CIE. Cosa bolle nella pentola del governo?
Riportiamo in questa pagina in costante aggiornamento le cronache e le riflessioni delle ultime settimane sul fronte del CIE, per cercare di capire cosa stia davvero bollendo nella pentola del governo, dopo la campagna mediatica che ha ri-messo al centro dell'attenzione i centri per senza carte, le leggi razziste del nostro paese, la difficoltà del governo a fare fronte ad una spesa enorme, tra gestione dei centri, espulsioni, ristrutturazioni continue dei CIE danneggiati o distrutti dalle rivolte.
Siamo convinti che il governo intenda liberarsi della patata bollente, facendo sì che tutto cambi, affinché tutto resti come prima.
Proviamo a vedere come, andando oltre i toni intollerabilmente melensi dei media.
Iniziative contro il CIE di Gradisca in maggio e giugno
A pochi chilometri da noi a Gradisca d’Isonzo dal 2006 esiste un CIE (centro di identificazione ed espulsione). In questa prigione sono reclusi in condizioni durissime decine di cittadini non dell’unione europea per il solo motivo di non possedere (o non possedere più) un permesso di soggiorno valido. Divieto di leggere, di comunicare con l’esterno, psicofarmaci, privazioni e soprusi di ogni tipo sono pane quotidiano e provocano tra l’altro continui episodi di autolesionismo. Riteniamo importante far conoscere l’esistenza di questi luoghi e le logiche che li governano, promuovendo iniziative di informazione e denuncia. Invitiamo tutti e tutte a partecipare e a contribuire in modo attivo alle iniziative che si terranno nei prossimi giorni: Trieste, sabato 18 maggio dalle 17 in via delle Torri (dietro la chiesa di s.antonio) Pordenone, sabato 18 maggio dalle 17 in p.tta Cavour Udine, sabato 24 maggio al nuovo spazio sociale in viale Osoppo Le iniziative vogliono anche promuovere la partecipazione al presidio regionale che ci sarà sabato 1 giugno nel pomeriggio di fronte al CIE di Gradisca indetto dal Coordinamento regionale contro i CIE.Sabato 20 aprile – Il CIE tra la movida di Torino
ore 19,30 aperibenefit antirazzisti sotto processo ore 20,30 assemblea sui CIE con testimonianze ore 22 presidio antirazzista itinerante per portare il CIE in mezzo alla città. Appuntamento alle 19,30 in largo Saluzzo "Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!" Questo striscione è apparso lo scorso mese davanti alla villa di Antonio Baldacci, responsabile del CIE di Torino. Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto. La mattina dopo Fatih era morto. Non venne eseguita nessuna autopsia. Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito. Due giorni dopo il colonnello e medico Baldacci dichiarerà "gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa". Parole che ricordano quelle degli aguzzini di ogni dove. Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si recò a casa Baldacci per un "cacerolazo". Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni. La protesta di persone indignate per una morte senza senso. Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade. I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell'amministrazione comunale. L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione. L'occupazione simbolica dell'atrio del Museo egizio - 29 giugno 2008 - per ricordare l'operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione - 17 luglio 2008 - dell'assessore all'integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata - 11 luglio 2008 - contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta - 20 marzo 2009 - alla lavanderia "La nuova", che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l'elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti. Nel CIE di Torino negli ultimi due mesi si sono susseguite le lotte e le rivolte. Tutte le sezioni del CIE sono state gravemente danneggiate. In febbraio la polizia ha pestato, gasato gli immigrati in rivolta dopo un fallito tentativo di fuga. Sei sono stati arrestati. Nonostante la repressione le lotte non si sono fermate. Per evitare la deportazione qualcuno si taglia, altri salgono sul tetto. Il CIE è quasi inagibile. In alcune sezioni gli immigrati dormono su materassi gettati in terra. La scorsa settimana tutti i reclusi, ormai solo 47, hanno fatto uno sciopero della fame di due giorni. Per la libertà. Nei CIE le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all'espulsione da lunghi anni sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell'Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi sia un'urgenza che ci riguarda tutti. Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un’aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, continueremo a portare il CIE per le strade di Torino. Antirazzisti contro la repressione Ti ricordi di Fatih?Mercoledì 27 febbraio – processo agli antirazzisti
Mercoledì 27 febbraio prima udienza del processo a 67 antirazzisti torinesi
La Procura mette in scena un processo alle lotte.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese, in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si traducono in scelte politiche scomode.
Se sperano di spaventarci si sbagliano.
In questi anni le iniziative di opposizione al razzismo, alle politiche securitarie, al militarismo allo sfruttamento si sono moltiplicate sul territorio.
L’urgenza politica e morale di allora è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri.
Porteremo il loro processo nelle strade di questa città!Sabato 2 marzo – Portiemo il CIE nel salotto della città! – presidio antirazzista
Il 27 febbraio e cominciato il primo di due processi agli antirazzisti che, tra il maggio del 2008 e il maggio del 2009, attraversarono l'esperienza dell'Assemblea Antirazzista Torinese.
La lotta contro i CIE ha segnato alcuni momenti importanti di quell'anno ed è oggi un fronte sempre più caldo di resistenza al razzismo di Stato nella sua concreta, quotidiana, materialità.
La morte di Fathi, un immigrato tunisino lasciato senza cure nell'allora "nuovo" CPT di Torino, fu il banco di prova di una relazione politica ancora embrionale.
La lotta che ne seguì fece da catalizzatore per quelle che seguirono.
Oggi le protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare della struttura detentiva di corso Brunelleschi, è entrata nel fascicolo del processo.“Il CIE nel salotto della città”
Il 2 marzo con un presidio itinerante per il centro cittadino porteremo quella storia negata e dimanticata in mezzo alla città.
Appuntamento alle 15 in piazza Castello.
Sabato 23 febbraio punto info solidale con gli antirazzisti sotto processo
Sabato 23 febbraio punto info sul processo a 67 antirazzist*
a Porta Palazzo - sotto i portici all'angolo con corso GiulioRompere il silenzio
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Tre anni fa la Procura giocò la carta dell’associazione a delinquere ed arrestò sei antirazzisti. Il teorema non resse in Cassazione ma la Procura voleva comunque mandare alla sbarra l’Assemblea Antirazzista torinese.
Oggi la Procura mette in scena un processo alle lotte. In due atti.
