Torino. Da 14 giorni in sciopero della fame

Giovedì 16 dicembre. Hassan e Arbil, in sciopero della fame da ormai 14 giorni al CIE di corso Brunelleschi, sono decisi a non mollare. Hassan, visitato ieri all’ospedale “Martini” di via Tofane, è dimagrito di 12 chili ed ha ancora nell’intestino una pila e due bulloni ingoiati nel corso della protesta. Anche Bachir, in sciopero dall’8 dicembre, va avanti.
Si moltiplicano le iniziative di informazione e sostegno alla loro lotta. Una lotta di libertà, sin dal 14 luglio quando parteciparono alla rivolta che rese inagibile la sezione bianca. Per questo hanno trascorso cinque mesi alle Vallette e, dopo il processo che li ha condannati, sono stati riportati al CIE e messi in isolamento.
Dopo i presidi di domenica 12 dicembre, nella mattinata di ieri c’è stato un volantinaggio informativo al “Martini” per sensibilizzare medici e sanitari su quanto avviene al CIE e sulla pratica diffusa di addomesticare i referti medici di chi arriva pesto e sanguinante dai centri.
In prima serata c’è stato un presidio volante di fronte al muro di via Monginevro, quello più vicino alle celle di isolamento, dove sono rinchiusi al freddo Hassan ed Arbil. Grida e slogan di saluto sono state rivolte ai reduci della rivolta del 12 dicembre in via Corelli a Milano.

Aggiornamenti al 17 dicembre. Arbil è stato deportato oggi in Marocco: ieri lo avevano prelevato al CIE e fatto dormire in questura. Con lui sono partiti altri due reclusi dal CIE, Said e Bachir. Hassan invece è ancora la CIE e continua a non mangiare: questa sera ha ingoiato altre due pile e perdeva sangue dal naso. Ma non intende mollare.

Prossimo appuntamento sabato 18 dicembre dalle 15 in piazza Castello angolo via Garibaldi. Per raccontare dell’Italia al tempo dei lager, delle lotte nei CIE, di Elhdj Seyou Gadiaga, l’immigrato bresciano morto dopo 24 ore in cella di sicurezza. Ma non solo. Vi parleremo anche del nuovo “pacchetto sicurezza” approvato in questi giorni in parlamento.
Aggiornamenti al 19 dicembre. Hassan, stremato dal lungo sciopero, ha deciso di interrompere la protesta.

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Torino. Antirazzisti in piazza, al CIE e… al banchetto del PDL

Domenica 12 dicembre. Nel pomeriggio appuntamento nella centralissima piazza Castello affollata per le compere natalizie.
Messe in centro alla piazza le transenne che da qualche settimana blindano il palazzo della Regione, più volte assediato dagli studenti in lotta contro la riforma Gelmini, appeso lo striscione “Torino è antirazzista”, è partito un vivace presidio con Samba Band, distribuzione di volantini e interventi per raccontare di Hassan e Arbil. Condannati dal tribunale a meno di due anni per la rivolta del 14 luglio al CIE di Torino, vi hanno fatto ritorno dopo cinque mesi di galera. Sono in sciopero della fame da 11 giorni: chiedono di essere tolti dall’isolamento e di avere una cella riscaldata. Hassan ha ingoiato due bulloni e una pila. Nella notte di venerdì 10 si è sentito male, provato dallo sciopero e forse dall’ingestione di qualche altra porcheria, nella notte è stato condotto all’ospedale. Dopo quella sera il cellulare di Hassan è rimasto spento.
Di seguito la cronaca della giornata: dalla contestazione al banchetto del Pdl al presidio al CIE.
Leggi qui uno dei volantini distribuiti in piazza.

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Cie di Gradisca: gli sbirri vogliono anche i cani

Sull’inizio dei lavori di “ristrutturazione” il segreto è totale sia sui tempi, che sulle modalità nonchè sulla gara di appalto. La cosa non sorprende visto che fin dalla sua costruzione la struttura gradiscana è stata coperta da segreto di stato a partire dai progetti di costruzione. Nel frattempo gli sbirri dell’Ugl in visita ai loro colleghi del cie reclamano la disponibilità di unità cinofile per sorvegliare il lager. Leggi la rassegna stampa di oggi.

Aggiornamento 14 dicembre. Dentro la struttura le tensione ovviamente continua senza sosta con periodiche aggressioni agli operatori della Connecting People giustamente visti dai reclusi come aguzzini. Fra l’altro a fine anno scade l’appalto per la gestione del CIE, quindi oltre ai lavori di “messa in sicurezza” ci sarà anche la nuova gara. Tutto questo proprio nell’anniversario dai cinque anni di apertura avvenuta il 7 marzo 2006.

