CIE. Cosa bolle nella pentola del governo?
Riportiamo in questa pagina in costante aggiornamento le cronache e le riflessioni delle ultime settimane sul fronte del CIE, per cercare di capire cosa stia davvero bollendo nella pentola del governo, dopo la campagna mediatica che ha ri-messo al centro dell'attenzione i centri per senza carte, le leggi razziste del nostro paese, la difficoltà del governo a fare fronte ad una spesa enorme, tra gestione dei centri, espulsioni, ristrutturazioni continue dei CIE danneggiati o distrutti dalle rivolte.
Siamo convinti che il governo intenda liberarsi della patata bollente, facendo sì che tutto cambi, affinché tutto resti come prima.
Proviamo a vedere come, andando oltre i toni intollerabilmente melensi dei media.
Iniziative contro il CIE di Gradisca in maggio e giugno
A pochi chilometri da noi a Gradisca d’Isonzo dal 2006 esiste un CIE (centro di identificazione ed espulsione). In questa prigione sono reclusi in condizioni durissime decine di cittadini non dell’unione europea per il solo motivo di non possedere (o non possedere più) un permesso di soggiorno valido. Divieto di leggere, di comunicare con l’esterno, psicofarmaci, privazioni e soprusi di ogni tipo sono pane quotidiano e provocano tra l’altro continui episodi di autolesionismo. Riteniamo importante far conoscere l’esistenza di questi luoghi e le logiche che li governano, promuovendo iniziative di informazione e denuncia. Invitiamo tutti e tutte a partecipare e a contribuire in modo attivo alle iniziative che si terranno nei prossimi giorni: Trieste, sabato 18 maggio dalle 17 in via delle Torri (dietro la chiesa di s.antonio) Pordenone, sabato 18 maggio dalle 17 in p.tta Cavour Udine, sabato 24 maggio al nuovo spazio sociale in viale Osoppo Le iniziative vogliono anche promuovere la partecipazione al presidio regionale che ci sarà sabato 1 giugno nel pomeriggio di fronte al CIE di Gradisca indetto dal Coordinamento regionale contro i CIE.Sabato 20 aprile – Il CIE tra la movida di Torino
ore 19,30 aperibenefit antirazzisti sotto processo ore 20,30 assemblea sui CIE con testimonianze ore 22 presidio antirazzista itinerante per portare il CIE in mezzo alla città. Appuntamento alle 19,30 in largo Saluzzo "Baldacci ti ricordi di Fatih? Croce Rossa assassina!" Questo striscione è apparso lo scorso mese davanti alla villa di Antonio Baldacci, responsabile del CIE di Torino. Fatih era un immigrato tunisino senza documenti rinchiuso nel CIE di Torino. Nella notte del 23 maggio 2008 stava male. Per tutta la notte i suoi compagni di detenzione chiesero inutilmente aiuto. La mattina dopo Fatih era morto. Non venne eseguita nessuna autopsia. Non sappiamo di cosa sia morto Fatih. Sappiamo però che in una struttura detentiva gestita dalla Croce Rossa nessuno lo ha assistito. Due giorni dopo il colonnello e medico Baldacci dichiarerà "gli immigrati mentono sempre, mentono su ogni cosa". Parole che ricordano quelle degli aguzzini di ogni dove. Il 2 giugno 2008 un gruppo di antirazzisti si recò a casa Baldacci per un "cacerolazo". Si batterono le pentole davanti alla sua casa, si distribuirono volantini, si appesero striscioni. La protesta di persone indignate per una morte senza senso. Oggi quella protesta è entrata nel fascicolo del processo contro 67 antirazzisti, che lottarono e lottano contro le deportazioni, la schiavitù del lavoro migrante, la militarizzazione delle strade. I 67 attivisti coinvolti nel processone sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell'amministrazione comunale. L’impianto accusatorio della procura si basa su banali iniziative di contestazione. L'occupazione simbolica dell'atrio del Museo egizio - 29 giugno 2008 - per ricordare l'operaio egiziano ucciso dal padrone per avergli chiesto il pagamento del salario; la contestazione - 17 luglio 2008 - dell'assessore all'integrazione degli immigrati Curti, dopo lo sgombero della casa occupata da rom in via Pisa; la giornata - 11 luglio 2008 - contro la proposta di prendere le impronte ai bambini rom di fronte alla sede leghista di largo Saluzzo; la protesta - 20 marzo 2009 - alla lavanderia "La nuova", che lava i panni al CIE