultimi due mesi si sono susseguite le lotte e le rivolte. Tutte le sezioni del CIE sono state gravemente danneggiate. In febbraio la polizia ha pestato, gasato gli immigrati in rivolta dopo un fallito tentativo di fuga. Sei sono stati arrestati. Nonostante la repressione le lotte non si sono fermate. Per evitare la deportazione qualcuno si taglia, altri salgono sul tetto. Il CIE è quasi inagibile. In alcune sezioni gli immigrati dormono su materassi gettati in terra. La scorsa settimana tutti i reclusi, ormai solo 47, hanno fatto uno sciopero della fame di due giorni. Per la libertà. Nei CIE le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all'espulsione da lunghi anni sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell'Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi sia un'urgenza che ci riguarda tutti. Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un’aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, continueremo a portare il CIE per le strade di Torino. Antirazzisti contro la repressione Ti ricordi di Fatih?Mercoledì 27 febbraio – processo agli antirazzisti
Mercoledì 27 febbraio prima udienza del processo a 67 antirazzisti torinesi
La Procura mette in scena un processo alle lotte.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese, in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si traducono in scelte politiche scomode.
Se sperano di spaventarci si sbagliano.
In questi anni le iniziative di opposizione al razzismo, alle politiche securitarie, al militarismo allo sfruttamento si sono moltiplicate sul territorio.
L’urgenza politica e morale di allora è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri.
Porteremo il loro processo nelle strade di questa città!Sabato 2 marzo – Portiemo il CIE nel salotto della città! – presidio antirazzista
Il 27 febbraio e cominciato il primo di due processi agli antirazzisti che, tra il maggio del 2008 e il maggio del 2009, attraversarono l'esperienza dell'Assemblea Antirazzista Torinese.
La lotta contro i CIE ha segnato alcuni momenti importanti di quell'anno ed è oggi un fronte sempre più caldo di resistenza al razzismo di Stato nella sua concreta, quotidiana, materialità.
La morte di Fathi, un immigrato tunisino lasciato senza cure nell'allora "nuovo" CPT di Torino, fu il banco di prova di una relazione politica ancora embrionale.
La lotta che ne seguì fece da catalizzatore per quelle che seguirono.
Oggi le protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare della struttura detentiva di corso Brunelleschi, è entrata nel fascicolo del processo.“Il CIE nel salotto della città”
Il 2 marzo con un presidio itinerante per il centro cittadino porteremo quella storia negata e dimanticata in mezzo alla città.
Appuntamento alle 15 in piazza Castello.
Sabato 23 febbraio punto info solidale con gli antirazzisti sotto processo
Sabato 23 febbraio punto info sul processo a 67 antirazzist*
a Porta Palazzo - sotto i portici all'angolo con corso GiulioRompere il silenzio
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Tre anni fa la Procura giocò la carta dell’associazione a delinquere ed arrestò sei antirazzisti. Il teorema non resse in Cassazione ma la Procura voleva comunque mandare alla sbarra l’Assemblea Antirazzista torinese.
Oggi la Procura mette in scena un processo alle lotte. In due atti.
Il primo atto va in scena il 27 febbraioArance amare – mostra itinerante per i mercati di Torino – 26 gennaio 2013
Le arance, i mandarini, le clementine che fanno mostra di se nei mercati di Torino, sono state raccolte da lavoratori stagionali, che vengono pagati 50 cent alla cassetta di arance, 1 euro per cassetta di mandarini. Ogni cassetta pesa una media di 18/20 chili. In una giornata di lavoro la media arriva a 25 euro. In nero, non tutti i giorni ma solo quelli che il caporale ingaggiato dai padroni decide di sceglierti. Se alzi la testa, se reclami per i ritmi o per la paga, puoi anche andartene, perché nessuno ti chiamerà più.
I media ci raccontano di migrazioni epocali, di emergenze continue per giustificare le condizioni di vita indecenti di questi lavoratori. Per loro non ci sono tende o gabinetti funzionanti quando arrivano nella piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi. Di affittare una casa non se ne parla nemmeno: a Rosarno o a San Ferdinando una stanza costa come nel centro di Milano o Roma.
In realtà basterebbero pochi soldi per mettere su strutture decenti, basterebbero liste publiche per tagliare fuori i caporali, basterebbe che chi guadagna, e bene, sul lavoro degli stagionali, ci mettesse qualcosa del suo per garantire loro un letto e una doccia. Invece no. Così le tendopoli scoppiano subito, circondate da baracche fatte di lastre di amianto e teli di plastica, così per i bisogni ci sono buche a cielo aperto.
Quella dell'emergenza è una bufala che ci raccontano perché è più facile immaginare una fame tutta africana, che vedere la realtà. La realtà è fatta di operai del nord che hanno perso il lavoro e vengono a fare la raccolta per rimediare un salario, la realtà è fatta di richiedenti asilo che attendono da oltre due anni la risposta che consentirebbe loro di andare via, di cercarsi un lavoro stabile. La guerra in Libia è finita da due anni, ma i profughi di quella guerra vivono ancora in un limbo apolide.
