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Trapani. Fuga di massa dal CIE

Tra sabato 26 e lunedi 28 maggio ben centodieci immigrati sono scappati dal Centro di Identificazione ed Espulsione di contrada Milo alla periferia di Trapani. La fuga di massa era stata tentata da circa duecento persone. Successivamente, nella notte tra martedi e mercoledi, altri quindici ragazzi sono riusciti a riprendersi la libertà su un totale di circa cinquanta detenuti che ci avevano provato. Tutti gli episodi hanno avuto le caratteristiche della rivolta, con drammatiche colluttazioni tra immigrati e personale di polizia. Il CIE di Milo, con la sua capienza massima di 204 posti, si è dunque opportunamente spopolato. Proprio alla fine di maggio, una delegazione di giornalisti vi ha fatto ingresso nell’ambito della campagna “LasciateCIEntrare”. Dopo tanti anni, il mondo dell’informazione “ufficiale” ha preso a cuore la tematica dei centri di internamento per immigrati allo scopo di rendere queste strutture accessibili e “trasparenti”. Pur non essendo più in vigore la direttiva dell’ex ministro dell’Interno Maroni che aveva vietato l’ingresso dei giornalisti nei Centri, la possibilità di accesso ai lager italiani è sempre molto discrezionale a seconda della prefettura di riferimento. A Trapani, la visita guidata al Centro di Milo non ha svelato niente che non si sapesse già: gli episodi di autolesionismo sono frequentissimi (una media di almeno quindici al mese) e i tentativi di fuga sono praticamente all’ordine del giorno. Gli immigrati intervistati hanno sfogato tutta la loro rabbia e frustrazione per una detenzione ingiusta e disumana, naturale prodotto di una legislazione che mortifica i diritti e la libertà delle persone. Tutte cose che gli antirazzisti, a Trapani come ovunque, hanno sempre denunciato sin dalla prima comparsa di queste strutture. Dispiace che alcuni giornalisti se ne siano accorti solo adesso ma, come si dice, meglio tardi che mai. Continua a leggere

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Cie di Gradisca di nuovo in rivolta

Circa un mese fa eravamo tornati a parlare del CIE “modello” della cittadina isontina in occasione della fine dei lavori di ristrutturazione durati ben oltre un anno. Per tutto questo tempo nel lager gradiscano ben poco è successo all’interno per … Continua a leggere

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Cie di Gradisca: “un gigante dai piedi d’argilla”

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Pogrom di polizia ad Atene

Atene 25 aprile. Sin dalle prime ore del giorno è scattata un’ampia operazione di polizia nel centro della città.
Camionette con centinaia di uomini in assetto antisommossa hanno circondato interi isolati e hanno fatto irruzione in numerosi edifici a caccia di immigrati. Chiunque paresse straniero è stato brutalmente fermato e perquisito. Tutti gli immigrati senza documenti sono stati condotti nei nuovi centri di detenzione.
Il ministro per la difesa civile Chrysochoidis, già protagonista di numerose campagne contro gli immigrati, ha dichiarato che “Atene sarà ripulita in pochi giorni. Noi dobbiamo riappropriarci dello spazio pubblico”. Continua a leggere

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CIE: Una guerra non dichiarata

Ascolta l’intervista di Raffaele a radio Blackout  su immigrazione, CIE, informazione negata, permesso a punti, repressione. Quello che segue è l’articolo di Raffaele Viezzi pubblicato su Umanità Nova numero 10 del 18 Marzo 2012          www.umanitanova.org “Contrastare … Continua a leggere

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CIE di Gradisca: Connecting People pescata con le mani nel sacco

Giovedì 23 febbraio. Che la gestione dei CIE sia un affare lucroso è cosa nota. Intorno a questi nonluoghi girano una montagna di soldi pubblici da arraffare e in molti fanno a gara per accaparrarseli. La fame di profitto va … Continua a leggere

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CIE di Modena. Sciopero della fame e della sete