di corso Brunelleschi… ma l'elenco è molto più lungo. Decine iniziative messe insieme per costruire un apparato accusatorio capace di portare in galera un po’ di antirazzisti. Nel CIE di Torino negli ultimi due mesi si sono susseguite le lotte e le rivolte. Tutte le sezioni del CIE sono state gravemente danneggiate. In febbraio la polizia ha pestato, gasato gli immigrati in rivolta dopo un fallito tentativo di fuga. Sei sono stati arrestati. Nonostante la repressione le lotte non si sono fermate. Per evitare la deportazione qualcuno si taglia, altri salgono sul tetto. Il CIE è quasi inagibile. In alcune sezioni gli immigrati dormono su materassi gettati in terra. La scorsa settimana tutti i reclusi, ormai solo 47, hanno fatto uno sciopero della fame di due giorni. Per la libertà. Nei CIE le lotte, le fughe, la gente che si taglia per sfuggire all'espulsione da lunghi anni sono pane quotidiano, come quotidiana è la resistenza di chi crede che, nell'Italia dei CIE, delle deportazioni, dei morti in mare, ribellarsi sia un'urgenza che ci riguarda tutti. Per questa ragione non accetteremo che le lotte di quegli anni vengano rinchiuse in un’aula di tribunale: porteremo le nostre ragioni nelle strade di questa città, continueremo a portare il CIE per le strade di Torino. Antirazzisti contro la repressione Ti ricordi di Fatih?Mercoledì 27 febbraio – processo agli antirazzisti
Mercoledì 27 febbraio prima udienza del processo a 67 antirazzisti torinesi
La Procura mette in scena un processo alle lotte.
Si vuole ad ogni costo ottenere condanne per togliere di mezzo compagni e compagne che in questi anni hanno lottato contro le leggi razziste del nostro paese, in solidarietà ai senza carte rinchiusi nei CIE, agli immigrati/schiavi.
I 67 attivisti coinvolti nei due processoni sono accusati di fare volantini, manifesti, di lanciare slogan, di dare solidarietà ai reclusi nei CIE, di contrastare la politica securitaria del governo e dell’amministrazione comunale. In altre parole sono accusati di avere idee scomode, che si traducono in scelte politiche scomode.
Se sperano di spaventarci si sbagliano.
In questi anni le iniziative di opposizione al razzismo, alle politiche securitarie, al militarismo allo sfruttamento si sono moltiplicate sul territorio.
L’urgenza politica e morale di allora è la stessa di oggi.
Ma l’indignazione non basta. Bisogna mettersi di mezzo.
Rompere il silenzio sugli orrori quotidiani dei CIE, opporsi alle deportazioni forzate, agli sgomberi delle baracche, ai militari nelle strade, allo sfruttamento dei più poveri.
Porteremo il loro processo nelle strade di questa città!Sabato 2 marzo – Portiemo il CIE nel salotto della città! – presidio antirazzista
Il 27 febbraio e cominciato il primo di due processi agli antirazzisti che, tra il maggio del 2008 e il maggio del 2009, attraversarono l'esperienza dell'Assemblea Antirazzista Torinese.
La lotta contro i CIE ha segnato alcuni momenti importanti di quell'anno ed è oggi un fronte sempre più caldo di resistenza al razzismo di Stato nella sua concreta, quotidiana, materialità.
La morte di Fathi, un immigrato tunisino lasciato senza cure nell'allora "nuovo" CPT di Torino, fu il banco di prova di una relazione politica ancora embrionale.
La lotta che ne seguì fece da catalizzatore per quelle che seguirono.
Oggi le protesta di fronte alla casa del colonnello e medico Antonio Baldacci, responsabile per la Croce Rossa militare della struttura detentiva di corso Brunelleschi, è entrata nel fascicolo del processo.“Il CIE nel salotto della città”
Il 2 marzo con un presidio itinerante per il centro cittadino porteremo quella storia negata e dimanticata in mezzo alla città.
Appuntamento alle 15 in piazza Castello.
Sabato 23 febbraio punto info solidale con gli antirazzisti sotto processo
Sabato 23 febbraio punto info sul processo a 67 antirazzist*
a Porta Palazzo - sotto i portici all'angolo con corso GiulioRompere il silenzio
Negli ultimi vent’anni il disciplinamento dei lavoratori immigrati è stata ed è tuttora una delle grandi scommesse dei governi e dei padroni, che puntano sulla guerra tra poveri per spezzare il fronte della guerra di classe.