Il primo atto va in scena il 27 febbraioArance amare – mostra itinerante per i mercati di Torino – 26 gennaio 2013
Le arance, i mandarini, le clementine che fanno mostra di se nei mercati di Torino, sono state raccolte da lavoratori stagionali, che vengono pagati 50 cent alla cassetta di arance, 1 euro per cassetta di mandarini. Ogni cassetta pesa una media di 18/20 chili. In una giornata di lavoro la media arriva a 25 euro. In nero, non tutti i giorni ma solo quelli che il caporale ingaggiato dai padroni decide di sceglierti. Se alzi la testa, se reclami per i ritmi o per la paga, puoi anche andartene, perché nessuno ti chiamerà più.
I media ci raccontano di migrazioni epocali, di emergenze continue per giustificare le condizioni di vita indecenti di questi lavoratori. Per loro non ci sono tende o gabinetti funzionanti quando arrivano nella piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi. Di affittare una casa non se ne parla nemmeno: a Rosarno o a San Ferdinando una stanza costa come nel centro di Milano o Roma.
In realtà basterebbero pochi soldi per mettere su strutture decenti, basterebbero liste publiche per tagliare fuori i caporali, basterebbe che chi guadagna, e bene, sul lavoro degli stagionali, ci mettesse qualcosa del suo per garantire loro un letto e una doccia. Invece no. Così le tendopoli scoppiano subito, circondate da baracche fatte di lastre di amianto e teli di plastica, così per i bisogni ci sono buche a cielo aperto.
Quella dell'emergenza è una bufala che ci raccontano perché è più facile immaginare una fame tutta africana, che vedere la realtà. La realtà è fatta di operai del nord che hanno perso il lavoro e vengono a fare la raccolta per rimediare un salario, la realtà è fatta di richiedenti asilo che attendono da oltre due anni la risposta che consentirebbe loro di andare via, di cercarsi un lavoro stabile. La guerra in Libia è finita da due anni, ma i profughi di quella guerra vivono ancora in un limbo apolide.
Se vedessimo la realtà vedremmo che la condizione degli africani di Rosarno è ormai la condizione di tanta parte dei lavoratori italiani. L'unica emergenza è quella quotidiana di uno sfruttamento senza limiti, perché per i padroni non conta il colore delle pelle, ma quello dei soldi.
Le arance che mangiamo sono sempre più amare.Sabato 26 gennaio mostra itinerante e volantinaggio nei mercati delle zone popolari di Torino.
Appuntamento alle 9,30 in corso Palermo 46 - per info: 338 6594361Frontiere d’Europa. 30 nuovi centri di detenzione in Grecia
Grecia. Il ministro della protezione civile M. Chrysohoidis, ha annunciato ieri l'apertura di trenta nuovi centri di detenzione per immigrati in collaborazione con il ministero degli esteri.
Il ministro si è incontrato con i governatori di dieci province greche per verificare la loro disponibilità ad ospitare i centri. Ha anche fornito assicurazione che l'Unione Europea si è impegnata a versare 250 milioni di euro per i prossimi tre anni.
Per ciascuno dei centri sarà istituito un apposito presidio di polizia di almeno 150 agenti oltre a 70 guardie private, ogni 250 immigrati detenuti.
Secondo il piano presentato ogni centro sarà diviso in quattro sezioni, in ciascuna delle quali saranno rinchiusi 250 immigrati. Ognuno dei nuovi lager "ospiterà" 1000 senza carte, per un totale di 30.000 prigionieri.
La Grecia si candida così al ruolo di paese cuscinetto tra i paesi più ricchi dell'Unione e le aree di emigrazione. Un avamposto di frontiera, ben pagato per il servizio reso.-
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Piacenza. Blocco ai cancelli della TNT
Dopo la lotta alla Ceva Logistica a Cortemaggiore siamo ancora a Piacenza. I lavoratori delle cooperative Stella e Vega associate al consorzio Gesco Nord, tutti immigrati provenienti dal Marocco e dall’Egitto sono scesi ieri pomeriggio in sciopero spontaneo bloccando i cancelli d’ingresso del magazzino dell Tnt di Piacenza. Siamo nel polo logistico: per tutti i politici il fiore all’occhiello della nuova economia della città. I lavoratori in sciopero, circa 150 su 300, sono stanchi di essere trattati come schiavi e chiedono la mera applicazione del Contratto Collettivo Nazionale dei Lavoratori del settore commercio, sistematicamente non applicato dalle cooperative.
Ogni mattina ed a ogni inizio turno tutti i soci lavoratori delle cooperative, che hanno l’appalto per la movimentazione merci (carico e scarico dei camion che portano la corrispondenza) si presentato ai cancelli ma a solo alcuni è poi concesso di entrare al lavoro: il nuovo caporalato che ben tipico di tante cooperative della logistica. I lavoratori raccontano di essere stati sottoposti a perquisizioni corporali e di indennità di malattia in nero e sempre variabili.
I lavoratori, organizzati dal SI Cobas, hanno deciso di opporsi alla nuova schiavitù in cui sono costretti a lavorare. Lottano sia contro le cooperative da cui sono stati assunti, alcuni anche a tempo indeterminato, e della Tnt che è complice dello sfruttamento e del ricatto contro i lavoratori.
Le buste paga spesso sono a zero o ammontano a pochi euro: il resto viene pagato in nero.
Con la divisa della Gesco Nord e le scarpe infortunistiche, coraggiosi e determinati, i lavoratori, sempre sotto il ricatto della perdita del permesso di soggiorno, hanno resistito ai tentativi di uscita di alcuni camion e si sono opposti alla richieste della dirigenza e della polizia di spostare il presidio.
La fila di camion è diventata molto lunga e gli animi si sono surriscaldati, mentre le perdite economiche per la Tnt aumentavano.
Si presenta la Digos in blocco, che filma per tutta la giornata, due auto della polizia e una dei carabinieri. Nell’aria non c’è un intervento immediato: sono stati colti di sorpresa. I compagni presenti hanno sostenuto i lavoratori nel blocco dell’ingresso e l’uscita dei camion, nei vari punti, dalle 18 alle 21,30: nel corso della giornata i proprietari hanno proposto, prima di incontrare alcuni soci lavoratori senza il sindacato, poi di incontrare anche i rappresentanti del sindacato.
Il risultato è stata la garanzia della firma di un verbale di accordo per l’applicazione del contratto nazionale per tutti i lavoratori delle cooperative. Alle 21,30 il blocco è stato tolto. Ci saranno ancora alcuni momenti di tensione perchè la TNT pare intenzionata a lasciare fuori i lavoratori che hanno protestato: il blocco riprende e in breve entrano tutti.
