Tiri sassi alla polizia? È legittima difesa!

Ci pare importante riportare il seguente articolo tratto da Anarres.

La sentenza di assoluzione di tre immigrati accusati di resistenza e lesioni per aver dato vita ad una rivolta nel CIE di S. Anna ad Isola di Capo Rizzuto ha suscitato grande scalpore.
Non capita tutti i giorni che tre senza carte arrestati dopo diversi giorni sul tetto, tirando tutto quello che avevano contro la polizia, vengano assolti per legittima difesa.
La legittima difesa viene applicata quando un imputato ha commesso un danno, ma questo danno è decisamente inferiore ai soprusi subiti o rischiati.
Di solito queste sentenza vengono emesse per liberare qualche negoziante troppo esuberante che spara e ammazza chi aveva provato a rapinarlo. In un paese dove la giustizia è giustizia di classe di solito le cose vanno così.
Va da se che la notizia della sentenza emessa a Crotone dal giudice Edoardo D’ambrosio ha suscitato stupore e anche qualche speranza di una significativa inversione di rotta della magistratura nelle scelte che riguardano un reato amministrativo come la detenzione extragiudiziale nei CIE.
Vale tuttavia la pena di cercare di capire meglio cosa sia accaduto.

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Capodanno di rivolta ed evasione nei CIE

Gli ultimi giorni dell’anno sono stati particolarmente animati in vari CIE sparsi per la penisola.
Durante la notte di natale una rivolta è scattata nel cie di Modena, con materassi gettati nel cortile. A capodanno invece una tentata fuga con sommossa ha visto protagonisti i reclusi nel cie di Bologna.
Fuga riuscita invece per 7 immigrati a Gradisca, con un’azione ben congegnata assieme ad altri reclusi che hanno dato vita ad protesta per facilitare la fuga.

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Tredici anni dopo la strage del Vulpitta: non dimentichiamo!

28dicembre2012_5Come ogni anno gli antirazzisti e gli anarchici trapanesi sono tornati in piazza per ricordare la strage del Vulpitta e contro tutti i CIE. Manifestazione svoltasi pochi giorni prima dell’ennesimo tragico naufragio di immigrati davanti alle nostre coste. Quella che segue è la cronaca dei compagn* del Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo”.

A tredici anni di distanza, la Trapani antirazzista non dimentica ed è tornata in piazza per manifestare nel ricordo delle sei vittime della strage del “Serraino Vulpitta”, il primo centro di permanenza temporanea per immigrati istituito in Italia.
Venerdì 28 dicembre, in un pomeriggio sferzato dal vento di tramontana, decine di cittadini solidali hanno risposto all’appello degli Antirazzisti trapanesi, che hanno organizzato una “passeggiata antirazzista” lungo le strade del centro storico cittadino.

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Il lavoro uccide. La strage dei migranti

Tratto da Anarres.

A Torino, nell’anniversario della strage della Thyssen si torna a parlare di lavoro. Di lavoro che uccide, di padroni che lucrano, delle vite operaie che non valgono il costo di un estintore.
La strage dell’acciaieria torinese divenne storia collettiva perché la lunga agonia degli operai uccisi dall’incuria e dalla sete di profitto, in condizioni di lavoro che parevano storia di altri tempi, restituì alla nostra città la loro umanità. Ne abbiamo visto i volti, ascoltato lo strazio dei parenti, riconosciuto in loro quello che tanti di noi siamo o siamo stati.
Meno note sono le storie migranti, le storie dei lavoratori in nero, senza documenti, senza volto che muoiono più degli altri perché più ricattabili, più soli, più schiacciati dalle leggi che ne fanno mere pedine nel gioco del profitto. Eppure se oggi si vive peggio, se il lavoro è sempre più duro, se il ricatto dell’occupazione ci strangola, se gli omicidi bianchi e le morti nere si moltiplicano dipende anche dal nostro silenzio di fronte alla condizione dei nuovi schiavi, degli immigrati, senza carte e senza tutele, quando si accetta in silenzio la schiavitù di alcuni, si collabora a forgiare le catene per tutti.
Anarres ne ha parlato con Marco Rovelli, autore, tra gli altri, di “Servi” e “Il lavoro uccide”.