Nel nostro paese è stata costruita una legislazione speciale per gli immigrati, persone che, sebbene vivano in questo paese, devono sottostare a regole che ne limitano fortemente la libertà.
Chi si oppone alle politiche e alle leggi discriminatorie e oppressive nei confronti degli immigrati entra nel mirino della magistratura.
Tre anni fa la Procura giocò la carta dell’associazione a delinquere ed arrestò sei antirazzisti. Il teorema non resse in Cassazione ma la Procura voleva comunque mandare alla sbarra l’Assemblea Antirazzista torinese.
Oggi la Procura mette in scena un processo alle lotte. In due atti.
Il primo atto va in scena il 27 febbraioArance amare – mostra itinerante per i mercati di Torino – 26 gennaio 2013
Le arance, i mandarini, le clementine che fanno mostra di se nei mercati di Torino, sono state raccolte da lavoratori stagionali, che vengono pagati 50 cent alla cassetta di arance, 1 euro per cassetta di mandarini. Ogni cassetta pesa una media di 18/20 chili. In una giornata di lavoro la media arriva a 25 euro. In nero, non tutti i giorni ma solo quelli che il caporale ingaggiato dai padroni decide di sceglierti. Se alzi la testa, se reclami per i ritmi o per la paga, puoi anche andartene, perché nessuno ti chiamerà più.
I media ci raccontano di migrazioni epocali, di emergenze continue per giustificare le condizioni di vita indecenti di questi lavoratori. Per loro non ci sono tende o gabinetti funzionanti quando arrivano nella piana di Gioia Tauro per la raccolta degli agrumi. Di affittare una casa non se ne parla nemmeno: a Rosarno o a San Ferdinando una stanza costa come nel centro di Milano o Roma.
In realtà basterebbero pochi soldi per mettere su strutture decenti, basterebbero liste publiche per tagliare fuori i caporali, basterebbe che chi guadagna, e bene, sul lavoro degli stagionali, ci mettesse qualcosa del suo per garantire loro un letto e una doccia. Invece no. Così le tendopoli scoppiano subito, circondate da baracche fatte di lastre di amianto e teli di plastica, così per i bisogni ci sono buche a cielo aperto.
Quella dell'emergenza è una bufala che ci raccontano perché è più facile immaginare una fame tutta africana, che vedere la realtà. La realtà è fatta di operai del nord che hanno perso il lavoro e vengono a fare la raccolta per rimediare un salario, la realtà è fatta di richiedenti asilo che attendono da oltre due anni la risposta che consentirebbe loro di andare via, di cercarsi un lavoro stabile. La guerra in Libia è finita da due anni, ma i profughi di quella guerra vivono ancora in un limbo apolide.
Se vedessimo la realtà vedremmo che la condizione degli africani di Rosarno è ormai la condizione di tanta parte dei lavoratori italiani. L'unica emergenza è quella quotidiana di uno sfruttamento senza limiti, perché per i padroni non conta il colore delle pelle, ma quello dei soldi.
Le arance che mangiamo sono sempre più amare.Sabato 26 gennaio mostra itinerante e volantinaggio nei mercati delle zone popolari di Torino.
Appuntamento alle 9,30 in corso Palermo 46 - per info: 338 6594361Frontiere d’Europa. 30 nuovi centri di detenzione in Grecia
Grecia. Il ministro della protezione civile M. Chrysohoidis, ha annunciato ieri l'apertura di trenta nuovi centri di detenzione per immigrati in collaborazione con il ministero degli esteri.
Il ministro si è incontrato con i governatori di dieci province greche per verificare la loro disponibilità ad ospitare i centri. Ha anche fornito assicurazione che l'Unione Europea si è impegnata a versare 250 milioni di euro per i prossimi tre anni.
Per ciascuno dei centri sarà istituito un apposito presidio di polizia di almeno 150 agenti oltre a 70 guardie private, ogni 250 immigrati detenuti.
Secondo il piano presentato ogni centro sarà diviso in quattro sezioni, in ciascuna delle quali saranno rinchiusi 250 immigrati. Ognuno dei nuovi lager "ospiterà" 1000 senza carte, per un totale di 30.000 prigionieri.