Mercoledì 22 febbraio. I reclusi del Centro di Identificazione ed Espulsione di Modena sono in sciopero della fame e della sete da due giorni. Alla protesta partecipano tutti i 56 reclusi della struttura.
Il CIE di Modena è l’equivalente di un supercarcere per senza documenti. Le condizioni di detenzione sono peggiori che altrove, l’isolamento molto più rigido. Ormai da un paio d’anni anche in altri CIE è stato impedito agli “ospiti” di tenere i propri telefoni cellulari, a Modena non è mai stato possibile comunicare con l’esterno se non dietro stretta sorveglianza dei gestori del Centro, la Misericordia di Giovanardi, fratello gemello dell’ex ministro del PDL.
Nonostante l’isolamento questa volta le notizie sono filtrate all’esterno.
A scatenare la protesta, durissima e compatta dei prigionieri, l’inganno messo in atto dalla Questura modenese, che aveva promesso, che, nonostante il recepimento da parte del governo italiano della direttiva rimpatri, allo scadere del sesto mese di detenzione, nessuno sarebbe rimasto nel CIE.
Nei giorni scorsi diversi immigrati sono passati dal giudice di pace che ha prolungato di altri due mesi il soggiorno forzato a Modena. Chi entra in un CIE passa sempre dal giudice di pace che, di volta in volta, aggiunge due mesi a quelli iniziali.
I reclusi sono decisi a resistere finché non otterranno la libertà.

Circolano indiscrezioni su un possibile cambio della guardia nella gestione della struttura emiliana, poiché la Misericordia che l’ha in gestione sin dall’apertura, potrebbe non presentarsi per la prossima gara di appalto. La riduzione del contributo diario per ogni prigioniero renderebbe meno redditizio l’affare. Secondo le stesse fonti tra i possibili concorrenti ci sarebbe la francese Gepsa, che un anno fa sarebbe dovuta subentrare al consorzio Connecting People nella gestione del CIE di Gradisca d’Isonzo, ma per una serie non troppo chiara di inghippi amministrativi, di fatto è rimasta fuori.
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CIE di Gradisca: piccole ordinarie sopraffazioni

Le notizie di maltrattamenti, pestaggi, angherie e abusi che filtrano dalle mura dei CIE ogni tanto fanno notizia anche se molto meno di quello che sarebbe necessario per squarciare il velo di silenzio e indifferenza che circonda questi luoghi. Ciò … Continua a leggere

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Cie di Gradisca: immigrati al freddo e dipendenti…

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CIE di Torino. Fuga di mezzanotte

Torino 1 gennaio. Dopo l’evasione di massa della notte tra il 24 e il 25 dicembre i reclusi del Centro di corso Brunelleschi, ci hanno riprovato la notte di capodanno. Questa volta la questura non si è fatta cogliere impreparata: decine di uomini sono entrati nelle gabbie prima della mezzanotte. Un’azione preventiva per scoraggiare ogni tentativo di fuga. Nonostante le premesse decisamente poco incoraggianti, dalla sezione blu ci hanno provato lo stesso. Saltate le serrature hanno affrontato la polizia lanciando quello che potevano in risposta ad idranti e lacrimogeni. Nella confusione quattro (forse cinque) immigrati sono riusciti a saltare il muro facendo perdere le proprie tracce.
Un ragazzo senegalese è stato intercettato dalla polizia e arrestato. Il giorno successivo è stato scarcerato con l’accusa di resistenza e lesioni.
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Trapani. Memoria resistente

Un pomeriggio di solidarietà e di lotta, per non dimenticare.
Mercoledì 28 dicembre, decine di antirazzisti si sono radunati davanti il cancello del Centro di Identificazione ed Espulsione “Serraino Vulpitta” rispondendo all’appello per la manifestazione in ricordo della strage del 1999 e per ribadire la ferma opposizione contro le leggi razziste e l’esistenza dei centri di detenzione per immigrati.
Al “Serraino Vulpitta” ci sono attualmente 38 persone recluse, per lo più tunisini. Alcuni di questi gridavano tutta la loro rabbia per le loro speranze deluse: «Siamo scappati da una dittatura e siamo finiti dietro le sbarre. Stiamo peggio che in carcere. Noi non siamo criminali». Le condizioni sono quelle di sempre. Gli immigrati denunciano non solo la scarsa qualità del cibo, ma anche la mancanza di coperte. Nonostante la chiusura dello spazio centrale del ballatoio che dà sull’esterno, i manifestanti e gli immigrati sono riusciti a comunicare reciprocamente.