Se vedessimo la realtà vedremmo che la condizione degli africani di Rosarno è ormai la condizione di tanta parte dei lavoratori italiani. L'unica emergenza è quella quotidiana di uno sfruttamento senza limiti, perché per i padroni non conta il colore delle pelle, ma quello dei soldi.
Le arance che mangiamo sono sempre più amare.Sabato 26 gennaio mostra itinerante e volantinaggio nei mercati delle zone popolari di Torino.
Appuntamento alle 9,30 in corso Palermo 46 - per info: 338 6594361Frontiere d’Europa. 30 nuovi centri di detenzione in Grecia
Grecia. Il ministro della protezione civile M. Chrysohoidis, ha annunciato ieri l'apertura di trenta nuovi centri di detenzione per immigrati in collaborazione con il ministero degli esteri.
Il ministro si è incontrato con i governatori di dieci province greche per verificare la loro disponibilità ad ospitare i centri. Ha anche fornito assicurazione che l'Unione Europea si è impegnata a versare 250 milioni di euro per i prossimi tre anni.
Per ciascuno dei centri sarà istituito un apposito presidio di polizia di almeno 150 agenti oltre a 70 guardie private, ogni 250 immigrati detenuti.
Secondo il piano presentato ogni centro sarà diviso in quattro sezioni, in ciascuna delle quali saranno rinchiusi 250 immigrati. Ognuno dei nuovi lager "ospiterà" 1000 senza carte, per un totale di 30.000 prigionieri.
La Grecia si candida così al ruolo di paese cuscinetto tra i paesi più ricchi dell'Unione e le aree di emigrazione. Un avamposto di frontiera, ben pagato per il servizio reso.-
ultime notizie
- Da Trapani a Gradisca. Etica e affari
- Guerra. Mitraglia sul Mare Nostrum
- Ex Moi. Un anno di autogestione
- Svizzera a braccia chiuse
- Grecia. Le frontiere dell’odio
- CIE. Tutto cambia, tutto resta come prima
- QUANDO CHIUDE UN LAGER
- Colpo di spugna al reato. La clandestinità resta
- Immigrazione. Outsoucing della violenza: l’Italia delega alla Libia
- Ancona: continua l’occupazione e l’esperienza della “casa de nialtri”
archivio
- Marzo 2014
- Febbraio 2014
- Gennaio 2014
- Dicembre 2013
- Novembre 2013
- Ottobre 2013
- Settembre 2013
- Agosto 2013
- Luglio 2013
- Giugno 2013
- Maggio 2013
- Aprile 2013
- Marzo 2013
- Febbraio 2013
- Gennaio 2013
- Dicembre 2012
- Novembre 2012
- Ottobre 2012
- Luglio 2012
- Giugno 2012
- Maggio 2012
- Aprile 2012
- Marzo 2012
- Febbraio 2012
- Gennaio 2012
- Dicembre 2011
- Novembre 2011
- Ottobre 2011
- Settembre 2011
- Agosto 2011
- Luglio 2011
- Giugno 2011
- Maggio 2011
- Aprile 2011
- Marzo 2011
- Febbraio 2011
- Gennaio 2011
- Dicembre 2010
- Novembre 2010
- Ottobre 2010
- Settembre 2010
- Agosto 2010
- Luglio 2010
argomenti
dove/come/quando/perché
- approfondimenti
- appuntamenti
- appuntamenti aprile 2011
- appuntamenti dicembre 2010
- appuntamenti dicembre 2011
- appuntamenti febbraio 2011
- appuntamenti gennaio 2011
- appuntamenti gennaio 2012
- appuntamenti giugno 2011
- appuntamenti maggio 2011
- appuntamenti marzo 2011
- appuntamenti novembre 2010
- appuntamenti novembre 2011
- appuntamenti ottobre 2010
- appuntamenti ottobre 2011
- appuntamenti settembre 2010
- appuntamenti settembre 2011
- cassetta degli attrezzi
- CIE
- contatti
- Rompere le gabbie aprire le frontiere. L’incontro di Parma su immigrazione, lavoro, CIE
tag
- anarchici
- autolesionismo
- bari
- bologna
- brescia
- caporali
- CARA
- cariche
- chi lucra sui CIE
- CIE
- contestazione
- danneggiamenti
- deportazione
- fuga
- gradisca
- guerra tra poveri
- immigrazione
- italia in guerra
- lampedusa
- lavoro
- lega
- livorno
- milano
- parma
- periferie
- pestaggio
- picchetto
- processo
- rassegna stampa
- razzismo di stato
- reggio emilia
- respingimenti in mare
- rifugiati
- rivolta
- roma
- sanatoria truffa
- sardegna
- sbarchi
- sciopero
- sciopero della fame
- tendopoli
- torino
- trapani
- trieste
- volo
admin
Archivi del mese: Febbraio 2011
Fiamme nell’area gialla del CIE di Torino
Lunedì 28 febbraio. Un incendio è divampato questa sera nell’area gialla del CIE di Torino. In quest’area sono concentrati parecchi immigrati sbarcati a Lampedusa dalla Tunisia.
Gran via vai di vigili del fuoco e auto della polizia intorno alla struttura di corso Brunelleschi.
Il vento di rivolta che attraversa le prigioni per immigrati diventa sempre più forte.
Seguiranno aggiornamenti.
