CIE. Cosa bolle nella pentola del governo?
Riportiamo in questa pagina in costante aggiornamento le cronache e le riflessioni delle ultime settimane sul fronte del CIE, per cercare di capire cosa stia davvero bollendo nella pentola del governo, dopo la campagna mediatica che ha ri-messo al centro dell'attenzione i centri per senza carte, le leggi razziste del nostro paese, la difficoltà del governo a fare fronte ad una spesa enorme, tra gestione dei centri, espulsioni, ristrutturazioni continue dei CIE danneggiati o distrutti dalle rivolte.
Siamo convinti che il governo intenda liberarsi della patata bollente, facendo sì che tutto cambi, affinché tutto resti come prima.
Proviamo a vedere come, andando oltre i toni intollerabilmente melensi dei media.
Iniziative contro il CIE di Gradisca in maggio e giugno
A pochi chilometri da noi a Gradisca d’Isonzo dal 2006 esiste un CIE (centro di identificazione ed espulsione). In questa prigione sono reclusi in condizioni durissime decine di cittadini non dell’unione europea per il solo motivo di non possedere (o non possedere più) un permesso di soggiorno valido. Divieto di leggere, di comunicare con l’esterno, psicofarmaci, privazioni e soprusi di ogni tipo sono pane quotidiano e provocano tra l’altro continui episodi di autolesionismo. Riteniamo importante far conoscere l’esistenza di questi luoghi e le logiche che li governano, promuovendo iniziative di informazione e denuncia. Invitiamo tutti e tutte a partecipare e a contribuire in modo attivo alle iniziative che si terranno nei prossimi giorni: Trieste, sabato 18 maggio dalle 17 in via delle Torri (dietro la chiesa di s.antonio) Pordenone, sabato 18 maggio dalle 17 in p.tta Cavour Udine, sabato 24 maggio al nuovo spazio sociale in viale Osoppo Le iniziative vogliono anche promuovere la partecipazione al presidio regionale che ci sarà sabato 1 giugno nel pomeriggio di fronte al CIE di Gradisca indetto dal Coordinamento regionale contro i CIE.Sabato 20 aprile – Il CIE tra la movida di Torino
ore 19,30 aperibenefit antirazzisti sotto processo ore 20,30 assemblea sui CIE con testimonianze ore 22 presidio antirazzista itinerante per portare il CIE in mezzo alla città. Appuntamento alle 19,30 in largo Saluzzo "Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!" Questo striscione è apparso lo scorso mese davanti alla villa di Antonio Baldacci, responsabile del CIE di Torino. Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto. La mattina dopo Fatih era morto. Non venne eseguita nessuna autopsia. Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito. Due giorni dopo il colonnello e medico Baldacci dichiarerà "gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa". Parole che ricordano quelle degli aguzzini di ogni dove. Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si recò a casa Baldacci per un "cacerolazo". Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni. La protesta di persone indignate per una morte senza senso. Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade. I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell'amministrazione comunale. L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione. L'occupazione simbolica dell'atrio del Museo egizio - 29 giugno 2008 - per ricordare l'operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione - 17 luglio 2008 - dell'assessore all'integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata - 11 luglio 2008 - contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta - 20 marzo 2009 - alla lavanderia "La nuova", che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l'elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti. Nel CIE di Torino negli ultimi due mesi si sono susseguite le lotte e le rivolte. Tutte le sezioni del CIE sono state gravemente danneggiate. In febbraio la polizia ha pestato, gasato gli immigrati in rivolta dopo un fallito tentativo di fuga. Sei sono stati arrestati. Nonostante la repressione le lotte non si sono fermate. Per evitare la deportazione qualcuno si taglia, altri salgono sul tetto. Il CIE è quasi inagibile. In alcune sezioni gli immigrati dormono su materassi gettati in terra. La scorsa settimana tutti i reclusi, ormai solo 47, hanno fatto uno sciopero della fame di due giorni. Per la libertà. Nei CIE le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all'espulsione da lunghi anni sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell'Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi sia un'urgenza che ci riguarda tutti. Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un’aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, continueremo a portare il CIE per le strade di Torino. Antirazzisti contro la repressione Ti ricordi di Fatih?Mercoledì 27 febbraio – processo agli antirazzisti
Mercoledì 27 febbraio prima udienza del processo a 67 antirazzisti torinesi
La Procura mette in scena un processo alle lotte.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese, in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si traducono in scelte politiche scomode.
Se sperano di spaventarci si sbagliano.