A quanto pare, il “Serraino Vulpitta” funziona come un centro di raccolta terminale per chi deve essere rimpatriato a breve. Una struttura che, nonostante la sua tragica storia e la sua fatiscenza, rimane a disposizione delle autorità come valvola di sfogo per alleggerire il nuovo CIE di contrada Milo, più grande e meno gestibile in caso di rivolte e proteste. Gli immigrati hanno annunciato la loro intenzione di intraprendere uno sciopero della fame.
Poi, gli antirazzisti si sono diretti in centro storico per raccontare quello che avevano visto e sentito.
La presenza di alcuni immigrati di origine senegalese, intervenuti durante la manifestazione, ha sollecitato l’interesse della cittadinanza mentre venivano smascherati i meccanismi delle leggi razziste e le menzogne che sono alla base del pregiudizio e dell’ostilità nei confronti degli stranieri.
A Trapani c’è chi non dimentica e non si arrende.
Coordinamento per la Pace – Trapani
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CIE di Torino. Vacanze di Natale

Ci avevano provato la notte del 24 dicembre, ma era andata male. I poliziotti di guardia al Centro di corso Brunelleschi erano riusciti a bloccare un tentativo di fuga. Nell’area rossa usano gli idranti e pestano duro due prigionieri.

La sera dopo, è il 25 dicembre, i secondini sono pochi, chiusi nei loro gabbiotti, quando, profittando che le serrature forzate la notte prima non erano state riparate, gli immigrati senza carte hanno aperto le porte delle varie casette che li rinchiudono, e si sono riversati lungo la recinzione, saltandola in più punti.
Un ragazzo si è ferito cadendo dal muro ed è stato subito riacciuffato, altri tre, che avevano trovato rifugio in un capannone, sono stati individuati, fatti scendere con una scala dei vigili del fuoco e riportati nel centro.
Molti altri, forse più di venti, sono corsi via veloci facendo perdere le proprie tracce.
Se i numeri verranno confermati potrebbe essere stata una fuga più numerosa dopo quella del 22 settembre.
Una lunga vacanza di Natale. Un buon augurio per l’anno che viene.
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L’anomalia gradiscana

Che il CIE  di Gradisca fosse particolare rispetto agli altri lager lo abbiamo detto più volte negli articoli di questo blog. Due recenti novità non fanno che rafforzare questa convinzione. Iniziamo dalle novità sulla gestione. E’ quasi un anno infatti … Continua a leggere

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Trieste. Studenti indignati contro i CIE

Da un paio di settimane la protesta degli studenti (soprattutto medi) che – assieme a vari solidali – si sono accampati per giorni prima in piazza Unità e poi in piazza della Borsa sta facendo notizia. Sul piatto oltre a varie rivendicazioni classiche (ma particolare importanza ci pare abbia la lotta contro le telecamere nelle scuole) ci sono anche temi più generali: contro le banche, per una partecipazione politica reale, contro il debito, contro il TAV, per gli spazi autogestiti ecc. Per un’analisi su prospettive e limiti di questa lotta rimandiamo all’articolo in uscita su Umanità Nova. C’è stato invece uno sviluppo interessante sul fronte delle lotte antirazziste. Uno dei primi striscioni comparsi in piazza Unità era un secco “no racism” assieme ad una bandiera antifascista. Da ieri gli universitari hanno messo in campo un’iniziativa concreta: è stata occupata la biblioteca generale e si stanno organizzando pranzi sociali a prezzi popolari per boiccottare la mensa gestita dalla Sodexo. La decisione è stata presa dopo che nella piazza è stata diffusa l’informazione – nota solo a pochi – che la Sodexo fornisce i pasti in diversi CIE.
Seguiranno aggiornamenti.
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Torino. Come bufali impazziti