Continua a leggere
Torino. Occupata “obiettivo lavoro”. Domani corteo migrante
Torino, lunedì 28 febbraio. In mattinata una trentina di antirazzisti hanno simbolicamente occupato per circa un’ora l’agenzia interinale “Obiettivo lavoro” di via Milano. Obiettivo lavoro fa intermediazione di colf e badanti per conto del Comune di Torino. Fuori, ben prima dell’apertura c’è una lunga fila di lavoratrici in attesa. Oggi è giorno di paga. La maggior parte sono straniere, ma non mancano le italiane. La povertà è senza frontiere.
In strada, davanti all’ingresso viene aperto lo striscione “Primo Marzo corteo antirazzista”, nell’agenzia echeggiano i ritmi della Samba Band.
I caporali dell’agenzia si dividono i ruoli: c’è quello buono e dialogante e quella irosa che inveisce. Le donne che entrano prendono i volantini, poche vanno via veloci, altre si fermano e chiedono, qualcuna ammicca complice.
Un’antirazzista spiega le ragioni dell’azione, ricorda il ricatto cui sono sottoposti i lavoratori e le lavoratici immigrate, l’indecenza del caporalato legale, che agisce in guanti bianchi ma fa girare veloce l’ingranaggio dello sfruttamento all’osso di colf e badanti.
Il caporale buono prova a interloquire, proclama la propria onestà, difende il proprio ruolo. Viene freddato da una lavoratrice che uscendo ci sussurra “gli chieda come mai loro intascano 11 euro l’ora e noi ne prendiamo cinque”. Quel sussurro, amplificato dagli antirazzisti, mette nell’angolo il caporale buono.
Riprende la samba con slogan e tamburi. Nel frattempo è arrivata la digos che si affanna a chiamare rinforzi. Quando arrivano i gipponi dell’antisommossa gli antirazzisti sono già nel cuore del mercato di Porta Palazzo, dove suonano, volantinano, fanno comizi volanti.
Continua a leggere
CIE di Gradisca. Demolito, stanza dopo stanza
Gradisca, domenica 27 febbraio.
“A quasi cinque anni dall’apertura, passati tra continue rivolte, atti di autolesionismo e violente repressioni, il CIE di Gradisca d’Isonzo è stato distrutto dai suoi stessi reclusi molti dei quali provengono dalle rivolte nordafricane.”
Questo l’incipit del comunicato dei compagni del Coordinamento Libertario Isontino. Ed è anche l’epilogo di una vicenda cominciata il 7 marzo del 2006, quando tra scontri, botte e lacrimogeni, venne fatto entrare a forza il primo “ospite” della ex caserma Polonio.
Negli ultimi tre giorni i reclusi hanno dato alle fiamme la loro prigione, demolendola, stanza dopo stanza. Nel pomeriggio di oggi sono andate a fuoco altre sei camere. Per i 105 “ospiti” restano solo 8 letti: gli altri sono ammassati senza nulla nelle aree comuni.
Un’altra bella manciata di sabbia è stata lanciata nel motore della macchina delle espulsioni.
Giornata di informazione e lotta il 12 marzo al CIE di Gradisca.
Continua a leggere
Vincennes. Incendi, botte e sciopero della fame
Venerdì 25 febbraio. Nel Centro di detenzione amministrativa – CRA – di Vincennes gli immigrati sono in sciopero della fame da quattro giorni. Sono in lotta contro le espulsioni e le condizioni di vita. Il comandante della struttura “il baffo” ha cercato di calmare gli scioperanti, rispondendo ad un recluso che chiedeva di poter esporre le proprie ragioni ai giornalisti “tieni la bocca chiusa!
Intorno alle 19 c’è stato un principio d’incendio in una camera della prima sezione e poi anche nella seconda sezione. L’intera struttura resta al buio mentre gli elicotteri sorvolano il Centro.
Impossibile mettersi in contatto con la prima sezione: il telefono risulta irraggiungibile.
Un prigioniero, immobilizzato con un tonfa alla gola, è stato pestato e poi gettato con violenza a terra da poliziotti incappucciati. Non risulta sia stato portato all’ospedale.
Sabato 26 febbraio. Un prigioniero detta al telefono il comunicato redatto dagli immigrati di Vincennes.
“Noi, algerini, tunisini, egiziani, libici, marocchini, e di tutti gli altri paesi, continuiamo lo sciopero della fame cominciato quattro giorni fa nel centro di detenzione di Vincennes. Uno sciopero della fame sino alla morte.
Tra di noi ci sono persone che sono in Francia, “integrate” da 15 o 20 anni, tutta la loro famiglia è in Francia e ora la Francia li espelle.
Noi chiediamo la cessazione delle espulsioni verso quei paesi, dove governanti dittatori e corrotti ci hanno obbligato ad emigrare per poter sopravvivere.
Per alcuni di noi l’espulsione comporterebbe prigione e tortura.
Non ne possiamo più di molestie e controlli di polizia, chiediamo quello che oggi ci viene negato, una carta di soggiorno che ci permetta di vivere dignitosamente.
Le rivolte nei nostri paesi non impediscono ai consolati qui in Francia di firmare per la nostra espulsione. Ogni giorno sono programmati voli per le deportazioni.