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Trieste: 25 giugno in piazza contro la sanatoria-truffa
Sabato 25 giugno siamo scesi nuovamente in piazza, in una manifestazione organizzata dal comitato Primo Marzo di Trieste, per due motivi: festeggiare la positiva conclusione di una battaglia durata due anni e, allo stesso tempo, rimarcare il fatto che … Continua a leggere
Razzismo senza fine
Il governo italiano aveva bisogno di un diversivo per far fronte alla sua profonda crisi di legittimità e consenso.
E così, tanto per mostrare i muscoli e distrarre l’opinione pubblica, è stato varato un decreto legge che torna a colpire ferocemente gli immigrati. Per questa rappresaglia sulla pelle dei più deboli, occorreva aggirare l’ostacolo del reato di clandestinità bocciato dalla corte di Giustizia Europea, e così è stato.
I punti salienti di questo nuovo provvedimento razzista consistono nell’espulsione coatta e immediata sia dei “clandestini”, sia dei cittadini europei considerati “pericolosi”. P er facilitare questa macchina delle deportazioni, si è pensato persino di rinnovare gli accordi italo-libici con il governo provvisorio di Bengasi, in perfetta continuità con le politiche intraprese fino a ieri con il dittatore Gheddafi. E poi viene prolungata la detenzione nei Centri di identificazione ed espulsione (CIE) da sei a diciotto mesi. In pratica, si potrà finire dietro le sbarre per un anno e mezzo senza aver commesso reati ma solo perché si è immigrati e senza il permesso di soggiorno. In particolare, l’accanimento nei confronti dei cittadini comunitari è un’evidente intimidazione nei confronti di zingari e rumeni, da sempre nel mirino dei razzisti di casa nostra.
D’altronde, questo governo ha risposto alle esigenze dei profughi del Nordafrica con la vergogna delle tendopoli (rigorosamente vietate ai giornalisti) che in alcuni casi – come a Santa Maria Capua Vetere – gli stessi immigrati hanno provveduto a distrugge re. Qui da noi, a Kinisia, la tendopoli è tornata in funzione e viene adibita a CIE, mentre il nuovo super lager di Milo continua a crescere come una metastasi alla periferia della città.
Come dichiarato pochi giorni fa da Medici Senza Frontiere, a Kinisia «le persone dormono dentro delle tende e i servizi medici sono largamente insufficienti. Manca l’elettricità, le condizioni igieniche sono pessime e l’accesso all’acqua saltuario. Il solo fatto di essere in stato di fermo prolungato per essere entrati irregolarmente nel territorio italiano ha forti ripercussioni sulla salute mentale delle persone».
E sulla libertà e la dignità di tutte e tutti, aggiungiamo noi. Continua a leggere
Caritas/caserma: arrivi in ritardo? Ti trasferisco!
Parma. Trasferiti per punizione dalla struttura di accoglienza gestita dalla Caritas a Parma ad una comunità in provincia. Due ragazzi tunisini con il permesso di soggiorno temporaneo, tra i pochi a cui le strutture di Parma hanno dato una forma di “accoglienza”, che vivevano nella struttura di piazza Duomo si sono visti chiudere la porta in faccia dai gestori per due volte, per un ritardo nel ritorno serale. Tutti i sette compagni tunisini si sono rifiutati di entrare in casa ed hanno deciso di passare la notte al Parco Ducale.
Poi, dopo l’intervento del consolato tunisino, sono stati trasferiti a Martorano presso la comunità Betania. Un luogo isolato dove non potranno più frequentare il corso di italiano e mantenere rapporti con altre persone.
La loro colpa? Essere rientrati con venti minuti di ritardo sull’orario previsto. I responsabili della Caritas hanno parlato di “episodi di indisciplina”, e, con la superiorità tipica del buonismo cattolico (come i preti al seguito dei conquistadores) hanno dichiarato: “noi abbiamo accolto questi ragazzi, li abbiamo vestiti, gli stiamo insegnando l’italiano: guardate come sono puliti e ordinati, ecco è solo merito nostro”.
Nelle ultime settimane abbiamo conosciuto diversi ragazzi tunisini con il permesso di soggiorno temporaneo che non hanno trovato nessuna accoglienza a Parma, vivono in strada: per loro le porte sono tutte chiuse. Fino ad ottobre hanno il permesso temporaneo e, poi, se non troveranno un lavoro, diventeranno “clandestini”, gli verrà tolto anche il diritto ad esistere e potranno essere chiusi in un Cie e deportati.
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Riparte la lotta contro la sanatoria truffa
Dopo la circolare del Ministero dell’Interno che, dopo aver illuso chi aveva avuto un diniego per “doppia espulsione”, in molte città sta riprendendo vigore la lotta contro la sanatoria truffa. Una lotta che, oltre agli esclusi dalla circolare Manganelli, coinvolge i lavoratori immigrati truffati dai propri datori di lavoro per i quali l’uscita dalla clandestinità è comunque preclusa.
Il 25 giugno in numerose località si svolgerà una giornata di iniziative. Leggi qui l’appello.
A rendere ancora più rovente il fronte dell’immigrazione, il decreto governativo del 16 giugno che prolunga a 18 mesi la possibilità di reclusione nei CIE.
L’estate degli antirazzisti è appena cominciata.
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Palazzo S. Gervasio. Muri, ciabatte, rivolte e censura
Palazzo S. Gervasio. Qui, in provincia di Potenza sorge una delle tante tendopoli/CIE messe su in fretta e furia da Maroni, quando è stato chiaro che l’Unione Europea non aveva alcuna intenzione di farsi carico delle migliaia di profughi e migranti stipati a Lampedusa.
Nato il primo aprile come centro di accoglienza è stato trasformato in CIE “temporaneo” con un decreto del consiglio dei ministri del 21 aprile. Stessa sorte della tendopoli di Kinisia in provincia di Trapani e dell’ex caserma Andolfato, chiusa dopo l’incendio dell’8 giugno.
Qui cose banali come visite di avvocati, giornalisti o amici sono un miraggio.
Raffaella Cosentino nel suo reportage su questo blocco di cemento a filo spinato al confine tra Basilicata a Puglia scrive “Isolati nelle campagne lucane al confine con la Puglia, i giovani della rivoluzione dei gelsomini vedono svanire in un incubo il sogno dell’Europa. “Ammar 404” era il nome dato alla censura del dittatore Ben Alì dagli internauti tunisini. 1305 è il numero della circolare interna del Viminale che instaura la censura sui centri per migranti in Italia a partire dal primo aprile, vietandone di fatto l’accesso ai giornalisti ‘fino a nuova disposizione’. In questo momento è più facile entrare in un carcere di massima sicurezza che in una tendopoli.”