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Milano. Tentata fuga e rivolta al CIE

Milano, notte tra l’11 e il 12 dicembre. Hanno provato a scavalcare le recinzioni per riprendersi la libertà. Quando la polizia li ha bloccati hanno dato vita ad una rivolta: smontati i caloriferi li hanno usati come arieti spaccando tutto quello che potevano in due sezioni. Poi è partita la mattanza.
Un gruppetto di solidali si è radunato all’esterno del Centro per monitorare la situazione. Le ambulanze hanno portato via cinque immigrati, tre al S. Raffaele e due al S. Rita. Secondo quanto riferiscono le agenzie gli immigrati sarebbero stati dimessi in nottata. Non si sa se le sezioni danneggiate siano ancora agibili.
Qui la cronaca del Corriere on line.

Lunedì 13 dicembre. Una decina di immigrati sono stati trasferiti al CIE di corso Brunelleschi a Torino. Molti hanno incisi addosso i segni della vendetta per la rivolta del giorno precedente.

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CIE di Torino. Sette giorni di sciopero della fame

Giovedì 9 dicembre. Hassan e l’altro tunisino rinchiusi al freddo in isolamento continuano lo sciopero della fame nel centro di corso Brunelleschi. Un paio di giorni fa Hassan ha ingoiato dei ferri. Per una settimana i due immigrati non erano stati né visitati né curati. Solo oggi sono stati portati all’ospedale, il “Martini” di via Tofane. Il medico che li ha visti – dopo aver parlato con Hassan – ha protestato con i guardiani. Al ritorno al CIE è stato loro promesso che il riscaldamento verrà riparato. La soluzione più semplice, quella di portarli in un reparto “normale” al caldo non è stata nemmeno presa in considerazione. È la vendetta di poliziotti e crocerossini verso chi si è ribellato. Non è bastata la dura condanna subita per la rivolta di luglio, un po’ di tortura non poteva mancare. Per carità niente di che: una tortura sotf, democratica. Il freddo, l’isolamento, l’indifferenza e, quando ci scappa ci scappa, una buona dose di legnate.

Aggiornamento al 10 dicembre. Hassan, sempre in sciopero della fame e con due bulloni nella pancia, sta male. Lui ed Abil sono ancora al freddo: il riscaldamento non è stato riparato. Chi vuole chiamare il CIE per dire la propria può chiamare questi numeri: 0115588778 – 0115589918 – 0115589815
Aggiornamento all’una di notte. Hassan è sempre più debole, fa fatica a parlare al telefono, la voce è flebile. A più riprese alcuni antirazzisti chiedono di lui all’ingresso: la polizia sostiene che tutto va bene, che lui dorme, che il medico è passato. Difficile non pensare alla notte del 23 maggio 2008, quando nessuno ascoltò le grida di chi chiedeva aiuto per un uomo che stava morendo. Il poliziotto, a sentirselo ricordare, si innervosisce.

Aggiornamento all’11 dicembre. Nono giorno di sciopero della fame. Il telefono di Hassan è spento: altri reclusi riferiscono che in mattinata è stato trasferito in ospedale, ma intorno alle 15 era di nuovo al CIE. In serata è svenuto ed è stato portato in infermeria.
Ore 23,40. Un’ambulanza a sirene spiegate ha portato via Hassan.

Domenica 12 dicembre ore 15,30 presidio solidale in piazza Castello angolo via Garibaldi. Alle 18 il presidio si sposta al CIE di corso Brunelleschi.

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Milano. Una Torre davanti alla Scala

Martedì 7 dicembre. C’erano i lavoratori dello spettacolo, c’erano gli studenti in lotta contro la riforma Gelmini, c’erano anche gli immigrati e gli antirazzisti. E c’era una torre di legno e cartone, simbolo della ciminiera di via Imbonati occupata per 28 giorni da immigrati in lotta contro la sanatoria truffa. Da questa torre in tanti hanno raccontato le loro storie di lavoratori/schiavi e della lotta contro un apparato legislativo che picchia duro chi non si inginocchia. Nelle stesse ore, dall’aeroporto di Bologna veniva deportato Abder, uno dei due immigrati rimasti sino allo stremo sulla torre.
Siamo davanti al teatro alla Scala, dove, come ogni 7 dicembre, c’è la prima. La polizia è presente in forze: nel teatro si rappresenta la consueta sfilata di politici, starlette, imprenditori. Sullo sfondo c’è anche la musica, ma lo spettacolo che conta è quello del potere che esibisce se stesso. Non sono ammesse contestazioni.
Una prima carica accoglie un gruppo di studenti che arrivava in piazza, una seconda prende alle spalle i manifestanti che erano già lì da qualche ora. Studenti, lavoratori, immigrati antirazzisti resistono alle cariche: la giornata si conclude con un corteo spontaneo sino a S. Babila.
In via Imbonati il presidio degli immigrati continua. Giorno e notte.