In questa prigione veniamo maltrattati e, come è capitato la scorsa notte, pestati da agenti con il volto coperto. Qui non c’è più riscaldamento né acqua calda.
Chiediamo la protezione della Francia, aiuto e solidarietà, chiediamo la cessazione immediata della deportazioni verso i paesi del Nordafrica.
Noi continueremo lo sciopero della fame e ci opporremo ad ogni tentativo di deportazione, sia via mare che in aereo.
Vincennes, sabato 26 febbraio, ore 10.”
Continua a leggere
Il mitra, la Lega e la sinistra
Inutile cercare di controllarlo o renderlo presentabile, il razzismo prima o poi salta fuori quando è parte essenziale della propria identità, magari in un compiacente studio televisivo di un’emittente locale, come quello di Rete Veneta.
È successo la scorsa settimana all’assessore regionale ai flussi migratori, il leghista Daniele Stival, che alla domanda su come limitare l’ondata di profughi provenienti dal Nord Africa in fiamme ha risposto che è possibile: “ci riescono pure in Grecia, Spagna e Croazia, dovremmo riuscire anche noi usando il mitra”.
Anche Casini, nel 1999, e Bossi, nel 2000, avevano delirato sulla necessità di sparare su gommoni, scafisti, clandestini, ma l’ultima (solo in ordine di tempo) sortita dell’assessore ai flussi migratori della Regione del Veneto merita qualche riflessione in più, in quanto si colloca in una fase alquanto delicata per il leghismo attraversato dalle contraddizioni esistenti tra i vertici governativi del partito e una base che sempre meno comprende la sudditanza verso Berlusconi.
Così, mentre gli “inferiori” popoli magrebini insorgono e spodestano regimi, il rude “popolo padano” deve accontentarsi di un simulacro di federalismo, ingoiando tutto quello che gli passa il padrone.
Da sempre, nei momenti critici per la sua linea politica, la Lega Nord sposta l’attenzione del proprio elettorato sulle questioni dell’immigrazione e della sicurezza, indicando e indirizzando verso i “nemici esterni” sia i problemi sociali connessi alla situazione economica che le tensioni interne al partito. Esemplare, per cinismo, il commento di Bossi secondo il quale “Il rischio immigrazione aiuta Berlusconi e anche noi”.
Esiste, anche a sinistra, un filone interpretativo della nascita e dello sviluppo del leghismo che ritiene marginale il ruolo dell’intolleranza, inizialmente soprattutto contro i “meridionali”, declinata successivamente in vera e propria xenofobia e malcelato razzismo contro i disperati di turno (albanesi, africani, cinesi, rumeni, rom, sinti…); eppure, proprio questo aspetto risulta centrale e persistente nella costruzione dell’identità padana, ben più delle varie opzioni secessioniste, autonomiste, federaliste tanto che oggi nessuno ricorda tutta la propaganda attorno alla cosiddetta devolution.
Evidentemente, riconoscere questo DNA razzista significherebbe rendere impraticabile e disgustoso ogni compromesso politico tra la Lega Nord e i partiti del centro-sinistra che invece – vedi gli ultimi ammiccamenti di Bersani sul federalismo – da tempo corteggiano e inseguono il partito di Bossi, ritenendolo un mezzo giustificato dal fine di uscire dall’incubo berlusconiano.
Eppure proprio la Lega è stata in questi anni il miglior alleato prima di Forza Italia ed ora del PdL, non solo in termini di sostegno governativo e aperta complicità, ma soprattutto nell’inventare, amplificare, trasmettere quella paura sociale fondamentale per la costruzione dell’odio verso gli invasori senzapatria e, conseguentemente, per la delega del potere all’uomo forte che difende e tutela la comunità dai nemici, per l’appunto, extracomunitari.
Fomentare l’egoismo nazionalpopolare e attivare l’odio verso gli stranieri diventa in questo modo il mezzo più semplice per produrre un’identità collettiva, immaginaria quanto interclassista, basata sulla psicosi dell’assedio contro le orde barbariche che insidiano il benessere, la sicurezza e le tradizioni dei padani, degli italiani, della civiltà europea o persino dell’Occidente cristiano.
E, dentro questo film, pure le donne vengono ridotte al ruolo di utili comparse, quando si può soffiare sul fuoco dello stupro “etnico” oppure per osteggiare le “innaturali” unioni miste, ricalcando le teorie neonaziste contro il “meticciato”.
Parallelamente, la destra ha continuato ad evocare – secondo lo schema adottato dal fascismo durante la guerra – il pericolo rappresentato dai “comunisti” ossia il nemico interno che tradisce la patria, aprendo le porte all’invasione straniera, col recondito scopo di sovvertire l’ordine e stravolgere i valori della “nostra” società.
Attorno a queste allucinazioni, è allarmante constatare il consolidamento di un blocco sociale-culturale d’impronta fascista destinato a sopravvivere anche alla caduta del berlusconismo, in quanto la logica legalitaria, lo stereotipo razziale e l’avversione verso ogni diversità ormai pervadono anche settori che per cultura egualitaria, coscienza di classe o appartenenza politica, dovrebbero riconoscere e rigettare la discriminazione comunque mascherata.