In questi anni le iniziative di opposizione al razzismo, alle politiche securitarie, al militarismo allo sfruttamento si sono moltiplicate sul territorio.
L’urgenza politica e morale di allora è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri.
Porteremo il loro processo nelle strade di questa città!Sabato 2 marzo – Portiemo il CIE nel salotto della città! – presidio antirazzista
Il 27 febbraio e cominciato il primo di due processi agli antirazzisti che, tra il maggio del 2008 e il maggio del 2009, attraversarono l'esperienza dell'Assemblea Antirazzista Torinese.
La lotta contro i CIE ha segnato alcuni momenti importanti di quell'anno ed è oggi un fronte sempre più caldo di resistenza al razzismo di Stato nella sua concreta, quotidiana, materialità.
La morte di Fathi, un immigrato tunisino lasciato senza cure nell'allora "nuovo" CPT di Torino, fu il banco di prova di una relazione politica ancora embrionale.
La lotta che ne seguì fece da catalizzatore per quelle che seguirono.
Oggi le protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare della struttura detentiva di corso Brunelleschi, è entrata nel fascicolo del processo.“Il CIE nel salotto della città”
Il 2 marzo con un presidio itinerante per il centro cittadino porteremo quella storia negata e dimanticata in mezzo alla città.
Appuntamento alle 15 in piazza Castello.
Sabato 23 febbraio punto info solidale con gli antirazzisti sotto processo
Sabato 23 febbraio punto info sul processo a 67 antirazzist*
a Porta Palazzo - sotto i portici all'angolo con corso GiulioRompere il silenzio
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Tre anni fa la Procura giocò la carta dell’associazione a delinquere ed arrestò sei antirazzisti. Il teorema non resse in Cassazione ma la Procura voleva comunque mandare alla sbarra l’Assemblea Antirazzista torinese.
Oggi la Procura mette in scena un processo alle lotte. In due atti.
Il primo atto va in scena il 27 febbraioArance amare – mostra itinerante per i mercati di Torino – 26 gennaio 2013
Le arance, i mandarini, le clementine che fanno mostra di se nei mercati di Torino, sono state raccolte da lavoratori stagionali, che vengono pagati 50 cent alla cassetta di arance, 1 euro per cassetta di mandarini. Ogni cassetta pesa una media di 18/20 chili. In una giornata di lavoro la media arriva a 25 euro. In nero, non tutti i giorni ma solo quelli che il caporale ingaggiato dai padroni decide di sceglierti. Se alzi la testa, se reclami per i ritmi o per la paga, puoi anche andartene, perché nessuno ti chiamerà più.
I media ci raccontano di migrazioni epocali, di emergenze continue per giustificare le condizioni di vita indecenti di questi lavoratori. Per loro non ci sono tende o gabinetti funzionanti quando arrivano nella piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi. Di affittare una casa non se ne parla nemmeno: a Rosarno o a San Ferdinando una stanza costa come nel centro di Milano o Roma.
In realtà basterebbero pochi soldi per mettere su strutture decenti, basterebbero liste publiche per tagliare fuori i caporali, basterebbe che chi guadagna, e bene, sul lavoro degli stagionali, ci mettesse qualcosa del suo per garantire loro un letto e una doccia. Invece no. Così le tendopoli scoppiano subito, circondate da baracche fatte di lastre di amianto e teli di plastica, così per i bisogni ci sono buche a cielo aperto.
Quella dell'emergenza è una bufala che ci raccontano perché è più facile immaginare una fame tutta africana, che vedere la realtà. La realtà è fatta di operai del nord che hanno perso il lavoro e vengono a fare la raccolta per rimediare un salario, la realtà è fatta di richiedenti asilo che attendono da oltre due anni la risposta che consentirebbe loro di andare via, di cercarsi un lavoro stabile. La guerra in Libia è finita da due anni, ma i profughi di quella guerra vivono ancora in un limbo apolide.
Se vedessimo la realtà vedremmo che la condizione degli africani di Rosarno è ormai la condizione di tanta parte dei lavoratori italiani. L'unica emergenza è quella quotidiana di uno sfruttamento senza limiti, perché per i padroni non conta il colore delle pelle, ma quello dei soldi.
Le arance che mangiamo sono sempre più amare.Sabato 26 gennaio mostra itinerante e volantinaggio nei mercati delle zone popolari di Torino.
Appuntamento alle 9,30 in corso Palermo 46 - per info: 338 6594361Frontiere d’Europa. 30 nuovi centri di detenzione in Grecia
Grecia. Il ministro della protezione civile M. Chrysohoidis, ha annunciato ieri l'apertura di trenta nuovi centri di detenzione per immigrati in collaborazione con il ministero degli esteri.