La Grecia si candida così al ruolo di paese cuscinetto tra i paesi più ricchi dell'Unione e le aree di emigrazione. Un avamposto di frontiera, ben pagato per il servizio reso.-
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Saluzzo. Braccianti sotto sgombero
Martedì 11 giugno. Dal 5 giugno era ormai esecutiva l’ordinanza del sindaco Allemano che sanciva lo sgombero dell’area dietro il Foro Boario a Saluzzo. Alternative non se ne vedono, il paradosso è il solito. Non ci sono le condizioni igienico-sanitarie minime perché gli immigrati abitino quell’area, allo stesso tempo però quelle braccia a basso costo servono. Soluzione: si accampino alla spicciolata senza creare problemi che acquistino una dimensione pubblica, si rendano più invisibili.
Riportiamo di seguito il comunicato diffuso su facebook dal Comitato antirazzista:
“150 migranti giunti per la raccolta della frutta e accampati sotto teli di fortuna non hanno trovato posto nelle strutture. Molti di loro non hanno un luogo dove stare dopo la chiusura, il 28 febbraio di quest’anno, dei campi per l’emergenza Libia. Un telo, un cartone bagnato e la speranza di un lavoro nella campagna della frutta sono le uniche cose che gli rimangono. Portiamo la solidarietà adesso.”
Nonostante la trattiva aperta con il comune all’alba dell’11 giugno si è presentata la polizia in assetto antisommossa per attuare lo sgombero della tendopoli. Sul posto sono accorsi alcuni solidali che hanno bloccato la strada per impedire ai camion dell’azienda per la raccolta dei rifiuti di entrare nel campo e alcuni avvocati che sono riusciti ad entrare.
Ascolta la diretta con Lele del Comitato antirazzista di Saluzzo realizzata dall’info di Blackout
Mercoledì 12 giugno
Ieri la polizia si è “limitata” a portare via le tende, senza cacciare i braccianti dall’area. Tutti gli immigrati hanno un permesso di soggiorno: sono in parte ragazzi reduci dall’emergenza nordafrica, altri vengono dalle regioni dell’est dove la crisi ha buttato in strada molti lavoratori stranieri, obbligandoli a migrazioni stagionali. Quest’inverno nella piana di Gioia Tauro, in estate in provincia di Cuneo.
Il comitato antirazzista ha cominciato una trattativa con il comune per avere un altro spazio, migliore, perché dotato di allacciamento elettrico e idrico.
I lavoratori e i solidali sono decisi a resistere e ad impiantare lì o altrove un nuovo campo.
Fanno appello alla solidarietà per le tende e alcuni tendoni per le cucine autogestite.
Venerdì 14 giugno una delegazione sarà a Torino nell’ambito della festa antirazzista promossa dalla CUB in largo Saluzzo. Appuntamento alle ore 18.
Ascolta l’aggiornamento di Lele
Qui puoi vedere il servizio del Fatto Quotidiano realizzato prima dello sgombero
Qui un articolo scritto da Lele per il blog Terre Libere, in cui viene raccontata la dinamica che porta allo sgombero.
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Ponte Galeria in Fiamme, Gradisca in rivolta
Continuano senza sosta le rivolte nei CIE. In questi giorni è la volta dei lager di Roma e Gradisca. Minimo comune denominatore la voglia di uscire dalle gabbie in cui sono costretti i detenuti ed opporsi al meccanismo razzista delle … Continua a leggere
Capodanno di rivolta ed evasione nei CIE
Gli ultimi giorni dell’anno sono stati particolarmente animati in vari CIE sparsi per la penisola. Durante la notte di natale una rivolta è scattata nel cie di Modena, con materassi gettati nel cortile. A capodanno invece una tentata fuga con … Continua a leggere
Chiuso il CIE di Lamezia Terme
Riguardo alla recente chiusura del lager di Lamezia Terme riportiamo questo articolo apparso sull’ultimo numero di Umanità Nova. Chiudiamoli tutti Il CIE di Lamezia è stato chiuso Il CIE di Lamezia Terme è stato chiuso! Questa notizia, passata quasi sotto … Continua a leggere
Trieste: centinaia di detenzioni illegali di immigrati
Della tragica e criminale morte di Alina Bonar Diachuk ne abbiamo già parlato. Il caso però non è chiuso e fra gli indigati ora vi è anche il vice-responsabile dell’ufficio immigrazione della questura, con gli stessi capi di imputazione del … Continua a leggere
Moderni Schiavisti
E’ di qualche giorno fa la notizia che un gruppo di immigrati nell’alessandrino ha trovato la forza di ribellarsi al sistema di sfruttamento bestiale a cui vengono sottoposti da anni nelle campagne della zona. A questo proposito pubblichiamo la testimonianza … Continua a leggere
Trieste: la normalità dell’abuso.