Ascolta l’intervista.

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In questo inizio inverno…

Delle vicende degli immigrati sfruttati nel cuneese ci siamo gia` occupati piu` volte.
Qui sotto vi proponiamo un aggiornamento pubblicato su Umanita` Nova di questa settimana.

Saluzzo – Mentre alla casa del cimitero tirano a campare tra brandelli di lavoro, attese per il rinnovo del permesso di soggiorno che non arriva e la tentazione di partire per Rosarno, qualcuno prende in mano il proprio destino o, semplicemente, afferra al volo la fortuna di passaggio. I permessi di soggiorno di “Cucciolo” e Momo sono fermi in questura a Cuneo e chissà quando arriveranno, tanto che “Cucciolo” non può prenotare il volo per Bamako e Momo rischia di perdere il biglietto che già ha pagato. Pascal, nonostante formalmente sia libero di andare dove vuole, resterà a Saluzzo, a metà strada tra la disperazione e la sala lettura della biblioteca civica. Mustafà è arrivato a Rosarno vestito di tutto punto da americain, con la tenda e la sua ingenua incoscienza.

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Cie di Gradisca: “E’ peggio di un carcere”

Frase vecchia anzi, ormai antica, e che risale a quando il lager è stato aperto. In questi anni oltre -e non poteva essere altrimenti- agli antirazzisti l’hanno pronunciata in molti: politici di ogni risma (anche quelli dei partiti che i Cpt li hanno voluti), sindacalisti, persino degli sbirri. Questa volta è il turno dei rappresentanti dell’Unione delle camere penali italiane che il 9 novembre hanno effettuato -per la prima volta in oltre sei anni-  una visita ufficiale al centro. Le cose uscite fuori sono purtroppo quelle che ben sappiamo da anni: tensione che si taglia con l’accetta, autolesionismi, psicofarmaci, nessuna attività ricreativa…

E i dipendenti continuano a non ricevere lo stipendio e quindi a protestare. La normale banalità di un lager modello.

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Piacenza.Cariche all’IKEA

La mappa della logistica in Emilia-Romagna e Lombardia? È una mappa dello sfruttamento e della violenza. La violenza dei caporali, la violenza dello stato. La violenza di Ikea. Quella di azienda “friendly” è solo una patina. Ma la lotta dei lavoratori prosegue: nemmeno le manganellate, le botte e i lacrimogeni la fermano.

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Chiuso il CIE di Lamezia Terme

Riguardo alla recente chiusura del lager di Lamezia Terme riportiamo questo articolo apparso sull’ultimo numero di Umanità Nova.

Chiudiamoli tutti
Il CIE di Lamezia è stato chiuso

Il CIE di Lamezia Terme è stato chiuso! Questa notizia, passata quasi sotto silenzio all’interno dei media locali, rappresenta – per tutti coloro i quali nel corso di questi dodici anni ne hanno denunciato la gestione malavitosa e le pratiche repressive quotidiane – una piccola vittoria all’interno della lotta per la chiusura di tutti i lager per migranti . Alte grate, reti metalliche, telecamere atte a monitorare l’interno e l’esterno della struttura, massiccia presenza delle forze dell’ordine: è questo lo scenario che fino a ieri si presentava a tutti coloro che riuscivano ad addentrarsi fino all’ingresso della “Malgrado Tutto”, la cooperativa “rossa” che sin dalla sua apertura, ha gestito il CIE definito qualche anno fa, dall’Associazione “Medici Senza Frontiere”, il peggiore d’Italia”. Chi ha avuto la possibilità di visitarne l’interno (al seguito del parlamentare di turno, in qualità di interprete, di operatore legale o sanitario), ha raccontato di avere avuto l’impressione di essere finito in un girone dantesco: letti senza reti e senza lenzuola, finestre munite di grate ma senza vetri (anche in inverno), persone che deambulano in evidente stato di apatia a causa dei tranquillanti somministrati a gò-gò per lenire le ansie, per sedare eventuali rivolte. Il gestore, Raffaello Conte, un malavitoso lametino a capo della cooperativa “rossa”, come ha sottolineato tutte le volte che le associazioni e le realtà antagoniste hanno indetto un presidio contro l’esistenza del CIE calabrese, è stato agevolato nell’assegnazione della convenzione per la gestione della struttura, dalla sinistra moderata lametina, della quale egli ha sempre affermato di fare parte.