Il ministro si è incontrato con i governatori di dieci province greche per verificare la loro disponibilità ad ospitare i centri. Ha anche fornito assicurazione che l'Unione Europea si è impegnata a versare 250 milioni di euro per i prossimi tre anni.
Per ciascuno dei centri sarà istituito un apposito presidio di polizia di almeno 150 agenti oltre a 70 guardie private, ogni 250 immigrati detenuti.
Secondo il piano presentato ogni centro sarà diviso in quattro sezioni, in ciascuna delle quali saranno rinchiusi 250 immigrati. Ognuno dei nuovi lager "ospiterà" 1000 senza carte, per un totale di 30.000 prigionieri.
La Grecia si candida così al ruolo di paese cuscinetto tra i paesi più ricchi dell'Unione e le aree di emigrazione. Un avamposto di frontiera, ben pagato per il servizio reso.-
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Torino. Da 14 giorni in sciopero della fame
Giovedì 16 dicembre. Hassan e Arbil, in sciopero della fame da ormai 14 giorni al CIE di corso Brunelleschi, sono decisi a non mollare. Hassan, visitato ieri all’ospedale “Martini” di via Tofane, è dimagrito di 12 chili ed ha ancora nell’intestino una pila e due bulloni ingoiati nel corso della protesta. Anche Bachir, in sciopero dall’8 dicembre, va avanti.
Si moltiplicano le iniziative di informazione e sostegno alla loro lotta. Una lotta di libertà.
Dopo i presidi di sabato 18, nella mattinata di ieri c’è stato un volantinaggio informativo al “Martini” per sensibilizzare medici e sanitari su quanto avviene al CIE e sulla pratica diffusa di addomesticare i referti medici di chi arriva pesto e sanguinante dai centri.
In prima serata c’è stato un presidio volante di fronte al muro di via Monginevro, quello più vicino alle celle di isolamento, dove sono rinchiusi al freddo Hassan ed Arbil. Grida e slogan di saluto sono state rivolte ai reduci della rivolta del 12 dicembre in via Corelli a Milano.
Prossimo appuntamento sabato 18 dicembre dalle 15 in piazza Castello angolo via Garibaldi. Per raccontare dell’Italia al tempo dei lager, delle lotte nei CIE e del nuovo “pacchetto sicurezza” in discussione in queste ore in parlamento. Continua a leggere
Torino. Antirazzisti in piazza, al CIE e… al banchetto del PDL
Domenica 12 dicembre. Nel pomeriggio appuntamento nella centralissima piazza Castello affollata per le compere natalizie.
Messe in centro alla piazza le transenne che da qualche settimana blindano il palazzo della Regione, più volte assediato dagli studenti in lotta contro la riforma Gelmini, appeso lo striscione “Torino è antirazzista”, è partito un vivace presidio con Samba Band, distribuzione di volantini e interventi per raccontare di Hassan e Arbil. Condannati dal tribunale a meno di due anni per la rivolta del 14 luglio al CIE di Torino, vi hanno fatto ritorno dopo cinque mesi di galera. Sono in sciopero della fame da 11 giorni: chiedono di essere tolti dall’isolamento e di avere una cella riscaldata. Hassan ha ingoiato due bulloni e una pila. Nella notte di venerdì 10 si è sentito male, provato dallo sciopero e forse dall’ingestione di qualche altra porcheria, nella notte è stato condotto all’ospedale. Dopo quella sera il cellulare di Hassan è rimasto spento.
Nel nostro paese il deserto della disinformazione fa capolino dietro la valanga di informazioni che ci investe quotidianamente. Troppi non sanno neppure cosa sia un CIE e perché uomini e donne vi siano rinchiusi. Troppi non sanno che la clandestinità è la condizione “normale” per un immigrato nel nostro paese. Entrarci legalmente significa avere in tasca un contratto di lavoro: voi conoscete qualche padrone disposto ad assumere un operaio a duemila chilometri di distanza, senza averlo mai visto? Troppi non sanno nulla delle rivolte, delle fughe e delle violenze quotidiane che scandiscono la vita di chi è rinchiuso – sino a sei mesi – in uno di questi moderni lager della democrazia. Una signora molto anziana, piccina compita, elegante nel suo cappottino rosso made in China, dice “è sempre la stessa storia, se la prendono con la povera gente”. In una battuta questa donna ha riassunto il senso di una lotta, che, in primis, è lotta perché la “povera gente” smetta di essere tale. Un marocchino alto, allampanato, lo sguardo un po’ febbrile ci dice “ho perso il lavoro, tra poco mi scade il permesso, ho due figli… cosa posso fare?”