Della tragica vicenda di Alina Bonar Diachuk, ucraina di 32 anni suicidatasi nel commissariato di Opicina (TS) durante un fermo illegale ci siamo già occupati. Dopo qualche settimana è necessario fare un aggiornamento. Dopo che il caso è esploso sui … Continua a leggere
CIE di Gradisca: Connecting People pescata con le mani nel sacco
Giovedì 23 febbraio. Che la gestione dei CIE sia un affare lucroso è cosa nota. Intorno a questi nonluoghi girano una montagna di soldi pubblici da arraffare e in molti fanno a gara per accaparrarseli. La fame di profitto va … Continua a leggere
CIE di Gradisca: piccole ordinarie sopraffazioni
Le notizie di maltrattamenti, pestaggi, angherie e abusi che filtrano dalle mura dei CIE ogni tanto fanno notizia anche se molto meno di quello che sarebbe necessario per squarciare il velo di silenzio e indifferenza che circonda questi luoghi. Ciò … Continua a leggere
Cie di Gradisca: immigrati al freddo e dipendenti…
cie gradisca immigrati connecting people Continua a leggere
Palermo. Navi-prigione per nuovi appestati
È proprio vero che al peggio non c’è mai fine. Dopo i fatti di Lampedusa, dopo quel naufragio dell’umanità che ha portato a una guerra civile fra immigrati e abitanti dell’isola e alla conseguente espulsione di tutti i tunisini, il governo italiano sta mettendo in atto un’operazione inaudita, degna dei peggiori regimi dittatoriali.
In queste ore, settecento immigrati che si trovavano a Lampedusa sono stati trasferiti e si trovano attualmente stipati e detenuti su tre navi ancorate al porto di Palermo: “Moby Fantasy” e “Audacia” di Grandi navi veloci, e la “Moby Vincent”. Il molo Santa Lucia è letteralmente blindato. Sono 650 gli agenti delle forze dell’ordine impiegati in questo internamento concentrazionario su quelli che, burocraticamente, sono definiti “centri di raccolta galleggianti”.
L’obiettivo è quello di rimpatriare a poco a poco tutti gli immigrati, ma la cosa agghiacciante è che le autorità stanno cercando di nascondergli come stanno realmente le cose. I telefonini dei migranti sono stati tutti sequestrati per evitare ogni contatto con l’esterno e scongiurare possibili rivolte a bordo delle navi. Nel frattempo, il governo di Tunisi tiene duro, e le operazioni di rimpatrio stanno subendo un evidente rallentamento.
Sulle navi le condizioni igieniche sono ai limiti della tollerabilità umana e la tensione cresce di ora in ora. Non dovrebbe più stupire nessuno, ma vale la pena di ricordare che tutto questo avviene al di fuori di ogni minima garanzia legale. Le detenzioni non giustificate da un provvedimento di un giudice sono contrarie al più elementare ordinamento giuridico democratico, così come sono legalmente vietate le espulsioni di massa. E invece, a Palermo, il governo italiano tiene segregate settecento persone su tre navi al porto, come se fossero appestati in quarantena, in attesa di disfarsene il prima possibile.
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Cie di Gradisca. Slitta ancora il cambio di gestione
In molti CIE agosto è stato un mese particolarmente caldo. Nel lager isontino invece da lunghi mesi non si muove granché.
Il divieto di usare i cellulari ha interrotto i fili comunicativi che permettevano agli antirazzisti fuori di sapere cosa accadeva all’interno. Grazie alle rivolte di inizio anno la capienza della struttura è ancora ridottissima e i lavori di ristrutturazione procedono molto a rilento.
Ma questa non è l’unica anomalia. La gara di appalto tenutasi in febbraio era stata vinta dalla transalpina Gepsa – sede a Parigi – in associazione con Cofely Italia e le coop italiane Acuarinto di Agrigento e Synergasia di Roma ma il cambio di gestione viene rinviato di mese in mese. Dai giornali di ieri si viene a sapere che il passaggio slitta ancora a causa di indagini in corso sul nuovo gestore.
Aggiornamento al 2 settembre
Si apprende dai giornali locali che la gara di appalto è stata congelata dal tribunale di Trieste, per cui, nell’attesa di una decisione definitiva, la gestione del CIE resta al consorzio Connecting People sino a fine anno.
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Palazzo S. Gervasio. Muri, ciabatte, rivolte e censura
Palazzo S. Gervasio. Qui, in provincia di Potenza sorge una delle tante tendopoli/CIE messe su in fretta e furia da Maroni, quando è stato chiaro che l’Unione Europea non aveva alcuna intenzione di farsi carico delle migliaia di profughi e migranti stipati a Lampedusa.