Secondo la Questura tutto va bene e i ragazzi tunisini chiusi dietro al filo spinato vivono nel migliore dei mondi possibili.
Dopo due mesi la giornalista di Repubblica è riuscita ad ottenere dalla Prefettura di Potenza il permesso di parlare ai reclusi dietro le spesse maglie metalliche della prima recinzione. Il articolo, arricchito da un video fatto filtrare dai reclusi racconta un storia diversa.
Qui nessuno ha più le scarpe: gliele hanno sequestrate per impedire loro di imitare la trentina di ragazzi che si sono arrampicati, hanno saltato la recinzione, guadagnandosi la strada per proseguire il viaggio.
Quelli di Connecting People, che hanno preso in gestione la struttura senza alcuna gara di appalto, non forniscono neppure i moduli per la richiesta di asilo.
Per loro l’unico problema dei reclusi è la mancanza di peperoncino nel cibo.
Il video passato alla giornalista di Repubblica mostra una rivolta e un tentativo di fuga di massa: ci sono immigrati feriti e agenti in tenuta antisommossa.
Checché ne dicano secondini prezzolati di Connecting People, l’unica fame vera è quella di libertà.
Guarda il video sul sito di Repubblica.
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Torino. Inganni e deportazioni
Giovedì 9 giugno. La questura da appuntamento a tutti in corso Verona per la consegna del permesso di soggiorno. Ma è solo un trucco. Cinquanta egiziani vengono sequestrati, portati nella sede centrale di via Grattoni dove viene comunicata loro l’espulsione.
Fuori dalla questura si raduna un piccolo presidio di parenti e antirazzisti, che sperano si possa ancora impedire la deportazione. La risposta della polizia è rapida e brutale: carica con tanto di lacrimogeni.
Gli egiziani, caricati a forza sui pullman vengono portati all’aeroporto di Caselle dove in serata è già pronto un volo speciale della Mistral Air, la compagnia che ha l’appalto dal Ministero per questo genere di operazioni.
Il governo, in difficoltà con il proprio stesso elettorato, dopo il risultati delle consultazioni amministrative, reagisce con la consueta combinazione di stupidità e ferocia.
Purtroppo la solidarietà concreta contro le espulsioni è ancora pratica di una piccola minoranza. A noi tutti l’impegno a farla crescere.
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Rivolta e incendio al CIE di Santa Maria Capua Vetere
Giovedì 9 giugno. Nella notte tra martedì 7 e mercoledì 9 è scoppiata una rivolta nel nuovo CIE/tendopoli nell’ex caserma Andolfato. La scintilla le botte e gli sfottò verso un giovane immigrato che chiedeva di poter tornare a casa per il funerali del fratello.
La risposta della polizia è stata durissima: cariche, botte e lancio di lacrimogeni.
I lacrimogeni avrebbero innescato un incendio, che ha distrutto buona parte delle tende del CIE.
Completamente diversa la versione della polizia che accusa gli immigrati di aver incendiato le tende per coprire un tentativo di fuga.
Secondo il Corriere del Mezzogiorno la procura ha messo sotto sequestro il CIE e i 98 immigrati tunisini – venti dei quali malconci dopo gli scontri e l’incendio – sono stati trasferiti.
Repubblica riferisce che gli immigrati sarebbero stati prelevati nella notte e trasferiti in altre strutture dell’Italia meridionale. Secondo gli avvocati che hanno seguito per l’intera nottata la vicenda una trentina di loro dovrebbero ottenere il permesso, altrettanti hanno qualche possibilità, mentre per gli altri sarebbe certa l’espulsione.
Un fatto è certo. C’è un CIE di meno.
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Picchetto e sciopero alla Ceva Logistica
La lotta dei lavoratori delle cooperative della logistica si estende e si radicalizza. Questa volta siamo a Cortemaggiore in provincia di Piacenza. In ballo c’è il meccanismo perverso delle coop/caporali, ossia le cooperative che nascono – e muoiono – al solo scopo di garantire alle aziende lavoratori usa e getta, senza pastoie normative, senza tutele.
Sono le cinque mezza del mattino del 24 maggio. Ci sono una trentina di persone, tra operai ed attivisti del coordinamento di sostegno alla lotta delle cooperative. Sono ormai tre anni che va avanti la lotta contro la schiavitù legale. Gli operai della Ceva di Cortemaggiore sono stati contagiati dalla lotta vittoriosa di un anno e mezzo fa alla FIEGE Borruso di Brembio.
Il presidio si trasforma subito in picchetto con blocco delle merci in entrata: la maggior parte dei lavoratori partecipa allo sciopero. Sul tappeto il salario ridotto di fatto di ben 250 euro al mese per l’azzeramento degli scatti di anzianità, per gli straordinari (sotto)pagati in nero, per i mancati passaggi di livello. Ducis in fundo il mancato indennizzo mensa.
Qui come altrove, al di là delle richieste economiche c’è la sete di dignità di lavoratori per il 99% immigrati.
La trama dello sfruttamento è sempre la stessa: quelli della Ceva dipendono dalla Asso srl, che fa parte del consorzio CAL, lo stesso che impiega i suoi operai alla Bennet di Origgio e Turate.
Il 24 maggio l’effetto sorpresa è determinante: i camion cominciano ad ammucchiarsi all’ingresso dei cancelli picchettati. i caporali vanno in affanno, i potenziali crumiri non osano affrontare il picchetto, la produzione si blocca, il danno si accumula.
Dopo un paio d’ore arrivano tre macchine e un cellulare dei carabinieri che, provano – senza troppa convinzione – a dissuadere gli operai dal continuare il picchetto. Al rifiuto dei presidianti entrano nell’azienda a far finta di cercare lavoratori in nero regolarmente utilizzati dalla cooperativa per far fronte ai picchi di lavoro di fine mese.
Arriverà più tardi il responsabile della CAL (tal Chiari, già conosciuto ad Origgio tre anni fa) che si dichiara disponibile ad accogliere le richieste degli operai fissando un incontro, minacciando velatamente la chiusura dell’impianto per la “crisi”.
La lotta prosegue.
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Sanatoria truffa. Nuova provocazione del governo.