Dopo un paio d’ore gli antirazzisti si spostano sull’altro lato della piazza, all’angolo con via Roma, dove c’è un banchetto del PDL. In testa la Samba Band che suona e grida “libertà è cacciarvi di qua!”. Si schiera l’antisommossa e anche una piccola folla di gente che osserva la scena: quelli del PDL danno in escandescenze e gridano un ormai trito “andate a lavorare!”, cui gli antirazzisti rispondono per le rime, ricordando come il lavoro sia sempre più duro, pericoloso, malpagato, senza tutele grazie alle leggi emanate dal governo Berlusconi. Stupiti dello stupore di chi proprio non capisce ci guardano allibiti, quando dal megafono una compagna dice “dopo Berlusconi noi non vogliamo nessun governo, perché la libertà, quella vera, non delega a nessuno il proprio futuro, perché non c’è giustizia sociale se non si mandano via tutti i padroni”. Un applauso spontaneo della folla accompagna il passaggio sulla sanità per i cittadini di serie A, quelli che possono pagare, e la sanità per cittadini di serie B, quelli cui tocca lavorare per pochi euro al mese e le cure non possono proprio pagarsele.
Ma la giornata non finisce lì. Gli antirazzisti si spostano al CIE di corso Brunelleschi. Al ritmo della Samba, si fa il giro per andare all’ingresso principale che, dopo la ristrutturazione di due anni fa, è stato spostato in via Mazzarello. Si fa qualche intervento sperando che riesca ad oltrepassare il muro: dall’altra parte arriva un “grazie!”. Poco prima dell’ingresso si schiera l’antisommossa per bloccare il passaggio, gli antirazzisti li aggirano e si piazzano sull’ampia pensilina spartitraffico di fronte al CIE. Due compagne vanno comunque dall’altra parte per avere notizie dei ragazzi in sciopero della fame, in isolamento al freddo e senza più collegamento con l’esterno.
Esce infine un “responsabile” che rifiuta di dire il suo nome e pontifica su quel giardino delle delizie che si trova al di là del muro. A suo dire Hassan sta bene, al caldo, visitato dai medici.
Il guardiano del lager – rigorosamente celato dietro all’anonimato – canta la sua canzone, peccato che da oltre quel muro, giorno dopo giorno, per anni sia arrivata ben altra musica.
Il messaggio, quello che più conta, l’hanno dato gli antirazzisti: siamo qui, sappiamo quello che succede, avete i nostri occhi addosso.
Nel frattempo al CIE di Torino hanno trasferito una decina di immigrati reduci dalla rivolta che la notte precedente aveva gravemente danneggiato il CIE di via Corelli a Milano. Molti sono messi male perché la polizia è entrata nelle sezioni, pestando a sangue i ribelli. Una mattanza feroce.
Nella mattinata di lunedì 13 dicembre ridanno il cellulare ad Hassan, che è sempre più debole, ma determinato a non mollare la lotta.
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Cie di Gradisca: gli sbirri vogliono anche i cani
Sull’inizio dei lavori di “ristrutturazione” il segreto è totale sia sui tempi, che sulle modalità nonchè sulla gara di appalto. La cosa non sorprende visto che fin dalla sua costruzione la struttura gradiscana è stata coperta da segreto di stato … Continua a leggere
Milano. Tentata fuga e rivolta al CIE
Milano, notte tra l’11 e il 12 dicembre. Hanno provato a scavalcare le recinzioni per riprendersi la libertà. Quando la polizia li ha bloccati hanno dato vita ad una rivolta: smontati i caloriferi li hanno usati come arieti spaccando tutto quello che potevano in due sezioni. Poi è partita la mattanza.
Un gruppetto di solidali si è radunato all’esterno del Centro per monitorare la situazione. Le ambulanze hanno portato via cinque immigrati, tre al S. Raffaele e due al S. Rita. Secondo quanto riferiscono le agenzie gli immigrati sarebbero stati dimessi in nottata. Non si sa se le sezioni danneggiate siano ancora agibili.