Nato il primo aprile come centro di accoglienza è stato trasformato in CIE “temporaneo” con un decreto del consiglio dei ministri del 21 aprile. Stessa sorte della tendopoli di Kinisia in provincia di Trapani e dell’ex caserma Andolfato, chiusa dopo l’incendio dell’8 giugno.
Qui cose banali come visite di avvocati, giornalisti o amici sono un miraggio.
Raffaella Cosentino nel suo reportage su questo blocco di cemento a filo spinato al confine tra Basilicata a Puglia scrive “Isolati nelle campagne lucane al confine con la Puglia, i giovani della rivoluzione dei gelsomini vedono svanire in un incubo il sogno dell’Europa. “Ammar 404” era il nome dato alla censura del dittatore Ben Alì dagli internauti tunisini. 1305 è il numero della circolare interna del Viminale che instaura la censura sui centri per migranti in Italia a partire dal primo aprile, vietandone di fatto l’accesso ai giornalisti ‘fino a nuova disposizione’. In questo momento è più facile entrare in un carcere di massima sicurezza che in una tendopoli.”
Secondo la Questura tutto va bene e i ragazzi tunisini chiusi dietro al filo spinato vivono nel migliore dei mondi possibili.
Dopo due mesi la giornalista di Repubblica è riuscita ad ottenere dalla Prefettura di Potenza il permesso di parlare ai reclusi dietro le spesse maglie metalliche della prima recinzione. Il articolo, arricchito da un video fatto filtrare dai reclusi racconta un storia diversa.
Qui nessuno ha più le scarpe: gliele hanno sequestrate per impedire loro di imitare la trentina di ragazzi che si sono arrampicati, hanno saltato la recinzione, guadagnandosi la strada per proseguire il viaggio.
Quelli di Connecting People, che hanno preso in gestione la struttura senza alcuna gara di appalto, non forniscono neppure i moduli per la richiesta di asilo.
Per loro l’unico problema dei reclusi è la mancanza di peperoncino nel cibo.
Il video passato alla giornalista di Repubblica mostra una rivolta e un tentativo di fuga di massa: ci sono immigrati feriti e agenti in tenuta antisommossa.
Checché ne dicano secondini prezzolati di Connecting People, l’unica fame vera è quella di libertà.
Guarda il video sul sito di Repubblica.
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Gradisca. Stato d’assedio
Sabato 12 marzo. Un imponente schieramento di polizia attende gli antirazzisti, che hanno risposto all’appello del Coordinamento Libertario contro i CIE, per una giornata di lotta e solidarietà.
Sono passati cinque anni dal giorno che il primo “ospite” venne spinto tra le mura dell’ex caserma Polonio dalle truppe dello stato. Fuori vi furono cariche, manganellate e lacrimogeni.
L’avevano progettato con cura, il lager isontino. Letti, tavoli imbullonati, poche suppellettili, mura e sorveglianza. Speravano di prevenire fughe e rivolte. Si sbagliavano e di grosso.
Non si contano più le fughe, le rivolte, le proteste, spesso finite tra botte e deportazioni.
Oggi del CIE non resta quasi più nulla. Gli incendi appiccati dai reclusi a fine febbraio hanno mandato in fumo le ultime camerate rimaste. Nonostante ciò il ministero dell’Interno mantiene aperta la struttura: dentro i reclusi sono in terra, senza materassi, con un solo bagno, privati dei cellulari.
Il giorno prima della manifestazione c’è stata la vista al CIE e al CARA del Comitato parlamentare Schengen, Europol ed Immigrazione. I parlamentari – due democratici e un leghista – vengono accolti da un immigrato che si taglia e sanguina davanti a loro. La delegazione conclude che il CIE deve essere chiuso e “messo in sicurezza”.
Tutti gli antirazzisti che arrivano per la manifestazione vengono fermati e controllati a lungo. Nonostante ciò oltre duecento compagni e compagne si ritrovano davanti al lager.
Sulla recinzione i richiedenti asilo del CARA hanno appeso un cartello “CIE=CARA”. Oggi gli ospiti del CARA sono prigionieri: li hanno chiusi dentro nonostante sia loro riconosciuto il diritto di uscire durante il giorno. 150 sequestri di persona decisi dalla questura per impedire ai ragazzi del CARA di partecipare alla manifestazione. Ma loro si fanno sentire lo stesso: chiamano gli antirazzisti, dicendo loro che il “bombardamento sonoro” è perfettamente riuscito. Sentono la musica e i tanti interventi solidali e gridano forte la loro rabbia.