Continua a leggere
CIE. Sommossa a Gradisca, labbra cucite a Bologna
Giovedì 14 febbraio. Questa mattina i reclusi del CIE hanno dato fuoco ai materassi, danneggiando gravemente quattro stanze della zona blu del CIE. A dieci giorni dall’ultima protesta il Centro torna ad infiammarsi: fanno da detonatore le condizioni di vita sempre più dure, la mancanza di coperte, il cibo scadente, la voglia di libertà che alita sempre forte tra le gabbie dei senza carte.
Un CIE a Venezia? Tra avidità e ipocrisia
Secondo quanto assicurato dal ministro Maroni la tante volte annunciata apertura di un CIE in Veneto doveva essere avviata entro la fine dell’anno scorso; ma a tutt’oggi, per fortuna, resta ancora tra i desiderata del razzismo istituzionale.
Da molti anni, almeno dal 2000 durante il governo D’Alema, era stata ventilata la costruzione di un Cpt in regione e da allora non si contano le ipotesi di locazione riguardanti tutte le province venete che sono saltate fuori, prendendo via via in considerazione ex-strutture militari, una struttura manicomiale, capannoni industriali, isole lagunari, caserme alpine, etc.; ma puntualmente, oltre alle manifeste opposizioni degli antirazzisti, tale progetto ha dovuto fare i conti con la contrarietà delle amministrazioni locali, indipendentemente dalla loro collocazione politica, comprese quelle leghiste sempre pronte ad aizzare la persecuzione degli immigrati “clandestini” ma non disposte ad ospitare un lager vicino a casa loro.
L’ultima “trovata” ventilata sui giornali riguarda l’area di Campalto, una frazione veneziana, come possibile luogo per il Cie. Tale area di quasi 20 ettari è un deposito militare dismesso, situato in via Orlanda, che secondo il piano-carceri del ministero della giustizia doveva essere ristrutturato come galera per 450 detenuti.
Questo sito, indicato con solerzia nel dicembre scorso dal sindaco di Venezia Orsoni (di centro-sinistra), nei perversi disegni del ministero dell’interno dovrebbe vedere anche l’abbinamento di un Cie con 300 posti per i “clandestini”.
Il comune di Venezia ha approvato a larghissima maggioranza (con la furbetta astensione leghista) una mozione (presentata dal consigliere verde-disobbediente Caccia assieme al capogruppo del Pd Borghello) di rigetto del Cie a Campalto. Persino il governatore della regione, il leghista Zaia, è stato costretto ad un slalom di prese di posizione.
Analoga contrarietà era stata espressa dai sindacati di polizia (Sap, Coisp, Siulp…) per le note carenze d’organico, nonché dall’associazionismo democratico, dall’area disobbediente e dalla Caritas, per bocca del suo noto direttore, monsignor Pistolato, tutti pronti a formare comitati unitari.
Peccato che la Caritas sia la stessa associazione che ha cogestito come “ente terzo” il CIE di via Corelli a Milano e che monsignor Pistolato sia lo stesso che nel 2008 sollecitò e appoggiò l’ordinanza del comune di Venezia contro i mendicanti, soprattutto rom e sinti. Ed è pure lo stesso che, appena un mese fa, si era dichiarato contrario ai 10-12mila lavoratori immigrati previsti per Veneto dall’ultimo decreto flussi, ritenendoli come possibile causa di conflitti etnici. Come se qualcuno – davvero – non sapesse che quei diecimila lavoratori sono già qui e lavorano in nero. Come se qualcuno potesse far finta di ignorare che il decreto flussi è solo una sanatoria mascherata, decisa dal governo dopo il bollente autunno degli immigrati truffati dalla sanatoria colf e badanti.
Non è forse che la contrarietà della Caritas diocesana nasconde altre preoccupazioni?
Il dubbio è legittimo, dato la Caritas sembra aver soltanto adesso scoperto che “il Cie, come strutturato, si colloca al di fuori dello spirito e della lettera della Carta Costituzionale (cfr. art. 3 comma 1), per la forma di eccessiva coercizione che viene esercitata nei confronti di persone e questo senza alcuna distinzione”, dopo aver beninteso riconosciuto “il diritto-dovere da parte delle istituzioni statuali di identificare in modo adeguato le persone presenti nel territorio nazionale”.
La Caritas è più che disponibile ad impegnarsi nella – lucrosissima – gestione dei CIE, purché si cambi “modello”. Un pizzico di umanità in più e sono disposti ad imbarcarsi anche loro.
Nel suo comunicato la Caritas propone “di aprire un tavolo di confronto tra i diversi soggetti istituzionali, del privato sociale ed ecclesiali che operano nell’ambito dell’immigrazione per poter individuare dei percorsi condivisi.
Le Caritas con Migrantes, su un modello diverso, potranno partecipare in questi Centri di Identificazione attraverso l’animazione, proponendo delle attività culturali o ricreative, avere la presenza di mediatori culturali e attivare segni di prossimità con le comunità adiacenti ai centri”.
Della serie: business is business.