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CIE di Torino. Sette giorni di sciopero della fame
Giovedì 9 dicembre. Hassan e l’altro tunisino rinchiusi al freddo in isolamento continuano lo sciopero della fame nel centro di corso Brunelleschi. Un paio di giorni fa Hassan ha ingoiato dei ferri. Per una settimana i due immigrati non erano stati né visitati né curati. Solo oggi sono stati portati all’ospedale, il “Martini” di via Tofane. Il medico che li ha visti – dopo aver parlato con Hassan – ha protestato con i guardiani. Al ritorno al CIE è stato loro promesso che il riscaldamento verrà riparato. La soluzione più semplice, quella di portarli in un reparto “normale” al caldo non è stata nemmeno presa in considerazione. È la vendetta di poliziotti e crocerossini verso chi si è ribellato. Non è bastata la dura condanna subita per la rivolta di luglio, un po’ di tortura non poteva mancare. Per carità niente di che: una tortura sotf, democratica. Il freddo, l’isolamento, l’indifferenza e, quando ci scappa ci scappa, una buona dose di legnate. Continua a leggere
Milano. Una Torre davanti alla Scala
Martedì 7 dicembre. C’erano i lavoratori dello spettacolo, c’erano gli studenti in lotta contro la riforma Gelmini, c’erano anche gli immigrati e gli antirazzisti. E c’era una torre di legno e cartone, simbolo della ciminiera di via Imbonati occupata per 28 giorni da immigrati in lotta contro la sanatoria truffa. Da questa torre gli immigrati hanno raccontato le loro storie di lavoratori/schiavi e della lotta contro un apparato legislativo che picchia duro chi non si inginocchia. Nelle stesse ore, dall’aeroporto di Bologna veniva deportato Abder, uno dei due immigrati rimasti sino allo stremo sulla torre.
La risposta della polizia non si è fatta attendere: una prima carica ha accolto un gruppo di studenti che arrivava in piazza, una seconda prendeva alle spalle i manifestanti che erano già lì. Studenti, lavoratori, immigrati antirazzisti hanno resistito alle cariche: la giornata si è conclusa con un corteo spontaneo sino a S. Babila.
In via Imbonati il presidio degli immigrati continua. Giorno e notte. Continua a leggere
Deportato il ragazzo della torre
7 novembre. La vendetta dello Stato non si è fatta attendere. Abder, il ragazzo marocchino che, insieme all’italoargentino Marcelo, aveva resistito per 28 giorni sulla torre di via Imbonati a Milano, è stato trasferito dal CIE di Modena all’aeroporto di Bologna e da lì deportato in Marocco.
Abder ha una sola colpa: aver lottato per emergere dalla clandestinità, aver lottato contro un sistema che vuole gli immigrati schiavi per legge. Questo governo non fa sconti a nessuno: lo ha dimostrato espellendo in Egitto gli immigrati rastrellati sotto la gru a Brescia e chi, come “Mimmo”, cercava di impedirlo, lo dimostra oggi, presentando un conto salato ad Abder. Bisogna prenderne atto e allargare la rete di solidarietà attiva a chi lotta. È una scommessa che non possiamo permetterci di perdere. Continua a leggere
Torino. Condanne, pestaggi umiliazioni per i ribelli del CIE
Sabato 4 dicembre. Il 2 dicembre sei immigrati tunisini sotto processo per la rivolta dello scorso 14 luglio sono stati condannati dal tribunale di Torino. Accolte dai giudici le richieste del PM di pene comprese tra l’anno e mezzo e i due anni e otto mesi. Ai tre con meno di due anni è stata concessa la sospensione condizionale e sono stati ricondotti al CIE. Messi in isolamento in una sezione senza riscaldamento hanno protestato, chiedendo di essere trasferiti nelle aree comuni. La risposta è stata chiara e secca: un ragazzo è stato pestato e portato non si sa dove. Secondo Hassan, uno dei suoi due compagni, potrebbe essere in infermeria oppure in carcere. Lo stesso Hassan, condotto dal giudice di pace per la convalida, è stato obbligato, unico tra altri cinque, ad una umiliante perquisizione personale. I due tunisini sono ora in sciopero della fame.
Chi volesse protestare per quest’ennesimo sopruso può chiamare il CIE e dire la propria. Questi sono i numeri: 011 5588778 – 011 5588815
Ascolta qui la testimonianza di Hassan ai microfoni di radio Blackout
Questa sera – alle 19 – presidio solidale al CIE di corso Brunelleschi.
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Gradisca. Voci da oltre muro
“Siamo scappati da un paese con una dittatura, siamo trattati peggio che sotto la dittatura: pensavamo di essere in un paese democratico, un paese dove puoi ragionare ma qui non c’è niente di quello che avevamo sentito e saputo.”
Così racconta l’Italia un immigrato chiuso nel CIE di Gradisca.