Dal CIE non esce nulla. Probabilmente, dopo la protesta sul tetto dello scorso lunedì, il cortile è loro nuovamente interdetto. Sono dentro circondati dalla celere di Padova.
Vengono lanciate oltre il muro numerose palline con la scritta “libertà – freedom”.
In barba ai numerosi divieti della questura i manifestanti piazzano banchetti, cibo, ampli e presto la manifestazione deborda in strada: la provinciale viene bloccata per oltre tre ore.
I settori più moderati vorrebbero che una delegazione entrasse nel CIE, ma, dopo un lungo tergiversare, arriva secco il no della questura. La situazione dentro deve essere anche peggiore di quella mostrata dalle foto filtrate fuori dal CIE prima del sequestro dei telefonini. Nessuno deve vedere, nessuno deve raccontare la vergogna che si cela dietro quelle mura.
Le mura di un lager democratico. Continua a leggere
CIE di Torino. Ancora in sciopero della fame
Sabato 5 marzo. Al CIE di Torino, dopo la rivolta che ha mandato in fumo la sezione gialla, i reclusi sono in sciopero della fame da ormai cinque giorni.
La maggior parte di loro proviene dalle città costiere della Tunisia, dove si campa soprattutto di turismo. L’insurrezione che ha portato alla cacciata di Ben Alì e, la scorsa settimana, del suo successore Gannouci, ha messo in ginocchio l’economia di queste zone. Da qui l’esodo verso l’Europa. Molti contano di raggiungere in Francia parenti ed amici: qualcuno ce l’ha fatta, altri sono stati rinchiusi nei CIE, come quello di corso Brunelleschi. Tra loro, a quanto riferisce l’Unità, c’è anche un minorenne, che non l’ha dichiarato perché teme di essere separato dai propri amici.
Intanto ai valichi di frontiera tra l’Italia e la Francia si sta giocando una partita a ping pong dove le palline sono esseri umani rimbalzati da un lato all’altro del confine. Un confine ormai cancellato che torna ad innalzare le proprie barriere di fronte a uomini in fuga dalla miseria.
I trenta ragazzi rinchiusi nel CIE di Torino sono decisi a resistere: molti di loro hanno partecipato alla rivolta contro Ben Alì, assaporando il gusto della libertà, un gusto cui non sono disposti a rinunciare tanto facilmente. Non capiscono perché proprio a loro tocchino sei mesi in gabbia e poi la deportazione. Il governo italiano non sa che pesci prendere, teme perdere consensi e si muove a casaccio.
Dei tanti approdati a Lampedusa dalle coste tunisine alcuni ottengono asilo, ad altri viene dato il foglio di via e provano a saltare la frontiera con la Francia, altri ancora, come i trenta nel CIE di Torino, si guadagnano un soggiorno gratis dietro le sbarre.
Alcuni loro amici in Tunisia hanno aperto una pagina facebook dedicata a loro. Si chiama Guntanamo/Italia.
Leggi il bel reportage pubblicato su Fortresse Europe.
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Gradisca. A terra, come bestie
Gradisca, 1 marzo. Il CIE è ormai inagibile da giorni: le rivolte e gli incendi della scorsa settimana hanno distrutto quasi tutto. Restano in piedi le aree comuni e una stanza da soli otto letti, per i cento immigrati.
Maroni non sa più che pesci prendere: i CIE sono stracolmi e non c’è più posto da nessuna parte. Ammettere il fallimento nelle politiche repressive verso i clandestini sarebbe uno smacco troppo grande per un Ministro dell’Interno leghista, che sulla “durezza” verso gli immigrati ha costruito gran parte delle proprie fortune. Per questo, infischiandosene allegramente delle condizioni di vita dei reclusi, Maroni fa finta che nulla sia capitato.
Maroni deve anche fare i conti con la Questura goriziana, che da tempo vuole che il CIE sia chiuso durante i lavori di ristrutturazione e mal tollera la scelta di mantenere comunque aperta la struttura.
Viene il dubbio che la scarsa solerzia dimostrata durante l’ultima rivolta – gli stessi reclusi davano per spariti i poliziotti – non sia stata del tutto casuale.