Della lunga, tormentata e per tanti versi paradossale vicenda della “sanatoria truffa” ci siamo occupati più volte. Con la sentenza della corte di giustizia europea contro il reato di inottemperanza all’ordine di allontamento dall’Italia pareva che, quantomeno per coloro che si erano visti rifiutare la sanatoria a causa dei due o più ordini di espulsione accumulati, la vicenda si fosse conclusa positivamente. Pochi giorni fa, una circolare del Ministero dell’Interno rivolta alla prefetture dava l’indicazione di riaprire subito tutti i procedimenti rimasti sospesi per evitare – come stava succedendo – che lo stato dovesse pagare anche le spese processuali dei legali che assistono gli immigrati vittime di questa truffa. Invece: colpo di scena!
Due giorni fa una nuova circolare del Ministero sospende la precedente invitando le Prefetture a considerare temporaneamente sospese le indicazioni precedenti “in relazione alla necessità di effettuare ulteriori e più approfondite valutazioni sull’argomento, per corrispondere compiutamente ai numerosi quesiti interpretativi relativi alla richiamata circolare. Si fa riserva di fornire, a breve, definitivi chiarimenti.”
Qualsiasi sia la motivazione di questo dietro-front, stato confusionale o deliberata scelta politica, si tratta di una provocazione che dimostra la mancanza di rispetto e il disprezzo nei confronti della vita, delle aspirazioni e delle sofferenze di decine di migliaia di migranti.
Ascolta l’intervento dell’avvocato Manlio Vicini, legale dell’Associazione Diritti per Tutti.
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Massa. In lotta contro la sanatoria truffa
Nell’ultimo anno si sono moltiplicate le inziative contro la sanatoria-truffa a Massa. Cortei e presidi hanno dato nei mesi visibilità alla lotta dei senza carte. Il Primo Maggio gli immigrati hanno occupato il Duomo: dopo qualche giorno, terminata l’occupazione, è … Continua a leggere
Sfruttamento in salsa emiliana. La lotta dei lavoratori GFE
Vi abbiamo già parlato dei lavoratori della GFE, in lotta per il lavoro e il salario. Vi proponiamo un lungo articolo in cui si ricostruisce la loro vicenda, una vicenda che mostra tutta la sottile ipocrisia del sistema di sfruttamento feroce, che è il tratto distintivo della cooperazione.
In fondo trovate anche un numero di conto corrente per sostenere questi 185 lavoratori in lotta dallo scorso dicembre. La cassa integrazione arriva solo ogni tanto e molti fanno fatica ad andare avanti. I soldi raccolti sinora hanno permesso a molte famiglie di resistere alle pressioni di chi vorrebbe piegarne la resistenza.
Dal novembre del 2010 180 operai della cooperativa GFE di Campegine (RE) sono in lotta per il mantenimento del posto e per il miglioramento delle condizioni di lavoro.
La GFE è una delle tante cooperative emiliane che sono cooperative solo di nome: dietro il paravento della cooperazione si nasconde una realtà di miseria, sfruttamento, mancata applicazione dei contratti nazionali, ricatti, salari bassissimi. Il nome “cooperativa” serve solo ad ottenere sgravi fiscali a tutto vantaggio delle dirigenze e ad entrare nel circuito delle associazioni come Legacoop o Confcooperative.
Questa cooperativa ha come unico cliente la Snatt, azienda facente parte del gruppo Fagioli, fornitore di piattaforme logistiche e trasporti eccezionali. In pratica i lavoratori della GFE, tutti immigrati indiani e pakistani lavorano esclusivamente per la Snatt, prendono ordini da caporeparto della Snatt ma permettono alla Snatt di spendere molto meno e alla dirigenza della cooperativa di lucrare ampliamente. I salari oscillano tra i 3,50 e i 5 euro all’ora: dipendenti diretti costerebbero molto di più.
Ripercorriamo insieme le principali fasi di una protesta che sta diventando un caso politico difficilmente gestibile nella pacificata provincia reggiana.
La vicenda comincia nel luglio dello scorso anno con uno sciopero per l’applicazione del contratto nazionale del settore trasporti. Si apriva una vertenza con sviluppi impetuosi: a dicembre 2010 la Snatt recide il contratto con la GFE, perchè i costi, con l’applicazione del contratto nazionale diventano troppo alti. Gli operai vengono informati via sms, la GFE viene sciolta e vengono create due nuove cooperative, Emilux e Locos Job, in cui confluiscono i soci che accettano un contratto con meno garanzie.
Dietro l’operazione, non c’è bisogno di dirlo, erano i soliti noti: l’ex presidente della GFE e alcuni suoi stretti collaboratori e la dirigenza della Snatt.
I lavoratori non ci stanno, si ribellano. A dicembre parte un presidio permanente dei lavoratori della cooperativa davanti ai cancelli della Snatt. Sono sostenuti da una parte della CGIL e da settori del movimento reggiano.
Il sindacato chiede al tribunale l’applicazione della procedura d’urgenza per il reintegro dei lavoratori nell’azienda: a in marzo il tribunale la respinge. I tempi per una procedura ordinaria, sarebbero stati di anni, inaccettabili per i lavoratori, che si trovavano senza lavoro e senza reddito, poiché la cassa integrazione viene erogata a sprazzi.
Le istituzioni politiche reggiane, comuni e Provincia, continuano a far finta di nulla: d’altra parte i lavoratori immigrati non votano e non val la pena sostenerli.
In aprile la situazione per gli operai in lotta è disperata: stremati dalla mancanza di entrate economiche, diverse famiglie rischiano lo sfratto o il taglio delle utenze di base, la procedura d’urgenza bloccata, cassa integrazione che non arriva, scarse possibilità di vincere la lotta dato l’immobilismo della CGIL.
In questo clima matura la decisione estrema di proclamare uno sciopero della fame e della sete ad oltranza. Lo sciopero viene proclamato senza avvertire prima il sindacato e questo è indicativo della fiducia che i lavoratori ripongono nella CGIL.
La classe politica locale si sveglia improvvisamente: il sindaco di Campegine si presenta al presidio assicurando che farà il possibile per riavviare le trattative e pigliandosi gli insulti dei lavoratori. Nei giorni successivi diversi lavoratori vengono ricoverati a causa di malori dovuti alla disidratazione. Venerdì 22 aprile c’è un incontro presso la provincia di Reggio Emilia: il Comitato No Pacchetto Sicurezza indice un presidio di solidarietà con i lavoratori.
Ed ecco il colpo di scena: la Snatt e le due cooperative cedono accettando di assumere, in diversi spezzoni, i 180 lavoratori rimasti esclusi, applicando il contratto nazionale. Nel frattempo la Regione si fa carico di pagare la cassa integrazione arretrata.