Ascolta due interviste realizzate da un’attivista della “Tenda per la Pace e i Diritti”: offrono uno spaccato della vita nelle gabbie, un limbo al quale un prigioniero dice di preferire il carcere. Le foto che accompagnano le voci sono state scattate all’interno del CIE. Basta un’occhiata ai tavoli imbullonati a terra, ai graffiti, alle labbra cucite per sapere che questo è un lager, un lager della democrazia.
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Cie di Gradisca: tra scritte, preti e lampioni
Gradisca, 3 dicembre. Non accenna a placarsi il dibattito su quello che succede dentro e fuori le mura del CIE. Dopo i vari casi di autolesionismo dei giorni scorsi, ora è una scritta tracciata sulla facciata del comune di Gradisca a provocare le polemiche. Tutto accade pochi giorno dopo l’inaugurazione – con tanto di benedizione del parroco – dei nuovi lampioni intorno al CIE. Più luce intorno alle gabbie per garantire maggiore “sicurezza”. Per rendere la vita più difficile a chi cerca di riprendersi la libertà. Continua a leggere
Senza pietà. Dalla torre al CIE
Milano, 2 dicembre. 28 giorni in cima ad una torre con l’inverno alle calcagna. Alla fine erano rimasti solo in due, Marcelo ed Abder. Volevano arrivare almeno a sabato, ma non ce l’hanno fatta: una colica renale ha obbligato Abder a scendere, dopo poco è venuto giù anche Marcelo.
Abder aveva in tasca la ricevuta della sanatoria, ma sapeva che la sua domanda era stata respinta: la questura si era premurata di farglielo sapere il giorno prima. Abder è uno dei tanti che aveva sperato nella sanatoria “colf e badanti” per emergere dalla clandestinità: aveva pagato i contributi ma il suo padrone, presi i soldi, non si era mai presentato in questura per la conferma.
Poteva starsene tranquillo, in silenzio, nel limbo di vita sospesa di tutti i senza carte: con un po’ di fortuna non l’avrebbero preso. Ma in quest’autunno di ghiaccio gli immigrati alzano la testa, lottano per la libertà di muoversi, per la dignità, per una vita fuori dal margine in cui è stretta dalle leggi di questo paese.
La vendetta dello Stato non si è fatta attendere. Dopo un breve ricovero al Niguarda, Abder è stato preso in fretta e furia e portato di filato al CIE di via Corelli. I compagni hanno provato inutilmente a mettersi in mezzo.
Un corteo spontaneo è partito dal presidio sotto la torre verso la questura di via Fatebenefratelli. Ma per Abder è ormai tardi: quando lo rintracciano al telefono è già oltre il muro. Il presidio davanti alla questura, dopo lunghi momenti di tensione, si scioglie. Marcelo, essendo italo-argentino, ha la doppia nazionalità e può andarsene a casa.
A Milano, come già a Brescia, il governo non fa sconti. Hanno paura, paura che la lotta contro la sanatoria truffa si estenda, paura che nei campi del meridione, nei magazzini del nord, nei cantieri delle grandi opere, nelle fabbriche e nei mercati generali, qualcuno alzi lo sguardo verso una gru, verso una torre e si faccia coraggio. È andata male. A noi tutti il compito di rendere più solide le reti di sostegno intorno a chi lotta.
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Gheddafi batte cassa
Martedì 30 novembre. Gheddafi, dalla tribuna della conferenza tra l’Unione Africana e l’UE, ribadisce che vuole soldi. E tanti. Non è la prima volta che il leader libico batte cassa: lo aveva già fatto il 30 agosto in occasione della sua visita in Italia ad un anno dalla stipula degli accordi sui respingimenti in mare. L’argomento è sempre lo stesso: se volete un cane da guardia alle porte del Mediterraneo dovete pagare. Cinque miliardi di euro è la sommetta che Gheddafi pretende dall’Unione Europea, chiedendo una “maggior cooperazione tra Africa ed Europa” sul modello dell’intesa tra Italia e Libia.
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Rilanciamo la lotta contro il CIE di Gradisca
È questo il titolo del volantino distribuito dai compagni/e del Coordinamento Libertario Regionale contro i CIE venerdì sera a Zugliano (UD) fuori dalla sala dove si svolgeva la presentazione del rapporto di Medici Senza Frontiere sui CIE.
Qui puoi leggere il volantino e la rassegna stampa.