Continua a leggere
Palermo. Noureddine che si è dato fuoco
Noureddine Adnane ha 27 anni ed è nato in Marocco. Vive in Italia dal 2002 e si guadagna da vivere facendo l’ambulante. Lo conoscono tutti nel quartiere, e tutti gli vogliono bene, al punto che i palermitani lo chiamano “Franco”. Noureddine riesce a portare a casa una ventina di euro al giorno. Mette i soldi da parte, con ostinazione e speranza, perché vuol far venire in Italia sua moglie e la loro bambina di due anni.
Ma a Palermo i venditori ambulanti, specialmente immigrati, devono fare i conti con la polizia municipale: retate nei mercatini, ispezioni, multe, sequestri della merce, intimidazioni. Noureddine non è un abusivo, ma riceve la visita dei vigili urbani per cinque volte in una settimana: davvero troppo per chi deve sbarcare il lunario tra mille difficoltà.
Di fronte all’ennesimo controllo, alla minaccia di sequestro della merce, Noureddine si è sentito solo e in preda al panico, ha preso la benzina, se l’è versata addosso, e s’è dato fuoco. Il vigile urbano che stava redigendo il verbale cerca di coprire le fiamme col giubbotto, mentre gli avventori di un bar tentano di spegnere con l’acqua delle bottiglie quella torcia umana. Il corpo di Noureddine è tutto ustionato, e viene ricoverato d’urgenza all’ospedale Civico dove sta lottando contro la morte.
Questo è il prodotto dell’esasperazione che nasce dalla repressione dilagante nei confronti degli immigrati, dei poveri, dei senza-carte, anche a Palermo.
L’anno scorso le forze dell’ordine si sono scatenate più volte a piazzale Giotto: pistole spianate ed elicottero che volteggiava sul mercatino settimanale. Un incredibile spiegamento di uomini e mezzi per dar la caccia a chi vende cinture o borse a buon mercato. Per non parlare della persecuzione nei confronti dei lavavetri ai semafori, con retate in grande stile contro “pericolosi clandestini” armati di secchio e tergicristallo.
A Palermo è in vigore dall’anno scorso la famigerata ordinanza per il “decoro urbano”, uno dei tanti provvedimenti con cui – in tutta Italia – i sindaci hanno applicato le direttive del pacchetto-sicurezza. La legalità si svela per ciò che è realmente: l’esercizio del potere per schiacciare i più deboli.
Nella Sicilia vessata dal potere mafioso e dal malaffare politico, la “sicurezza” viene garantita perseguitando i soggetti più vulnerabili, come se in questa terra il problema fossero i lavavetri ai semafori o gli ambulanti che vendono la roba sui marciapiedi.
Noureddine voleva solo lavorare in pace e il suo gesto è un urlo assordante contro l’ingiustizia e la criminalità del potere.
Sabato 19 febbraio. Noureddine non ce l’ha fatta: è spirato questa mattina. Continua a leggere
CIE: rivolta a Gradisca, sciopero della fame a Torino
Dopo un periodo di relativa calma la rabbia degli immigrati torna a esplodere nella struttura gradiscana.
Non sappiamo quando sia iniziata la rivolta.
Un’attivista antirazzista che passava di lì riferisce che intorno alle 20 al di là delle mura si vedeva un gran fumo. Poi sono arrivati i vigili del fuoco e un’ambulanza.
L’onda lunga delle proteste che investono da giorni numerosi CIE, da Bari a Restinco, da Modena a Torino, è arrivata anche a Gradisca.
Proprio ieri, trasferiti con un volo speciale da Lampedusa, erano arrivati 50 tunisini. Trenta richiedenti asilo sono stati portati al CARA, gli altri sono stati rinchiusi nel CIE.
La situazione potrebbe diventare ancora più incandescente, perchè le migliaia di tunisini approdati in pochi giorni in Italia potrebbero essere l’avanguardia di un esodo molto più ampio.
Al CIE di Torino gli immigrati sono in sciopero della fame da sabato sera. La maggior parte di loro viene dalla Tunisia. Sono preoccupati per le famiglie, non riescono a mettersi in contatto e temono per la loro sorte. Tutti sentono il vento di libertà che viene dal nordafrica.
La sezione delle donne è stata svuotata per far posto agli immigrati approdati a Lampedusa.
Domenica notte un gruppetto di antirazzisti ha fatto un veloce saluto ai reclusi: petardi, battitura di ferri, slogan. Da dentro si è levato un gran fragore.
Continua a leggere
Torino. La libertà in gabbia
Lunedì 14 febbraio entra nel vivo il processo contro due anarchici. L’accusa? Diffamazione e minacce nei confronti di Borghezio, europarlamentare della Lega e, per inciso, noto razzista e fascista non pentito. I fatti? Alla vigilia del 25 aprile del 2009 … Continua a leggere
Quando muoiono i bambini
Roma, 6 febbraio. Quattro bambini bruciano vivi in una baracca ai margini del nulla metropolitano.
Siamo a Tor Fiscale. Assi, plastica, poche povere cose. Basta una scintilla, un braciere acceso per tenere lontano l’inverno, e il fuoco si mangia tutto.
Il resto è copione già visto. La disperazione dei parenti, l’indignazione del sindaco post fascista della capitale, che strilla che servono poteri speciali per fare campi sicuri, che si infuria contro la burocrazia. Un alibi traballante ma poco importa. In fondo sono solo zingari. La mattina dopo arrivano le ruspe e tirano giù tutte la baracche. L’ordine è ripristinato.