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Saluzzo. I forzati della raccolta della frutta

Saluzzo e i paesi intorno vivono di un’agricoltura florida, basata sulla frutta, dalle pesche ai kiwi.
Ormai da qualche anno, all’inizio dell’estate arrivano in zona molti immigrati africani, per partecipare alla roulette alla raccolta. Si tratta di lavoratori quasi sempre provenienti dal nord est, dove la crisi ha fatto tabula rasa. Lavoravano in fabbriche medie e piccole che hanno chiuso o spostato la produzione dove il lavoro costa molto meno, persino meno delle paghe da fame date agli immigrati, sottoposti al ricatto del permesso di soggiorno agganciato come una catena al lavoro in regola con i libretti.
Gli operai si sono trasformati in braccianti, che viaggiano da nord a sud al ritmo delle stagioni di raccolta. I padroni avevano dichiarato un fabbisogno di 70 persone: ne sono arrivate circa 400 ma quasi tutti hanno lavorato. Cinque euro l’ora, di cui solo una piccola parte versata in busta, il resto arriva tutto in nero. Più dei tre euro che prenderanno quando scenderanno a sud ma pur sempre una miseria. Per il resto la musica è la stessa in tutta la penisola: niente accoglienza, niente tetto, niente servizi. Sino allo scorso anno l’approdo naturale erano i vecchi magazzini della stazione, abbandonati e in disuso da anni. Quest’anno li hanno rasi al suolo. Gli immigrati hanno vissuto in campi di fortuna sotto tendoni prestati da questo o da quello, ottenuti grazie alle lotte.

Ne abbiamo parlato con Lele del comitato antirazzista saluzzese.

Ascolta l’intervista a radio blackout

tratto da anarresinfo.noblogs.org

Articoli dei mesi scorsi di Umanità nova sulla vicenda qui e qui.

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Trieste: centinaia di detenzioni illegali di immigrati

Della tragica e criminale morte di Alina Bonar Diachuk ne abbiamo già parlato.

Il caso però non è chiuso e fra gli indigati ora vi è anche il vice-responsabile dell’ufficio immigrazione della questura, con gli stessi capi di imputazione del suo dirigente. La cosa nuova e importante però sono i numeri, crudi e agghiaccianti, delle detenzioni illegali di immigrati operate in questi anni dalla polizia. Se inizialmente si parlava di decine di casi, ora il numero è di varie centinaia.

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Aggiornamenti dal CIE di Gradisca

Mentre è di pochi giorni fa la notizia che la connecting people si è aggiudicata in modo definitivo l’appalto per le gestione del lager (con il respigimento del ricorso della francese Gespa), periodicamente sui media locali spuntano fuori le magagne del centro di internamento. Quando non sono i reclusi, con le loro proteste e fughe, a far parlare del CIE, ci sono sempre i mille problemi e scandali attorno alla struttura. Questa volta a tornare a galla è il cronico ritardo nel pagamento delle paghe degli operatori. Tutto ciò mentre è ancora aperta l’indagine per truffa proprio contro la Connecting. Nel frattempo all’interno le condizioni dei detenuti continuano a rimanere infami.

Aggiornamento del 16 ottobre.
Ennesima visita di politici del centro-sinistra nel CIE ed ennesime “rivelazioni” sulla situazione interna. Niente di nuovo, il solito copione.

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Cie di Gradisca: sciopero della fame

Sarebbero stati 48 i reclusi che dal 18 giugno e fino a pochi giorni fa hanno portato avanti -nel silenzio totale dei media- uno sciopero della fame per protestare contro le invivibili condizioni di detenzione. Da pochi giorni lo sciopero di massa è finito ma solo adesso se ne è venuti a conoscenza. Durante lo sciopero il gestore, la Connecting people ha “monitorato” la salute degli scioperanti ma non ha mai pensato di condurli in ospedale nonostante le condizioni di alcuni fossero critiche.