Sabato 1 ottobre. Nel prato di fronte al CIE di corso Brunelleschi l’atmosfera è serena. Se non fosse per quel muro, mille volte segnato da graffiti di libertà, mille volte cancellati e mille volte rifatti, sarebbe un pomeriggio come tanti in quest’estate tardiva.
C’è una settantina di persone: antirazzisti di un po’ tutte le aree, giovani immigrati che le gabbie le hanno assaggiate, famiglie, specie peruviane venute a sostenere la lotta di Ysmael, un attivista molto noto anche al di fuori della sua comunità. Ysmael è rinchiuso in una delle gabbie e da settimane si sta battendo perché la sua vita è a Torino e non la vuole lasciare. Il 27 settembre hanno provato a caricarlo su un aereo diretto a Lima. Pareva l’epilogo scontato della vicenda ma Ysmael ha cominciato a gridare, a divincolarsi, finché la sua protesta ha attirato l’attenzione del pilota, che gli ha fatto la domanda più ovvia, gli ha chiesto se voleva partire per il Perù. Di fronte al suo diniego ha ordinato di farlo sbarcare: i poliziotti non hanno potuto fare altro che ricondurlo al CIE, nella cella di isolamento nella quale ha trascorso buona parte della sua prigionia.
Il presidio di sabato è un segnale di solidarietà che mette insieme tanta gente diversa, accomunata dalla volontà di chiudere i CIE, di dare sostegno alla lotta di tutti i reclusi, in questi mesi sempre più forte in ogni angolo d’Italia.
Che gli uomini in divisa siano maldisposti lo si capisce sin dal primo momento: controviale bloccato dalle camionette, antisommossa schierati con casco e manganello, funzionari in fascia tricolore, quella che, almeno a Torino, mettono solo per poter dichiarare legittima una carica.
Musica, interventi, slogan. Niente altro.
Il pretesto lo fornisce un cucciolo di cane, un quattro zampe impertinente che non ha ancora capito che ci sono limiti che non è salutare valicare. Il cucciolo attraversa la strada, si dirige verso gli uomini in divisa, una ragazza lo rincorre gridando “vado a prendere il cane!”. I gentiluomini in divisa fanno partire qualche insulto, qualcuno risponde. Poi calano i caschi e partono.
Sembravano “una mandria di bufali impazziti” scriverà il giorno dopo una donna. Ha una mano gonfia: sin è guadagnata una manganellata quando ha sporto il braccio nel vano tentativo di fermare un poliziotto che si stava accanendo contro il figlio di 15 anni, che, come lei, era seduto nel prato. Al pronto soccorso al ragazzo metteranno il collare e daranno 7 giorni di prognosi.
I feriti sono numerosi. Una compagna viene colpita ripetutamente alla testa, si ripara con la mano e si aggiudica una frattura scomposta al mignolo. Gli altri hanno sul viso e sul corpo i segni dei colpi ricevuti.
Un folto gruppo di antirazzisti viene caricato per centinaia di metri lungo via Monginevro, affollata di auto e bus, come in ogni sabato pomeriggio. Solo all’angolo con corso Montecucco i funzionari richiamano la forza.
In questura devono aver deciso. Basta presidi solidali davanti ai CIE: i prigionieri devono restare isolati, come i tunisini rinchiusi nelle navi-prigione dopo aver incendiato il centro di contrada Imbriacola.
Diciamolo chiaro. A questi picchiatori in divisa, dopo quattro mesi rinchiusi nella gabbia di cemento e filo spinato alla Maddalena di Chiomonte, qualche soddisfazione bisognava pur darla. In Valsusa i manganelli, i calci in faccia, lo scricchiolar d’ossa sinora glielo hanno potuto concedere solo a piccole dosi. Gas sparati ad altezza d’uomo, qualche sasso dall’autostrada ma nulla più. In via Grattoni sanno che la Valsusa è una polveriera e non hanno il coraggio di scatenare i bufali.
Le rivolte e le fughe degli immigrati si stanno moltiplicando in tutta Italia, spezzando reti e rompendo le gabbie. A Torino il 22 settembre si sono ripresi la vita in 22.
La voglia di libertà brucia le frontiere, simboliche e reali messe a guardia di un ordine feroce. Spezzarlo è una scelta morale ben prima che politica.
Ormai lo stanno imparando anche i cuccioli di cane: c’è un lato sbagliato della strada, quello che corre lungo i muri cinti di filo spinato, difesi da uomini armati e cattivi.
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Palermo. Navi-prigione per nuovi appestati

È proprio vero che al peggio non c’è mai fine. Dopo i fatti di Lampedusa, dopo quel naufragio dell’umanità che ha portato a una guerra civile fra immigrati e abitanti dell’isola e alla conseguente espulsione di tutti i tunisini, il governo italiano sta mettendo in atto un’operazione inaudita, degna dei peggiori regimi dittatoriali.
In queste ore, settecento immigrati che si trovavano a Lampedusa sono stati trasferiti e si trovano attualmente stipati e detenuti su tre navi ancorate al porto di Palermo: “Moby Fantasy” e “Audacia” di Grandi navi veloci, e la “Moby Vincent”. Il molo Santa Lucia è letteralmente blindato. Sono 650 gli agenti delle forze dell’ordine impiegati in questo internamento concentrazionario su quelli che, burocraticamente, sono definiti “centri di raccolta galleggianti”.
L’obiettivo è quello di rimpatriare a poco a poco tutti gli immigrati, ma la cosa agghiacciante è che le autorità stanno cercando di nascondergli come stanno realmente le cose. I telefonini dei migranti sono stati tutti sequestrati per evitare ogni contatto con l’esterno e scongiurare possibili rivolte a bordo delle navi. Nel frattempo, il governo di Tunisi tiene duro, e le operazioni di rimpatrio stanno subendo un evidente rallentamento.
Sulle navi le condizioni igieniche sono ai limiti della tollerabilità umana e la tensione cresce di ora in ora. Non dovrebbe più stupire nessuno, ma vale la pena di ricordare che tutto questo avviene al di fuori di ogni minima garanzia legale. Le detenzioni non giustificate da un provvedimento di un giudice sono contrarie al più elementare ordinamento giuridico democratico, così come sono legalmente vietate le espulsioni di massa. E invece, a Palermo, il governo italiano tiene segregate settecento persone su tre navi al porto, come se fossero appestati in quarantena, in attesa di disfarsene il prima possibile.
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Torino. Fuga dal CIE