Dei padroni bisogna sempre diffidare: gli accordi, per quanto scritti, firmati e controfirmati, non vengono rispettati: le cooperative e la Snatt nicchiano, la Regione non paga la cassa. La Snatt prepara un documento in cui si sostiene che l’azienda ha agito correttamente: tra pressioni e ricatti lo firmano più di 400 operai delle cooperative che ci lavorano. Il documento viene depositato in tribunale e come “prova” per la causa civile. Dato che il tribunale deve valutare la pertinenza del documento per metterlo agli atti, l’udienza viene rinviata dal 5 al 23 giugno.
La cassa integrazione di gennaio e febbraio arriva solo il 5 maggio, guarda caso in coincidenza del nuovo incontro in Provincia tra le parti. In questo incontro, seguito da vicino da un folto presidio di lavoratori e solidali, le carte vengono sparigliate del tutto: niente assunzione nelle cooperative già esistenti ma formazione di una nuova cooperativa composta dai 185 lavoratori in lotta, cui la Snatt si impegna a fornire lavoro per un tot di anni. Neanche a dirlo, una proposta indecente: niente impedirebbe alla Snatt di non rinnovare il contratto alla scadenza o di cambiare ragione sociale tra qualche mese invalidando gli accordi.
La proposta viene respinta dai rappresentanti degli operai e la lotta va avanti.
Nel frattempo le varie reti di solidali raccolgono fondi e generi di necessità che vengono mano a mano consegnati ai lavoratori.conto corrente IBAN: IT94O0538712802000001988307 intestato a “Flavia Prodi referente sottoscrizione pro lavoratori GFE”
Questa vicenda mostra quanto il tanto decantato “modello emiliano”, basato sulle cooperative, sia oramai marcio. L’universo cooperativo è parte integrante e preponderante del sistema di potere politico ed economico della regione, tenendo in mano diversi settori fondamentali: buona parte dell’edilizia, la grande distribuzione, i servizi alla persona, parte del sistema creditizio-assicurativo, servizi logistici e lavoro interinale. È un sistema che della cooperazione delle origini ha conservato ben poco e dove i soci lavoratori non hanno peso nelle decisioni, affidate a gruppi ristretti di potere, spesso trasversali alle diverse coop. Un sistema funzionale alle logiche di profitto e sfruttamento con tanto di regime fiscale favorevole. Il PD lo presenta come sistema alternativo alla barbarie dell’impresa privata ma è in realtà identico. Cambia solo il nome.
La lotta degli operai della GFE continua, nel silenzio assordante delle istituzioni locali che amano riempirsi la bocca di parole quali “solidarietà” e “partecipazione” ma nei fatti dimostrano di essere vili profittatori. Gli immigrati non sono appetibili per i vari politicanti perché non sono cooptabili dentro il sistema democratico-clientelare delle elezioni. Mentre è facile banchettare su lavoratori sempre sotto ricatto, perché per loro il diritto legale al soggiorno dipende dal lavoro.
Chiunque voglia dare un contributo solidale alla lotta: Continua a leggere
Rompere le gabbie cancellare le frontiere
Parma 14 e 15 maggio 2011
Rompere le gabbie cancellare le frontiere
Incontro su immigrazione, lavoro, CIE
Se un giorno, qualcuno mi chiederà dov’ero quando imprigionavano e deportavano la gente, quando le ronde imperversavano per le strade, quando uomini e donne morivano in mare e nei cantieri, quando il filo spinato divideva i sommersi dai salvati, quando i caporali avevano i loro schiavi, vorrei poter rispondere che ero lì, con gli altri, a passare il deserto.
Se non ora quando? Se non io, chi per me?
A Parma il 14 e 15 maggio vogliamo ripercorrere la rotta degli schiavi, il loro cammino attraverso il deserto, i mercanti d’uomini, il lavoro nero, i caporali, i CIE, la deportazione.
Vogliamo altresì mettere a confronto esperienze, idee e proposte di chi, giorno dopo giorno, lotta contro il razzismo di stato e la guerra ai poveri.
Nell’auspicio che si possano tessere reti sempre più solide.
Sabato 14 aprile
ore 12,30 aperipranzo
ore 13,30/14 presentazione
ore 14,30
I nuovi schiavi. Lavoro migrante tra ricatti, violenze e lotte. Interviene Marco Rovelli
Tra trucchi e inganni, la corsa ad ostacoli per ottenere le “carte”. A proposito di flussi, sanatoria truffa, permesso a punti. Interventi di Simone Ruini e Katia Torri
Il diritto ineguale. Clandestinità, CIE, profughi, rimpatri. Intervengono Eugenio Losco e Mauro Straini
I sommersi ed i salvati nel grande gioco dei potenti. Interviene Stefano Capello
La lotta alla GFE. Voci da una lotta esemplare
Domenica 15 aprile
ore 9,30
Rompere le gabbie cancellare le frontiere. Tavola rotonda sulle prigioni per immigrati: da Torino a Gradisca, da Milano alla Sicilia, dalla Sardegna alla Gran Bretagna. Interventi di Maria Matteo, Alberto La Via, Raffaele Viezzi, Claudio Alberto, Claudia Lauvergnac, Antonio D’Errico, Roberto Bonadio.
Pranzo
ore 14
Assemblea antirazzista. Idee, proposte, iniziative.
Il coordinamento antirazzista della FAI
fai-antiracism@libero.it
faiantirazzisti@autistici.org
http://senzafrontiere.noblogs.org/
Info:
L’incontro si terrà presso il Circolo arci Matonge, via Burla 130.
Autobus numero 7, direzione carcere…
Valentina: 333 8277726; Christian: 349 5784324
Niente galera per i clandestini: la corte europea boccia l’Italia
Giovedì 28 aprile. Con la sentenza di oggi nella causa C-61/11 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dichiarato che il cosiddetto reato di clandestinità previsto dall’art. 14, c.5 ter, D.Lgs. 286/98, T.U. Immigrazione, è in contrasto con la normativa comunitaria e va disapplicato da tutti i giudici italiani.
La norma era stata introdotta da uno dei pacchetti sicurezza (in particolare dalla legge 15.7.09 n. 94) del governo Berlusconi e fortissimamente voluto dalla Lega. La norma prevedeva il carcere da 1 a 4 anni per il migrante privo di permesso di soggiorno che si fosse trattenuto sul territorio italiano dopo l’espulsione e l’ordine di allontanarsi dall’Italia del questore: insomma il carcere per una semplice violazione amministrativa.