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Deportato il ragazzo della torre

7 novembre. La vendetta dello Stato non si è fatta attendere. Abder, il ragazzo marocchino che, insieme all’italoargentino Marcelo, aveva resistito per 28 giorni sulla torre di via Imbonati a Milano, è stato trasferito dal CIE di Modena all’aeroporto di Bologna e da lì deportato in Marocco.
Abder ha una sola colpa: aver lottato per emergere dalla clandestinità, aver lottato contro un sistema che vuole gli immigrati schiavi per legge. Questo governo non fa sconti a nessuno: lo ha dimostrato espellendo in Egitto gli immigrati rastrellati sotto la gru a Brescia e chi, come “Mimmo”, cercava di impedirlo, lo dimostra oggi, presentando un conto salato ad Abder. Bisogna prenderne atto e allargare la rete di solidarietà attiva a chi lotta. È una scommessa che non possiamo permetterci di perdere.

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Torino. Condanne, pestaggi umiliazioni per i ribelli del CIE

Sabato 4 dicembre. Il 2 dicembre sei immigrati tunisini sotto processo per la rivolta dello scorso 14 luglio sono stati condannati dal tribunale di Torino. Accolte dai giudici le richieste del PM di pene comprese tra l’anno e mezzo e i due anni e otto mesi. Ai tre con meno di due anni è stata concessa la sospensione condizionale e sono stati ricondotti al CIE. Messi in isolamento in una sezione senza riscaldamento hanno protestato, chiedendo di essere trasferiti nelle aree comuni. La risposta è stata chiara e secca: un ragazzo è stato pestato e portato non si sa dove. Secondo Hassan, uno dei suoi due compagni, potrebbe essere in infermeria oppure in carcere. Lo stesso Hassan, condotto dal giudice di pace per la convalida, è stato obbligato, unico tra altri cinque, ad una umiliante perquisizione personale. I due tunisini sono ora in sciopero della fame.
Chi volesse protestare per quest’ennesimo sopruso può chiamare il CIE e dire la propria.
Questi sono i numeri: 011 5588778 – 011 5588815
Ascolta qui la testimonianza di Hassan ai microfoni di radio Blackout
Questa sera – alle 19 – presidio volante al CIE di corso Brunelleschi.

Aggiornamento al 5 dicembre.
Sabato sera una decina di solidali ha fatto un saluto ai reclusi in sciopero della fame. Il ragazzo pestato e poi scomparso è già stato deportato in Tunisia.
Si è inoltre appreso che un immigrato dell’area gialla, che aveva a più riprese ingoiato oggetti, è stato infine liberato per motivi di salute.

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Gradisca. Voci da oltre muro

“Siamo scappati da un paese con una dittatura, siamo trattati peggio che sotto la dittatura: pensavamo di essere in un paese democratico, un paese dove puoi ragionare ma qui non c’è niente di quello che avevamo sentito e saputo.”
Così racconta l’Italia un immigrato chiuso nel CIE di Gradisca, intervistato il 26 novembre da un’attivista della “Tenda per la Pace e i Diritti”. Nelle sue parole e in quelle di un altro recluso uno spaccato della vita nelle gabbie, un limbo al quale un prigioniero dice di preferire il carcere. Le foto che accompagnano le voci sono state scattate all’interno del CIE. Basta un’occhiata ai tavoli imbullonati a terra, ai graffiti, alle labbra cucite per sapere che questo è un lager, un lager della democrazia.
Ascolta qui l’intervista.