Quel 18 giugno, a seguito della visita di una delegazione parlamentare, i migranti sono stati sottoposti a una dura perquisizione e sono rimasti per giorni chiusi nelle loro celle. “Vi siete comportati male”, sarebbe stato detto loro. Infatti, un detenuto, proprio davanti alla delegazione, aveva deciso di aprirsi la testa sbattendola contro il vetro antisfondamento delle celle esterne, cadendo a terra svenuto; in molti hanno cercato di comunicare e denunciare ai parlamentari le dure condizioni carcerarie a cui sono sottoposti. Un trattamento che ha subito anche la giovane compagna di uno dei scioperanti: incinta di sette mesi, è stata quasi completamente spogliata e perquisita per poter ottenere solo cinque minuti di colloquio, divisi da un vetro. Un’umiliazione raccontata tra le lacrime, alla sua uscita.

Leggi qui la rassegna stampa

Aggiornamento del 6 agosto

A quanto pare ieri nuovi momenti di tensione con un gruppone di reclusi salito sul tetto. Interessante sapere che al momento i detenuti sono una settantina, ben al di sotto della capienza del lager che doveva tornare a regime a inizio estate. Evidentemente le autorità continuano a temere che riempirlo costituirebbe una bomba pronta a esplodere.

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Moderni Schiavisti

E’ di qualche giorno fa la notizia che un gruppo di immigrati nell’alessandrino ha trovato la forza di ribellarsi al sistema di sfruttamento bestiale a cui vengono sottoposti da anni nelle campagne della zona. A questo proposito pubblichiamo la testimonianza apparsa sul n. 24 di Umanità Nova di un compagno della zona.

Sono andato a portare la nostra solidarietà (che si è concretizzata,  con  beni alimentari e acqua) agli  emigrati  in  lotta e subito, parlando con loro, sono entrato  in un mondo che sembrava cancellato dalla storia ed invece ritorna puntuale e ci scaraventa in un passato di deportazioni e navi negriere. Non siamo nei campi di cotone del New Jersey o sulle coste del golfo di Guinea e neppure nei campi di Rosarno… siamo a Castelnuovo Scrivia (AL) o meglio in una delle tante tenute agricole che si incontrano passando nei dintorni di tortona.

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Bravi Ragazzi per un pogrom. Alle radici del razzismo contro i rom

Riprendiamo, dal sito di Radio Blackout, questo articolo sulle radici profonde del razzismo contro i rom

Nei giorni scorsi la polizia ha arrestato due ultras juventini accusandoli per il pogrom che lo scorso dicembre mandò in fumo le miserabili baracche dove vivevano i rom nel quartiere Le Vallette di Torino.
I due arrestati sono del gruppo “Bravi Ragazzi”, una delle poche formazioni ultas juventine di sinistra.

Ricordiamo i fatti.
L’attacco incendiario che il 17 dicembre ha mandato in fumo il campo rom della Continassa a Torino è l’emblema del disprezzo diffuso verso stranieri e immigrati poveri che si allarga ogni giorno di più. Spesso a farne le spese sono i rom.
Siamo alle Vallette. Un quartiere popolare, di quelli dove campare la vita non è mai stato facile. Da un lato il carcere, la discarica sociale dove tanti nati qui finiscono con trascorrere pezzi di vita; dall’altra parte c’è il nuovo stadio della Juve, dove le tensioni sociali si stemperano tra tifo e ginnastica ultrà.
In questo quartiere si è consumato un pogrom.
Una ragazzina racconta un bugia, uno stupro mai avvenuto, punta il dito su due rom, i rom che vivono in baracche fatiscenti tra le rovine della cascina della Continassa.
In questa bugia è il nocciolo di un male profondo. Una famiglia ossessionata dalla verginità della figlia sedicenne, al punto di sottoporla a continue visite ginecologiche, incarna un retaggio patriarcale che stritola la vita di una ragazza. Lei, per timore dei suoi, indica nel rom, brutto, sporco, puzzolente, con una cicatrice sul viso l’inevitabile colpevole.
In pochi giorni nel quartiere cominciano a girare i soliti volantini anonimi dei “cittadini indignati”. Da anni in città i comitati più o meno spontanei animati da fascisti, postfascisti e leghisti, soffiano sul fuoco, promovendo marce per la legalità, contro lo spaccio, contro gli zingari. Tutte manifestazioni dalla cui trama sottile emerge la xenofobia, la voglia di forca .
La segretaria dei Democratici torinesi, Brangantini, ha preso le distanze dal corteo indetto per “ripulire” la Continassa, ma quella sera sfilava in prima fila. Con lei c’era tanta “brava gente” accecata dall’odio razzista.
All’arrivo dei vigili del fuoco la folla inferocita li ha fermati a lungo. Ci hanno impiegato tutta la notte a spegnere le fiamme che hanno distrutto il campo.