L’Unione Europea ha però emanato il 16 dicembre 2008 la Direttiva 2008/115/CE che prevede le norme e le procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare. Tra queste norme e procedure vi è certo il trattenimento presso un centro di identificazione, che deve avere comunque la durata più breve possibile, ma non può esservi il carcere: secondo la Corte di Giustizia, infatti, la detenzione non può ovviare al fallimento delle misure amministrative espulsive, non può costituirne un sostitutivo.
La Direttiva rimpatri è entrata in vigore il 24 dicembre 2010. Il governo italiano si è tuttavia ben guardato dall’adeguare la normativa italiana a quella europea. Oggi la sentenza della Corte di Giustizia europea che dichiara illegittimo il reato di clandestinità. Un epilogo in qualche modo scontato: da fine dicembre i giudici italiani non hanno condannato nessun immigrato per “clandestinità”.
In base alla Direttiva rimpatri la stessa reclusione nei CIE dovrebbe essere l’estrema ratio, quando altre strategie hanno fallito.
L’intera politica italiana verso l’immigrazione “irregolare” entra in crisi. In gennaio Maroni, consapevole della scure europea che incombeva sull’Italia, annunciò una revisione della legge Bossi-Fini. Ma non fu che un annuncio. L’intera compagine governativa e, in modo particolare, la Lega, sono in crescente difficoltà di fronte al fiasco delle politiche repressive verso l’immigrazione.
Tra rivolte in nordafrica, guerra in Libia, “incomprensioni” con la Francia, Maroni e la sua banda sono sempre più nei guai. Continua a leggere
Reggio Emilia. Lavoratori della GFE in lotta
Duecento lavoratori immigrati della GFE sono in sciopero della fame e della sete. Ancora una lotta contro il nefasto sistema di appalti alle cooperative. Questa volta è toccato a quasi 500 lavoratori della cooperativa di facchinaggio GFE essere vittime di questi ingranaggi. Ecco un sunto della vicenda in un comunicato di solidarietà del Comitato Nopacchettosicurezza di Reggio Emilia:
“La questione ha preso forma nel luglio scorso quando, dopo la firma dell’accordo sindacale che prevedeva l’applicazione del contratto nazionale in GFE, l’impresa Snatt, presso cui lavoravano, aveva manifestato la volontà di rescindere il contratto di appalto con la cooperativa GFE in favore di altri subappaltatori, lamentando un aumento dei costi non sostenibile.
I lavoratori sono stati informati del licenziamento dalla cooperativa tramite un sms che comunicava: “Informiamo tutti i soci GFE che non siamo più fornitori di Snatt…”
Scoprendo poi che Snatt aveva riassegnato l’appalto ex GFE a due nuove cooperative nate in concomitanza con la chiusura di GFE stessa: Emilux e Locos Job, in cui infatti sono confluiti parte dei 500 soci lavoratori di GFE che hanno accettato minori tutele contrattuali. Circa 200 lavoratori si sono opposti a questo trasferimento rimanendo senza lavoro; da allora hanno lottato con manifestazioni e presidi, fino ad arrivare a questi giorni e alla proclamazione dello sciopero della fame e della sete.
Questa estrema forma di lotta è la conseguenza dell’ennesimo rinvio dal tribunale a cui si erano rivolti per riottenere il lavoro e i diritti che spettano loro, e della condizione economica che le loro famiglie stanno vivendo a causa dei licenziamenti e dal mantenimento del presidio permanente dal novembre 2010.”
Parma. I tunisini di Lampedusa? In periferia, o meglio, fuori città
15 aprile 2011. In arrivo anche a Parma alcuni dei migranti sbarcati a Lampedusa. Non si sa quante persone dovrebbero arrivare e, ovviamente, parliamo degli arrivi “ufficiali” ovvero dei vari trasferimenti forzati di uomini e donne spostati come pacchi, cui viene impedito di proseguire verso la meta che si erano prefissati. Non sappiamo neppure quale sarà il loro status e le condizioni di “soggiorno”: permesso temporaneo? Detenzione amministrativa nei CIE? Deportazione?).
Si ignora anche quali saranno le regole dell’accoglienza, se quelle del CARA., dove si dovrebbe essere liberi, ma non tanto liberi da poter decidere di andarsene o quelle del CIE.
Sappiamo però che due dei quattro dormitori cittadini chiusi, come ogni anno, per la fine dell’inverno verranno riaperti per “l’emergenza”: le due strutture contano, in tutto, circa cinquanta posti letto e sono attrezzate solo per la notte: in condizioni normali restano chiuse agli ospiti dalle 8 alle 20. Viene spontaneo chiedersi quali saranno le condizioni di vita, se verrà imposta la permanenza diurna.
Tutto ciò si somma alla mancanza di risposte del comune a quanti, in numero sempre crescente, chiedono un’alternativa alla strada – anche solo una sistemazione temporanea per chi è rimasto senza casa. L’unica certezza è la politica di “tolleranza zero” verso le occupazioni inaugurata dal questore entrato in carica il 7 febbraio.
Aggiornamento al 18 marzo. Sabato mattina ci sono stati i primi arrivi “ufficiali”: dieci migranti tunisini muniti di permesso temporaneo: oggi è toccato ad altre cinque persone, destinate ad un semisconosciuto centro d’accoglienza di una minuscola frazione, in ossequio alla forte richiesta dell’amministrazione comunale che i tunisini venissero ospitati in strutture sparse sul territorio e fuori della città. In continuità, inutile a dirlo, con la politica di riqualificazione/sicurezza/esclusione sociale sempre più forte negli ultimi anni.
Il dormitorio “Cornocchio”, inizialmente scelto per l’ospitalità, è stato messo da parte il giorno stesso dell’arrivo. Con ogni probabilità questa struttura, che è in periferia, ma pur sempre in città, non piaceva ad un’amministrazione che vorrebbe tenere lontani dalla vista gli immigrati.
Si sa invece ben poco della sistemazione offerta dalla cooperativa Parma Program, che ha in appalto la struttura di Martorano, dove sono stati portati i cinque minori arrivati la scorsa settimana.
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Il gioco delle tre carte di Maroni
Da settimane il governo italiano – in prima fila il ministro dell’Interno Roberto Maroni – sta ballando tra Tunisi, Parigi e Berlino.