21 dicembre 2010. Fare chiarezza.
Ieri su un Macerie, un blog di informazione antirazzista, è comparso un post che pretendendo di voler fare chiarezza su certi preti e certi lampioni non ha trovato di meglio che buttare lì un’allusione maliziosetta a senzafrontiere, reo di aver ospitato le interviste di quelli della “Tenda per la Pace e i Diritti”.
I ragazzi in questione gestiscono uno spazio di incontro aperto ai rifugiati del CARA di Gradisca nei locali della parrocchia. Proprio a casa del prete che, nemmeno una settimana dopo l’inaugurazione dello spazio, ha benedetto i lampioni pagati da Maroni per rendere la vita difficile a chi salta il muro del CIE.
Noi, dalla casa del prete, ce ne saremmo andati. O, meglio, non ci saremmo mai entrati. Ma noi siamo anarchici, anticlericali, convinti che non si spezza il pane e non si condivide il vino con chi benedice i potenti.
Resta il fatto che parliamo, ci confrontiamo, e magari scazziamo con tutti quelli che, in modo diverso dal nostro, vogliono chiudere i CIE, perché in tempi come questi, tempi di barbarie e di violenza, preferiamo lasciare il settarismo per tempi migliori.
Riportare quelle interviste, citando la fonte, ci pareva un buon modo per raccontare quel lager.
Scrivono quelli di Macerie “Badate bene: non è che guardiamo con scandalo una iniziativa come questa dei pomeriggi in parrocchia. Ma che non la si metta in mezzo al movimento contro ai Centri, e che il movimento contro i Centri non dia troppa retta a chi la organizza. Semplicemente, perché sono due cose diverse, e metterle assieme vuole dire perdere ogni possibilità di chiarezza rispetto, ad esempio, alla prospettiva concreta che, una volta chiuso per restauro, il Cie di Gradisca non apra più.”
Un redattore di Macerie ci ha detto al telefono che intendevano così “aprire un dibattito”. I dibattiti noi li preferiamo franchi e diretti, senza le allusioni pedanti di chi ambisce al primo posto in classe.
Le interviste sui CIE che abbiamo riportato sopra sono un piccolo contributo alla lotta perché il centro di Gradisca non apra mai più.
I nostri nemici sono sui banchi del parlamento, nei consigli di amministrazione delle aziende. Quelli della “Tenda per la pace” in questi anni hanno partecipato alle lotte contro il CIE di Gradisca: hanno subito perquisizioni, si sono presi botte e denunce. In occasione dell’ultima rivolta erano lì davanti a dare sostegno: da soli. Speriamo che decidano presto di mandare il prete a farsi benedire. Ci auguriamo che decidano di rifiutare i finanziamenti di chi, con una mano da alle associazioni umanitarie e con l’altra a militari e poliziotti.
Resta il fatto che non li abbiamo scelti come compagni di strada, come non abbiamo scelto tanti altri con cui ci è capitato di intrecciare per qualche tempo i percorsi.
Siamo però convinti – e non da ora – che la forza delle nostre ragioni, le ragioni di chi sa che le gabbie si spezzano solo se il vento della rivolta e della resistenza le apre, è tale da non temere il confronto con chi si illude che questo mondo si possa aggiustare senza rompere la catena di comando e sfruttamento che marchia le vite di miliardi di esseri umani.
Sappiamo anche che per spezzare quelle gabbie occorre rompere la catena di consenso che le tiene serrate. Può capitare che chi incontri per strada passi poi dall’altra parte, a rendere più umana la gabbia, ma capita anche che al momento giusto, sia accanto a te a dar di piccone. Dobbiamo lavorare con umiltà a pazienza perché venga, e presto, quel momento.

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Cie di Gradisca: tra scritte, preti e lampioni

Gradisca, 3 dicembre. Non accenna a placarsi il dibattito su quello che succede dentro e fuori le mura del CIE. Dopo i vari casi di autolesionismo dei giorni scorsi, ora è una scritta tracciata sulla facciata del comune di Gradisca a provocare le polemiche. Tutto accade pochi giorno dopo l’inaugurazione – con tanto di benedizione del parroco – dei nuovi lampioni intorno al CIE. Più luce intorno alle gabbie per garantire maggiore “sicurezza”. Per rendere la vita più difficile a chi cerca di riprendersi la libertà. Nel CIE continua lo sciopero della fame.