Quando si punta il dito su un intero popolo, quando tutti sono colpevoli perché due sono sospettati di aver stuprato una ragazza, il passo successivo sono le deportazioni, i lager, le camere a gas. La pulizia etnica. Se sei diverso e povero la tua vita diventa sempre più difficile.
L’estendersi del razzismo e della xenofobia allarga una frattura sociale sulla quale si incardina il consenso verso leggi che annullano anche nella forma l’assunto liberale dell’eguaglianza.
I media fanno la loro parte nel creare un clima di emergenza permanente, accendendo i riflettori sugli immigrati, cui cuciono addosso lo stereotipo del criminale.
I fascisti sguazzano in questo pantano, consolidando la propria presenza attiva, specie in certe zone del paese, ma sarebbe miope non vedere che il male, nella sua terrificante banalità, è ben più profondo. Investe a fondo il sentire comune di interi quartieri, anche tra la gente di “sinistra”, come i Bravi Ragazzi della Continassa.
Da anni i pogrom incendiano l’Italia. Bruciano le baracche e corrodono la coscienza civile. Qualcuno agisce, troppi plaudono silenti e rancorosi, certi che saranno più sicuri. Al riparo dalla povertà degli ultimi.

Radio Blackout ne ha discusso con Paolo Finzi della redazione di A, curatore del DVD e libretto “A forza di essere vento” dedicato allo sterminio nazista di rom e sinti.

Ascolta l’intervista
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Torino: rinvio a giudizio per gli antirazzisti

Mercoledì 27 giugno. Il giudice dell’udienza preliminare ha pronunciato le sentenza contro 40 antirazzisti torinesi. Rinvio a giudizio per tutti. Respinte quasi tutte le richieste dei difensori che avevano argomentato come buona parte delle imputazioni volute dal PM e dal GIP fossero una vera torsione delle leggi esistenti per incastrare con accuse pesantissimi gli antirazzisti, dopo il venir meno del reato associativo con il quale il PM Padalino, noto per le sue simpatie per la destra xenofoba e razzista di stampo leghista, aveva cercato di seppellire l’esperienza dell’assemblea antirazzista torinese. Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe. Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà. Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura. Il processo contro una quarantina di antirazzisti torinesi, tra cui tre aderenti alla FAI torinese, andrà in scena il 27 febbraio del 2013. Un megaprocesso che la Procura torinese vuole ad ogni costo. L’Assemblea Antirazzista – attiva tra maggio del 2008 al maggio del 2009 – fu il fulcro da cui si dipanarono numerose iniziative. Manifestazioni, presidi, occupazioni simboliche, striscioni, scritte, azioni di protesta descritte come atti criminosi all’evidente scopo di ridurre a questioni di ordine pubblico l’attività politica e sociale di quegli anni. Attività che, sia pure di minoranza, in quel periodo contribuirono a tenere accesi i riflettori ed a sostenere le lotte dentro i CIE, contro lo sfruttamento del lavoro migrante, contro la militarizzazione delle periferie.
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Basiano. Lavoratori o schiavi?