Arriva anche la magistratura, che mette sotto inchiesta il padre e le due madri: abbandono di minore. La madre di tre dei bambini e nonna del quarto non crede all’incidente: il braciere erea lontano, le fiamme sono divampate troppo in fretta.
Una vicenda che ne ricorda un’altra di quattro anni fa.
Quattro bambini rom morirono nell’incendio di una baracca di legno sotto ad un cavalcavia, vicino alla raffineria di Stagno, a Livorno, l’11 agosto del 2007. I genitori vennero arrestati con l’accusa di abbandono di minore e di incendio doloso, nonostante avessero detto di essere stati aggrediti. Prosciolti dall’accusa di incendio doloso, patteggiarono e vennero scarcerati perché incensurati. Sulla vicenda calò il silenzio nonostante il rogo fosse stato rivendicato del GAPE – Gruppo Armato di Pulizia Etnica.
Quando ci sono di mezzo i rom viene sfogliato l’intero florilegio di pregiudizi razzisti nei loro confronti. Se i bimbi muoiono è colpa loro, che non ci badano, che vanno in giro a rubare, che li fanno vivere in roulotte e baracche.
Come se qualcuno – davvero – potesse scegliere di vivere di elemosina in una baracca senza nulla.
Esemplari le dichiarazioni razziste di Tiziana Maiolo, di Futuro e libertà, dopo il rogo di Tor Fiscale. Per lei i bambini Rom che fanno pipì sui muri sono meno educati del suo cagnolino.
Nel luglio del 2008 una bambina rom, appena sgomberata da una ex fabbrica abbandonata in via Pisa a Torino, disse “almeno per un po’ ho vissuto in una casa vera”. Una casa con il gabinetto. E porte, finestre, luce… Dopo lo sgombero la riportarono lungo il fiume in una baracca piena di topi.
A Torino, il 14 ottobre del 2008 andò a fuoco un campo rom in via Vistrorio. Tre molotov in punti diversi e l’insediamento sulle rive del torrente Stura dove vivevano 60 persone andò in fumo.
Non andò peggio perché un ragazzo diede l’allarme. I giornali allusero alla possibilità che il campo l’avessero bruciato gli stessi rom, per forzare la mano al comune ed ottenere posto nell’area allestita per l’emergenza freddo. Le prove? Non era morto nessuno!
Qualche mese dopo, la magistratura, dopo decine di aggressioni a immigrati e tossici, mise gli occhi sul gruppo fascista “Barriera Domina”: nei telefonini di alcuni di loro trovarono le scansioni dei giornali che parlavano del rogo di via Vistrorio. Due righe in cronaca e poi l’oblio. Chi ha dato ha dato, chi avuto avuto.
Sulla vicenda il sito Ojak, oggi purtroppo non più attivo, fece una controinchiesta.
Quelli come Alemanno vogliono i campi. Altri vorrebbero cacciare tutti. I più chiudono gli occhi e non guardano, magari si commuovono anche un po’. I bambini fanno sempre tenerezza.
Il rogo di Tor Fiscale, come già quello di Stagno, ha fatto notizia perché i bambini erano quattro, altrimenti sarebbero bastate poche note in cronaca, ordinaria amministrazione.
Un bambino muore di freddo, un altro bruciato, un altro se lo porta via una banale influenza.
Infinito l’elenco dei campi rom andati in fumo. A volte distrutti da bravi cittadini, decisi a fare pulizia. Etnica. Altre volte bruciati dalla povertà che non concede sicurezza.
Resta il fatto che quei quattro bambini sono stati ammazzati. Resta il fatto che ogni giorno, in qualche dove, c’è qualcuno che muore. Muore di povertà.
La povertà non è un destino.
I responsabili siedono sui banchi dei governi e nei consigli di amministrazione delle aziende.
Ma che nessuno si creda assolto, perché l’indifferenza è complicità.
Continua a leggere
Pordenone. Gli immigrati prendono la parola
Anche dall’estremo nord-est, in una città di provincia come Pordenone, giungono segnali di ribellione da parte degli immigrati, stanchi delle continue vessazioni e soprusi. Accade così che alla manifestazione indetta dall’Associazione Immigrati, partecipino – oltre ogni più rosea previsione – … Continua a leggere
Joy. Il prezzo della dignità
Milano 2 febbraio. Vittorio Addesso, l’ispettore di polizia che tentò di violentare Joy, una ragazza nigeriana rinchiusa nel CIE di via Corelli a Milano nell’agosto del 2009, è stato assolto. Lo stesso pubblico ministero ha chiesto al giudice dell’udienza preliminare il proscioglimento dell’imputato.
Facciamo un passo indietro.
Torniamo a quel bollente agosto del 2009, quando il pacchetto sicurezza divenne legge e la reclusione nei CIE passò da due a sei mesi. Nelle gabbie degli immigrati divampò immediata la protesta, con scioperi della fame, episodi di autolesionismo, materassi bruciati, tentativi di fuga.
Per lunghe notti, dalle prigioni dei senza carte si sono levate grida. Grida nel silenzio.
Nel CIE di Milano la protesta è diventata rivolta. 18 uomini e 5 donne sono arrestati.