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Egitto/Israele. Un altro muro
L’ultimo di cui sappiamo lo hanno ammazzato l’11 novembre. Aveva solo ventun’anni e fuggiva dalla guerra infinita che sta inghiottendo le vite di tanti giovani eritrei. Ma la guerra, quella contro immigrati e profughi, lo ha raggiunto ad un passo dal confine tra Egitto ed Israele. La polizia di frontiera egiziana gli ha sparato nel deserto del Sinai.
I giovani eritrei sono obbligati ad un servizio militare senza fine. Molti disertano e sono disposti a tutto pur di non tornare indietro. Chi viene riacciuffato è torturato atrocemente. “Non uccideteli. Se muoiono non soffriranno abbastanza”: sono le parole rivolte ai colleghi da una guardia carceraria eritrea.
Dopo gli accordi tra Italia e Libia per i respingimenti in mare di profughi e immigrati sono sempre di più quelli che provano la nuova rotta, aperta dai rifugiati dal Darfur, dopo la strage del 30 dicembre 2005. Quel giorno l’esercito egiziano assalì 3.500 sudanesi disarmati che da tre mesi erano accampati in segno di protesta nel parco “Mustafa Mahmoud”, al Cairo, non lontano dagli uffici dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Fu una strage. Tra i 25 morti c’era anche una bambina di quattro anni. Da allora i sudanesi del Darfur, cui è negato lo status di rifugiati, non provano più a rimanere in Egitto e tentano la strada per Israele.
Una traversata pericolosa come quella del mare, tra un deserto e guardie pronte a sparare.
Israele, dopo una breve stagione di accoglienza, ha deciso di sigillare le proprie frontiere. Con un Muro. Un altro muro delle vergogna, simile a quello costruito in Cisgiordania, verrà eretto lungo 110 dei 240 chilometri di confine con l’Egitto. La costruzione è cominciata il 22 novembre.
Non sappiamo se raggiungerà lo scopo di tenere fuori i 700 immigrati che ogni settimana provano a passare la frontiera. Sappiamo tuttavia che altri ragazzi vedranno spegnersi contro quel muro le loro speranze.
Sappiamo anche che le tariffe dei mercanti d’uomini sono destinate ad aumentare. È del 25 novembre la denuncia dell’associazione Habeshia diffusa dall’agenzia Amisnet di “ottanta profughi eritrei sequestrati al confine tra Egitto e Israele.” Pare siano partiti dalla Libia, pagando duemila dollari, ma ora i passeur pretendono di più.”
“Sono tenuti legati con le catene ai piedi, non hanno acqua per lavarsi da venti giorni, sono segregati in case nel deserto del Sinai, sotto minaccia di morte se non pagano ottomila dollari ai trafficanti di uomini”. La denuncia arriva dall’associazione Habeshia.
Leggi l’articolo pubblicato da PeaceReporter e quello comparso su Il pane e le rose
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Reggio Emilia. Un fronte contro la truffa della sanatoria
Sabato 27 novembre. Continua la campagna informativa per denunciare e costruire un fronte di mobilitazioni contro la Sanatoria Colf e Badanti (sanatoria truffa).
In piazza Prampolini si è svolto un presidio con distribuzione di volantini per lanciare la due giorni di dibattiti, musica e cibo che si terranno sabato e domenica 4 e 5 dicembre in una apposita tenda in piazza Prampolini.
Leggi qui il volantino distribuito per l’occasione.
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Torino. Gli immigrati alzano la testa
Sabato 27 novembre. In piazza contro la truffa della sanatoria “colf e badanti”. Ma non solo. In piazza contro l’intero mosaico normativo costruito per asservire e ricattare i lavoratori stranieri. Contro vecchi e nuovi pacchetti sicurezza, contro i CIE, contro i militari in strada, contro il permesso a punti, l’ultima trovata – ormai ai blocchi di partenza – per piazzare altre trappole sulla strada di chi emigra nel Bel Paese per afferrare un’opportunità di vita.
Il corteo – indetto dalla Rete “10 luglio antirazzista” – partito da Porta Nuova intorno alle 15 – ha attraversato le strade di S. Salvario per poi dirigersi in centro e concludersi davanti al Palazzo della Regione Piemonte.
Dietro allo striscione “Torino è antirazzista” c’erano le associazioni degli immigrati e i sindacati di base, i centri sociali e gli occupanti di case, gli studenti in lotta e i rifugiati, c’erano le formazioni nate dalla diaspora comunista. Duecento compagni e compagne hanno dato vita allo spezzone dell’anarchismo sociale aperto dallo striscione “La dignità non chiede permesso. Nostra patria è il mondo intero”. Con gli anarchici ha sfilato anche una delegazione del coordinamento immigrati di Alessandria e provincia.