Riguardo ai gravi fatti successi alcuni giorni fa a Basiano pubblichiamo questo articolo tratto da Anarres.

Basiano, nei pressi di Milano, c’è un magazzino dove vengono lavorate le merci per il supermercato il Gigante.
In questo magazzino, gestito dalla Gartico, una delle società che si occupa servizi di magazzinaggio per conto de “il Gigante”, lavorano circa 120 operai, dipendenti da due cooperative, la Sinergy del gruppo Alma per il facchinaggio e la movimentazione merci, e la ItalTrans che gestisce la sezione trasporti attraverso un’altra cooperativa, la Bergamasca del gruppo CISA.
Un intrico di appalti e subappalti dove vige il caporalato del secondo millennio.

Gli operai di Bergamasca – quasi tutti pakistani – grazie ad un balzello che consente alla cooperativa di pretendere 2.500 euro di quote sociali come compenso per le “perdite” della cooperativa – prendono 400 euro al mese in meno dei colleghi di Alma, dove i lavoratori sono quasi tutti egiziani. Il lavoro per gli uni e per gli altri è lo stesso.
A metà maggio i lavoratori della Bergamasca entrano in sciopero per il salario, e quelli di Alma li appoggiano.

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Trieste: la normalità dell’abuso.

Della tragica vicenda di Alina Bonar Diachuk, ucraina di 32 anni suicidatasi nel commissariato di Opicina (TS) durante un fermo illegale ci siamo già occupati. Dopo qualche settimana è necessario fare un aggiornamento. Dopo che il caso è esploso sui media,  la questura ha dapprima messo il responsabile dell’ufficio immigrazione Carlo Baffi in ferie “forzate”, dopodichè lo ha spedito all’ufficio personale nell’ambito di un generale rimpasto fra i vari funzionari. E’chiaro che Baffi era diventato un personaggio un po’impresentabile, ma ovviamente di sospenderlo non se ne parla. Ora però un comunicato della Uil-polizia aggiunge un nuovo interessante elemento sulla pratica dei fermi illegali degli immigrati divenuta prassi quotidiana. Pare infatti che tutto questo non fosse farina del sacco di qualche “mela marcia” ma semplicemente la messa in pratica di una circolare interna del Questore Nicola Argirò del lontano 2002 e mai accantonata. Per cui tutt* sapevano e tutt* seguivano gli ordini senza fiatare come sempre. C’è voluta una ragazza morta suicida affinchè qualche sbirro si decidesse a parlare, non certo per rimorsi di coscienza ma con il chiaro intento di parare il culo a Baffi e ai suoi colleghi.

 

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Trapani. Fuga di massa dal CIE

Tra sabato 26 e lunedi 28 maggio ben centodieci immigrati sono scappati dal Centro di Identificazione ed Espulsione di contrada Milo alla periferia di Trapani. La fuga di massa era stata tentata da circa duecento persone. Successivamente, nella notte tra martedi e mercoledi, altri quindici ragazzi sono riusciti a riprendersi la libertà su un totale di circa cinquanta detenuti che ci avevano provato. Tutti gli episodi hanno avuto le caratteristiche della rivolta, con drammatiche colluttazioni tra immigrati e personale di polizia. Il CIE di Milo, con la sua capienza massima di 204 posti, si è dunque opportunamente spopolato. Proprio alla fine di maggio, una delegazione di giornalisti vi ha fatto ingresso nell’ambito della campagna “LasciateCIEntrare”. Dopo tanti anni, il mondo dell’informazione “ufficiale” ha preso a cuore la tematica dei centri di internamento per immigrati allo scopo di rendere queste strutture accessibili e “trasparenti”. Pur non essendo più in vigore la direttiva dell’ex ministro dell’Interno Maroni che aveva vietato l’ingresso dei giornalisti nei Centri, la possibilità di accesso ai lager italiani è sempre molto discrezionale a seconda della prefettura di riferimento. A Trapani, la visita guidata al Centro di Milo non ha svelato niente che non si sapesse già: gli episodi di autolesionismo sono frequentissimi (una media di almeno quindici al mese) e i tentativi di fuga sono praticamente all’ordine del giorno. Gli immigrati intervistati hanno sfogato tutta la loro rabbia e frustrazione per una detenzione ingiusta e disumana, naturale prodotto di una legislazione che mortifica i diritti e la libertà delle persone. Tutte cose che gli antirazzisti, a Trapani come ovunque, hanno sempre denunciato sin dalla prima comparsa di queste strutture. Dispiace che alcuni giornalisti se ne siano accorti solo adesso ma, come si dice, meglio tardi che mai.
TAZ laboratorio di comunicazione libertaria
(questo articolo apparirà su Umanità Nova in uscita questa settimana)