Alti funzionari dell’ENI viaggiano per la Cirenaica scossa dalla guerra per convincere il Governo di transizione a mantenere i contratti firmati da Gheddafi. Nel frattempo dalla Libia partono barconi pieni di profughi dal corno d’Africa. I primi dopo lo stop imposto dal trattato di amicizia italo-libica. Chi non ce la fa chiude la sua vita nella grande bara azzurra del Mediterraneo.
Maroni, Berlusconi e Frattini hanno provato senza troppo successo a comprarsi il governo tunisino. Dopo aver annunciato in pompa magna che Tunisi si riprendeva in blocco i 22.000 ragazzi sbarcati negli ultimi mesi in cambio di soldi e armi, il governo italiano è stato smentito da Essebsi. Sono seguite trattative convulse. Tunisi, dopo aver incassato i permessi temporanei per chi era già in Italia, non sta mantenendo l’impegno di fermare nuove partenze.
Nel frattempo è arrivato il no dell’Unione Europea alla libera circolazione dei tunisini provenienti dall’Italia.
La premiata ditta gabbie, respingimenti e deportazioni sta facendo acqua da tutte le parti. Maroni prova a fare il gioco delle tra carte tra Roma, Tunisi e Parigi. E perde.
Vi proponiamo le principali tappe di questa vicenda nella ricostruzione di TAZ laboratorio di comunicazione libertaria
“Il mare ne ha inghiottiti duecentocinquanta. Quella che si è consumata il 6 aprile è stata una delle peggiori tragedie – se mai fosse possibile stilare una classifica dell’orrore – tra quelle conosciute nel Canale di Sicilia. Il mare era agitatissimo, la presenza del barcone viene segnalata in acque maltesi, ma le autorità della Valletta non intervengono perché «impossibilitate». I soccorsi partono dunque dall’Italia: tre motovedette, un aereo e un elicottero. C’è anche il peschereccio mazarese “Cartagine” che riesce a recuperare tre persone. Il mare forza 6 e una falla nel barcone rendono tutto complicatissimo. Gli immigrati cadono in acqua, donne e bambini compresi, proprio durante i tentativi di trasbordo. Se ne salveranno solo quarantotto, per la maggior parte eritrei e somali.
Nel frattempo, la politica ha messo in scena le sue miserie. È entrato in vigore lo speciale decreto del presidente del consiglio con il quale viene riconosciuto a tutti gli immigrati tunisini presenti in Italia da gennaio uno speciale permesso di soggiorno della durata di tre mesi, concepito per garantire la libera circolazione all’interno dell’area di Schengen. Il provvedimento è stato varato partendo dal presupposto che la stragrande maggioranza dei tunisini approdati nelle ultime settimane a Lampedusa ha manifestato apertamente la volontà di andare in Francia o in Germania considerando l’Italia una testa di ponte. E proprio da Francia e Germania è arrivata la doccia fredda. Parigi ha dapprima contestato la legittimità dei permessi di soggiorno concessi dall’Italia, e poi è stata diramata una direttiva a tutte le prefetture d’Oltralpe che stabilisce requisiti molto rigidi per consentire l’apertura delle proprie frontiere ai tunisini. Stessa indisponibilità da parte della Germania, mentre la stessa Unione Europea – per mezzo di Cecilia Malmstrom, titolare del portafoglio interni della Commissione europea – ha chiarito che i permessi temporanei italiani non possono garantire la libertà di circolazione nell’area Schengen perché i tunisini sono migranti economici, e quindi sempre passibili di espulsione.
Non si pensi che, in tutto questo, il governo italiano sia formato da uomini giusti ma incompresi. L’accordo italo-tunisino voluto da Maroni prevede, infatti, che gli immigrati che arrivano in Italia da questo momento in poi vengano rimpatriati subito con procedure semplificate. Ovvero, deportazioni sbrigative dall’aeroporto di Lampedusa. In cambio, l’Italia donerà alle forze dell’ordine di Tunisi sei motovedette, quattro pattugliatori e un centinaio di fuoristrada per controllare meglio le coste e impedire nuove partenze. Un meccanismo che Maroni ha cinicamente descritto come una “chiusura del rubinetto”. Intanto, Lampedusa è stata evacuata dagli immigrati deportati nelle tendopoli allestite in Italia (specialmente al Sud), ma tutto è durato davvero poco perché gli sbarchi sono ripresi massicciamente.
Dalle tendopoli si riesce a scappare, specialmente a Manduria e Caltanissetta. Più blindata la tendopoli di Kinisia, nelle campagne fra Trapani e Marsala. Cinquecento immigrati vivono in un’area circondata da un doppio perimetro di rete metallica sorvegliato a vista da un agente in tenuta antisommossa ogni dieci metri, seduto su una sedia. Nonostante tutto, dieci immigrati sono riusciti a fuggire, ma solo in sei hanno effettivamente riconquistato la libertà.”
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Lager per immigrati: il modello toscano per “l’emergenza”
Nei primi giorni di questa settimana, con l’arrivo di due traghetti della Grimaldi Lines, sono giunti in toscana circa 500 profughi da Lampedusa. I migranti sono stati suddivisi in una decina di piccole strutture, in 7 diverse province. Inizialmente doveva … Continua a leggere
Gradisca. Nuova gestione per CIE e CARA
Il Cie e il Cara di Gradisca cambieranno gestione per la terza volta. Dopo la cooperativa Minerva e il consorzio Connecting People il lucroso business passa alla transalpina Gepsa – sede a Parigi – in associazione con Cofely Italia e le coop italiane Acuarinto di Agrigento e Synergasia di Roma.
Gepsa e gli altri soci del “consorzio temporaneo d’impresa” messo su per l’occasione dovrebbero entrare in pista il primo maggio.
Le buste delle offerte erano state aperte il 1 febbraio in prefettura a Gorizia. C’era anche un gruppo di antirazzisti che disse la propria agli aspiranti aguzzini.
Le lotte antirazziste in questi lunghi mesi di resistenza migrante si sono intensificate culminando nella giornata di lotta del 12 marzo scorso – a cinque anni dall’apertura del lager – organizzata dai compagni del Coordinamento Libertario Regionale, mentre un nuovo presidio si è tenuto sabato 2 aprile.
Vedremo nei prossimi mesi come se la caveranno nuovi gestori di fronte alla voglia di libertà e rivolta che i reclusi hanno sempre espresso.
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Trieste, immigrati e antirazzisti ancora in piazza
Il Comitato Primo Marzo di Trieste, dopo il presidio del primo marzo e quello del 17, si è presentato ancora una volta in piazza, questa volta sui temi legati al lavoro – che dovunque si traduce in sfruttamento – alle … Continua a leggere