Domani i poliziotti dell’UGL faranno un presidio alla prefettura di Gorizia per protestare contro il mancato intervento del Viminale. Naturalmente agli uomini e alle donne in divisa non importa nulla degli immigrati: vorrebbero solo più personale, per evitare che tocchi a loro occuparsi di “questa tipologia di persone”. Una tipologia con spiccata attitudine alla resistenza, alla rivolta, alla libertà.
A rendere la vita difficile al povero Maroni ci si mettono anche gli antirazzisti, che provano a rompere il muro di silenzio che circonda i CIE.
Questa mattina sul sito di Fortresse Europe sono comparse alcune foto scattate il primo marzo nel CIE di Gradisca. I prigionieri dormono e mangiano in terra, in giacigli di fortuna, come bestie.
Vale la pena di far girare queste immagini, perché tutti sappiano quello che succede all’interno dei moderni lager della democrazia.
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CIE di Gradisca. Demolito, stanza dopo stanza
Gradisca, domenica 27 febbraio.
“A quasi cinque anni dall’apertura, passati tra continue rivolte, atti di autolesionismo e violente repressioni, il CIE di Gradisca d’Isonzo è stato distrutto dai suoi stessi reclusi molti dei quali provengono dalle rivolte nordafricane.”
Questo l’incipit del comunicato dei compagni del Coordinamento Libertario Isontino. Ed è anche l’epilogo di una vicenda cominciata il 7 marzo del 2006, quando tra scontri, botte e lacrimogeni, venne fatto entrare a forza il primo “ospite” della ex caserma Polonio.
Negli ultimi tre giorni i reclusi hanno dato alle fiamme la loro prigione, demolendola, stanza dopo stanza. Nel pomeriggio di oggi sono andate a fuoco altre sei camere. Per i 105 “ospiti” restano solo 8 letti: gli altri sono ammassati senza nulla nelle aree comuni.
Un’altra bella manciata di sabbia è stata lanciata nel motore della macchina delle espulsioni.
Giornata di informazione e lotta il 12 marzo al CIE di Gradisca.
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Pordenone. Gli immigrati prendono la parola
Anche dall’estremo nord-est, in una città di provincia come Pordenone, giungono segnali di ribellione da parte degli immigrati, stanchi delle continue vessazioni e soprusi. Accade così che alla manifestazione indetta dall’Associazione Immigrati, partecipino – oltre ogni più rosea previsione – … Continua a leggere
Contestazione alla gara per l’appalto del Cie di Gradisca
Gorizia, 1 febbraio. L’apertura delle buste per la nuova gara d’appalto per il CIE e il CARA di Gradisca era in programma questa mattina. Non potevano mancare gli antirazzisti.
Nei giorni precedenti erano girate molte voci sui candidati al ruolo di aguzzini, pronti ad incassare 15 milioni di euro in tre anni. Una torta ricca grossa.
C’era chi sosteneva che gli attuali gestori, quelli del consorzio Connecting People, non si sarebbero ripresentati. Ben otto le offerte arrivate in prefettura, compresi quelli di Connecting People, la Cooperativa Minerva, i Cavalieri di Malta e l’associazione culturale Aquarinto di Agrigento.
L’apertura delle buste avrebbe dovuto essere pubblica, ma ogni regola ha la sua eccezione. Dopo il rituale controllo dei documenti, la presidente della Commissione esaminatrice, tale Gloria Allegretto, ha sostenuto che la sala era piccola e potevano starci solo quelli che avevano un interesse soggettivo. Un interesse da 15 milioni di euro. Gli antirazzisti, il cui interesse è invece oggettivo, ossia la libertà di chi ha la colpa di essere povero e senza carte, dovevano stare fuori.
Un’imposizione che non potevano certo accettare: così in quella sala troppo piccola hanno trovato posto cartelli con le immagini ingombranti ed eccessive dei prigionieri del CIE con le bocche cucite con ago e filo. Prima di togliere il disturbo i compagni hanno gridato a gran voce “vergogna!”, “andate a fare un lavoro dignitoso invece di diventare aguzzini”, “tanto gli immigrati ve lo sfasciano di nuovo quel lager”.
Una buona occasione per ribadire che i CIE sono lager, chiunque li gestisca. Continua a leggere
Gradisca: bloccati i lavori al CIE
I lavori di “messa in sicurezza” del lager gradiscano hanno subito un’immediata battuta d’arresto. Pare che vi siano delle irregolarità nelle offerte per il bando della ditta veneta cui erano stati assegnati. Si torna quindi ai blocchi di partenza. Confermata l’apertura delle buste nella … Continua a leggere