Ascolta l’intervista a Radio Blackout di Alberto, un compagno di Trapani

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Cie di Gradisca di nuovo in rivolta

Circa un mese fa eravamo tornati a parlare del CIE “modello” della cittadina isontina in occasione della fine dei lavori di ristrutturazione durati ben oltre un anno. Per tutto questo tempo nel lager gradiscano ben poco è successo all’interno per via di un numero di reclusi che non ha mai superato le 50 persone. Ma tutti, proprio tutti, sapevano che appena il CIE fosse tornato a riempirsi -anche solo parzialmente- le tensioni e le rivolte sarebbero riniziate. Detto fatto. Da circa due settimane le cronache locali sono tornate a riempirsi delle cronache sul lager: fughe tentate ma anche riuscite, sommosse piccole e grandi, autolesionismi, lacrimogeni, sbirri feriti.
Le ultime rivolte -nonchè fin’ora quelle più violente- sono avvenute ieri, domenica 3 giugno, due nel giro di poche ore. Rivolte che non solo hanno mandato all’ospedale alcuni poliziotti ma che hanno nuovamente danneggiato alcune delle strutture antifuga appena ripristinate. Al CIE di Gradisca l’estate è già rovente.

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La questura di Trieste tra “Ufficio Epurazione” e suicidio “assistito”

Alina ha 32 anni quando muore nel commissariato di polizia di Opicina a Trieste.
Tre giorni prima era stata prelevata da una volante della questura all’uscita dal carcere, dove aveva trascorso gli ultimi nove mesi, per una condanna per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Alina non era una passeur prezzolata ma una persona solidale con altri immigrati come lei.
Alina non era in stato di fermo né di arresto: è stata quindi detenuta illegalmente.
Decide di uccidersi. La sua agonia durerà 40 minuti sotto gli occhi delle telecamere della questura, ma l’agente di guardia non trova un minuto per dare un’occhiata. Un suicidio “assistito”.
L’inchiesta per la morte di Alina scoperchia un vaso di pandora, che dimostra che le detenzioni illegali sono una pratica diffusa nella questura triestina.
I migranti sono sistematicamente sequestrati in previsione della loro espulsione.
Carlo Baffi, dirigente dell’ufficio immigrazione della Questura di Trieste, è attualmente indagato per sequestro di persona e omicidio colposo.
Forse non è un caso se nella perquisizione disposta dal Pm, nell’ufficio e nella abitazione di Carlo Baffi, vengono trovati e sequestrati libri nazisti e fascisti, libri di difesa della razza e “come riconoscere il giudeo”, poster del duce e simboli nazifascisti.
Baffi aveva messo nel suo ufficio, sotto gli occhi di tutti i suoi colleghi, la targhetta “Ufficio Epurazione” con l’effige di Mussolini.
Oltre ad Alina Bonar Diachuk altre 49 persone sono sequestrate allo stesso modo, i fascicoli sono stati sequestrati nell’ufficio di Baffi e adesso si stanno facendo le ricostruzioni necessarie.
Oltre duecento persone hanno partecipato al presidio sotto la Questura di Trieste svoltosi mercoledì 16 maggio.
Ascolta l’intervento a Radio Blackout di un compagno di Trieste, Federico, che ha messo in rilievo come la pressione sulle istituzioni possa ridurre la violenza e gli abusi sistematici della polizia nei confronti dei migranti, ma, senza l’eliminazione di frontiere e leggi razziste, difficilmente ci sarà una reale inversione di tendenza.

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