Giovedì 22 settembre. La notte scorsa i prigionieri del Centro di Identificazione ed espulsione di corso Brunelleschi hanno tentato una fuga di massa. La seconda in meno di un mese.
In contemporanea hanno tentato di abbattere le porte delle recinzioni delle varie sezioni. In parecchi hanno scavalcato dall’uscita secondaria di corso Brunelleschi.
Alcuni ce l’hanno fatta, altri sono stati riacciuffati. Secondo La Stampa on line hanno riconquistato la libertà in 22, mentre altri 7 sono stati tratti in arresto con l’accusa di resistenza e lesioni.
Durante la notte, alcuni abitanti affacciati al balcone di corso Brunelleschi gridavano ai poliziotti “almeno questi li avete ripresi”.
Come in videogame. Un gioco feroce dove si smarrisce l’umanità.
Oltre quelle gabbie ci sono uomini e donne. Chi lo dimentica è complice.
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Cie di Gradisca. Si naviga a vista

“Cie di Gradisca. Si naviga a vista” Così scrivono i giornali locali in questi giorni. nonostante un’estate tranquilla il fuoco continua a covare sotto le ceneri.  Nella notte tra domenica e lunedì sette tunisini hanno tentato di darsela a gambe. … Continua a leggere

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A Lampedusa il CIE non c’è più

Martedì 20 marzo. Il fuoco covava sotto la cenere da lunghi giorni. I 1300 reclusi del centro di strada Imbriacola hanno bruciato la loro prigione e sono usciti.
Il fuoco, alimentato dal vento, ha presto distrutto completamente la struttura, mentre il fumo invadeva le strade del paese. Gli immigrati hanno trascorso la notte all’aperto, molti dentro il campo sportivo. Secondo alcuni quotidiani cento tunisini sarebbero già stati trasferiti in altri centri.
Il sindaco De Rubeis ha chiesto l’invio di navi della marina militare per l’immediato rimpatrio, minacciando il ricorso alla forza per cacciare quelli che non esita a definire “delinquenti”.
È la seconda volta in meno di tre anni che il CIE lampedusano viene distrutto dai prigionieri senza carte.
De Rubeis parla di guerra e non sa quanto ha ragione. Dall’inizio dell’anno decine di migliaia di persone sono approdate nell’isola, ben 1674 quelli che non ce l’hanno fatta: chi è morto annegato, chi soffocato nella stiva di un barcone troppo pieno, chi di sete su una carretta alla deriva.
Lampedusa è diventata una prigione a cielo aperto, con un muro di filo spinato a dividere migranti e profughi dagli isolani.
I traballanti accordi con la Tunisia non permettono al governo italiano di rispedire indietro più di trenta clandestini al giorno. I centri, specie dopo il prolungamento a un anno e mezzo della reclusione, stanno esplodendo.
La guerra dichiarata dal governo ai poveri si fa sempre più feroce. Ma la misura è ormai colma.
Da Nardò a Piacenza i lavoratori immigrati si ribellano alla schiavitù, da Roma a Torino, da Milano a Modena, da Gradisca a Brindisi i reclusi nei CIE e nei CARA spezzano le catene e fuggono. Continua a leggere

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Cie di Gradisca: ancora repressione sugli antirazzisti

Mentre all’interno del CIE pare (il condizionale è d’obbligo visto il divieto di usare i cellulari scattato mesi fa) che non stia succedendo molto, all’esterno continua la piccola ma strisciante opera di intimidazione degli antirazzisti. Non è passato neanche un … Continua a leggere

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