Ben oltre il migliaio i partecipanti, che, negli interventi e negli slogan, hanno puntato l’indice contro una legislazione che strangola le vite degli stranieri, asservendoli al lavoro “che rende liberi”, perché solo chi ha un lavoro regolare ha il diritto legale di risiedere in Italia. Molti, troppi, sono obbligati a chinare la testa per non perdere il lavoro e, quindi, anche i documenti. Chi, invece, un lavoro regolare non c’è l’ha, vive nel limbo degli irregolari, degli apolidi di ogni tempo, sempre all’erta, sempre a rischio di essere scoperto, chiuso in un CIE e poi deportato.
Gli immigrati e gli antirazzisti lo hanno detto e gridato con forza: “è la legge che crea i clandestini”. I clandestini sono utili, utilissimi: chi dice di non volerli, chi dichiara che li getterebbe tutti a mare, in realtà non può fare a meno di loro. Costano poco e faticano tanto. Finché dura è una pacchia per i padroni che lucrano sulle vite di tutti i lavoratori. Non importa se stranieri o italiani: ai padroni interessa il colore dei soldi, non quello della pelle.
Il corteo di ieri a Torino è uno dei tanti segni, grandi e piccoli, che gli immigrati stanno alzando la testa: sono stanchi di aver paura e cominciano a pensare che è tempo di fare paura.
La strada è tanta e tutta in salita. Di questi tempi occorre puntare al cielo per restare in piedi, per porre la basi per spezzare questo sistema di oppressione sfruttamento. Continua a leggere
Antirazzisti al Torino Film Festival
Torino, venerdì 26 novembre. Serata inaugurale del TFF con tanta gente ben vestita e camionette dei carabinieri in assetto antisommossa all’ingresso. Mentre la digos era impegnata con gli studenti universitari giunti in corteo da Palazzo Nuovo occupato, gli antirazzisti, rapidi ed elegantissimi nei loro giacconi invernali, sono entrati nel teatro.
Di fronte al pubblico della platea è stato aperto lo striscione “Torino è antirazzista”, dai palchi in alto è stato appeso lo striscione “contro la sanatoria truffa – permesso di soggiorno per tutti”. Un lungo applauso ha accolto l’arrivo degli antirazzisti e l’intervento letto da un giovane immigrato.
All’uscita gli antirazzisti si sono uniti agli studenti e in corteo spontaneo hanno raggiunto la sede delle facoltà umanistiche. Continua a leggere
Cie di Gradisca. Cosa nascondono?
La situazione dentro il lager dev’essere persino peggiore di quanto trapela all’esterno. Basta pensare che, pochi giorni dopo aver negato una visita alla CGIL, non hanno lasciato entrare nemmeno un consigliere regionale. La situazione al CIE di Gradisca sta facendo incazzare anche sindacati e strutture politiche che altrove – … Continua a leggere
Torino. Immigrati contro la truffa della sanatoria
Mercoledì 24 novembre, fronte del lavoro. Oltre duecento persone, in buona parte immigrati, si sono dati appuntamento davanti alla Prefettura per un presidio contro la sanatoria truffa e il permesso a punti. Slogan, tamburi, e tanta rabbia per chi, nella sanatoria colf e badanti dello scorso anno, aveva intravisto una via di fuga dalla clandestinità, dalla vita sotto ricatto, dal lavoro nerissimo e pericoloso.
Una delegazione di immigrati è stata ricevuta in prefettura.
Al ritorno hanno riferito che al momento le domande dei truffati sono ferme. Probabilmente il governo aspetta che la situazione si calmi prima di far ripartire la macchina. Nel frattempo gli immigrati continuano a pagare i contributi, aspettando un pezzo di carta che molti non avranno.
Nell’assemblea di piazza che ha concluso la manifestazione tutti si sono dati appuntamento a sabato 27 – ore 14 da Porta Nuova – per il corteo cittadino promosso dalla Rete “10 luglio antirazzista”. Continua a leggere
Cie di Gradisca. Rivolta quotidiana. Un arresto
È tornata calda anzi caldissima la situazione nella struttura isontina. Dopo le tensioni dei giorni scorsi non accenna a calmarsi la situazione dentro il CIE. Tutto questo agitarsi dei reclusi sta continuando a far innervosire sbirri e istituzioni che si chiedono preoccupati che cosa potrebbe succedere se il centro – dopo lo svuotamento e i lavori – tornasse a piena capienza. Continua a leggere