Le ragazze si chiamano Joy, Hellen, Priscilla, Debby, Florence: alla prima udienza del loro processo – all’apparire in aula dell’ispettore capo di polizia Vittorio Addesso – hanno gridato forte. La loro rabbia andava oltre la paura. Addesso aveva provato a violentare a Joy, convinto che una ragazza in prigione, africana e prostituta non si sarebbe ribellata. Invece la dignità è più forte della violenza dello Stato, più forte del giogo patriarcale.
Il racconto della ragazza la dice lunga su chi, vestendo la divisa, pensa di poter disporre liberamente dei corpi rinchiusi dentro al CIE. Gente senza carte, senza diritti, senza futuro. Durante la rivolta la violenza dei poliziotti si è concentrata su di lei e le ragazze che avevano assistito ai violenti palpeggiamenti di Addesso. A terra, ammanettata, è stata più volte manganellata. Il suo rifiuto le è costato anche un pugno in faccia dall’ispettore-capo in persona.
In settembre le ribelli e i ribelli del CIE sono stati condannati a sei mesi. Uno di loro a dicembre l’ha fatta finita uccidendosi. Sapeva che, per gente come lui, le gabbie non finiscono mai. E la forza che l’aveva sorretto nel deserto, nel mare, nel CIE per migranti, l’ha infine abbandonato.
Le cinque ragazze, finiti i sei mesi, sono state (ri)portate nei CIE.
Joy alla fine di maggio ha ottenuto il permesso in quanto vittima di tratta.
Vittorio Addesso è stato rinviato a giudizio.
Ieri l’assoluzione. Un processo per calunnia attende ora Joy ed Hellen, l’altra ragazza che ha testimoniato contro l’ispettore. Un esito probabilmente scontato.
Il prezzo della dignità è sempre molto alto, per chi nasce dall’altra parte del muro, che separa chi ha troppo e chi nulla. Continua a leggere
Trapani. Memoria resistente: antirazzisti al CIE
Trapani, 29 gennaio. «Viva li buoni omini come voi!». Questa, insieme a tanti ringraziamenti, è stata una delle frasi pronunciate dai migranti reclusi nel CIE “Serraino Vulpitta” di Trapani durante il pomeriggio di solidarietà che abbiamo organizzato davanti la struttura, sabato 29 gennaio, a due giorni dal Giorno della Memoria, giusto per ricordare che il razzismo di stato, l’internamento e le deportazioni sono tutte cose vergognosamente attuali.
All’interno del CIE la situazione continua a essere quella di sempre. I ragazzi ci hanno informato che molti di loro sono lì dentro da oltre due mesi, per lo più tunisini. A questo proposito, i reclusi hanno apprezzato la nostra solidarietà alla rivolta in Tunisia gridando slogan contro Ben Alì e per la libertà.
E poi tanti cartelli esposti tra le sbarre del CIE: “Non siamo cani, siamo esseri umani”; “Siamo tutti uguali”; “Libertà”.
Noi che stavamo fuori ci siamo uniti ai loro cori, abbiamo ascoltato i loro sfoghi, abbiamo cercato di farli sentire meno soli. Un altro momento di condivisione e solidarietà internazionalista, un nuovo momento di lotta contro le frontiere e le prigioni che mortificano l’umanità.
Coordinamento per la Pace – Trapani
coordinamentoperlapace@yahoo.it
Continua a leggere
Contestazione alla gara per l’appalto del Cie di Gradisca
Gorizia, 1 febbraio. L’apertura delle buste per la nuova gara d’appalto per il CIE e il CARA di Gradisca era in programma questa mattina. Non potevano mancare gli antirazzisti.
Nei giorni precedenti erano girate molte voci sui candidati al ruolo di aguzzini, pronti ad incassare 15 milioni di euro in tre anni. Una torta ricca grossa.
C’era chi sosteneva che gli attuali gestori, quelli del consorzio Connecting People, non si sarebbero ripresentati. Ben otto le offerte arrivate in prefettura, compresi quelli di Connecting People, la Cooperativa Minerva, i Cavalieri di Malta e l’associazione culturale Aquarinto di Agrigento.
L’apertura delle buste avrebbe dovuto essere pubblica, ma ogni regola ha la sua eccezione. Dopo il rituale controllo dei documenti, la presidente della Commissione esaminatrice, tale Gloria Allegretto, ha sostenuto che la sala era piccola e potevano starci solo quelli che avevano un interesse soggettivo. Un interesse da 15 milioni di euro. Gli antirazzisti, il cui interesse è invece oggettivo, ossia la libertà di chi ha la colpa di essere povero e senza carte, dovevano stare fuori.
Un’imposizione che non potevano certo accettare: così in quella sala troppo piccola hanno trovato posto cartelli con le immagini ingombranti ed eccessive dei prigionieri del CIE con le bocche cucite con ago e filo. Prima di togliere il disturbo i compagni hanno gridato a gran voce “vergogna!”, “andate a fare un lavoro dignitoso invece di diventare aguzzini”, “tanto gli immigrati ve lo sfasciano di nuovo quel lager”.
Una buona occasione per ribadire che i CIE sono lager, chiunque li gestisca. Continua a leggere