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Senza pietà. Dalla torre al CIE

Milano, 2 dicembre. 28 giorni in cima ad una torre con l’inverno alle calcagna. Alla fine erano rimasti solo in due, Marcelo ed Abder. Volevano arrivare almeno a sabato, ma non ce l’hanno fatta: una colica renale ha obbligato Abder a scendere, dopo poco è venuto giù anche Marcelo.
Abder aveva in tasca la ricevuta della sanatoria, ma sapeva che la sua domanda era stata respinta: la questura si era premurata di farglielo sapere il giorno prima. Abder è uno dei tanti che aveva sperato nella sanatoria “colf e badanti” per emergere dalla clandestinità: aveva pagato i contributi ma il suo padrone, presi i soldi, non si era mai presentato in questura per la conferma.
Poteva starsene tranquillo, in silenzio, nel limbo di vita sospesa di tutti i senza carte: con un po’ di fortuna non l’avrebbero preso. Ma in quest’autunno di ghiaccio gli immigrati alzano la testa, lottano per la libertà di muoversi, per la dignità, per una vita fuori dal margine in cui è stretta dalle leggi di questo paese.
La vendetta dello Stato non si è fatta attendere. Dopo un breve ricovero al Niguarda, Abder è stato preso in fretta e furia e portato di filato al CIE di via Corelli. I compagni hanno provato inutilmente a mettersi in mezzo.
Un corteo spontaneo è partito dal presidio sotto la torre verso la questura di via Fatebenefratelli. Ma per Abder è ormai tardi: quando lo rintracciano al telefono è già oltre il muro. Il presidio davanti alla questura, dopo lunghi momenti di tensione, si scioglie. Marcelo, essendo italo-argentino, ha la doppia nazionalità e può andarsene a casa.
A Milano, come già a Brescia, il governo non fa sconti. Hanno paura, paura che la lotta contro la sanatoria truffa si estenda, paura che nei campi del meridione, nei magazzini del nord, nei cantieri delle grandi opere, nelle fabbriche e nei mercati generali, qualcuno alzi lo sguardo verso una gru, verso una torre e si faccia coraggio. È andata male. A noi tutti il compito di rendere più solide le reti di sostegno intorno a chi lotta.

Venerdì 3 dicembre, aggiornamenti. Alle 11 – al CIE di via Corelli – c’è la convalida con il giudice di pace per Abder. In contemporanea presidio al consolato marocchino.
Ore 13. Abder resta al CIE: questo l’esito dell’udienza dal giudice di pace.
L’avvocato Losco ha parlato di “estraordinary rendition“, la consegna speciale di un pacco speciale. “L’udienza – ha detto l’avvocato Losco – si è svolta alle nove di questa mattina, in tempi record e in un clima surreale che non dava certo serenità al giudice: Abdel è stato accompagnato da una ventina di poliziotti, la scorsa notte al Cie, dove fino a prova contraria è ospite e non detenuto, è stato guardato a vista da altri poliziotti in borghese per non meglio precisati motivi di ordine pubblico.”
Qui l’articolo del Corriere on line.
Aggiornamento. Abder è stato trasferito al CIE di Modena e posto in isolamento.

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Gheddafi batte cassa

Martedì 30 novembre. Gheddafi, dalla tribuna della conferenza tra l’Unione Africana e UE, chiede soldi. E tanti. Non è la prima volta che il leader libico batte cassa: lo aveva già fatto il 30 agosto in occasione della sua visita in Italia per il secondo anniversario della stipula del trattato di Bengasi. Era trascorso un anno dalla firma degli accordi sui respingimenti in mare. L’argomento è sempre lo stesso: se volete un cane da guardia alle porte del Mediterraneo dovete pagare. Cinque miliardi di euro è la sommetta che Gheddafi pretende dall’Unione Europea, chiedendo una “maggior cooperazione tra Africa ed Europa” sul modello dell’intesa tra Italia e Libia.
Per essere più persuasivo Gheddafi usa gli stessi argomenti dei leghisti, descrivendo la Libia come unica barriera verso un continente pronto a riversarsi in Europa come un fiume in piena.
Una barriera insanguinata, costellata di morti senza tomba, immonde galere, mercanti d’uomini.
Da quando il governo italiano e quello libico hanno firmato l’accordo, migliaia di immigrati, profughi, richiedenti asilo sono stati intercettati nel Mediterraneo e ricacciati indietro, verso l’inferno da cui provenivano.
Lo scorso anno disse a Repubblica “Ho eseguito gli ordini ma mi vergogno. Quei disperati ci chiedevano aiuto”. Chi sa se il militare che lo scorso anno rilasciò queste dichiarazioni – rigorosamente anonime – al quotidiano Repubblica si vergogna ancora? O ci ha fatto l’abitudine?
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Rilanciamo la lotta contro il CIE di Gradisca

È questo l’invito espresso nel volantino distribuito dai compagni/e del Coordinamento Libertario Regionale contro i CIE venerdì 26 novembre a Zugliano (UD) fuori dalla sala dove veniva presentato il rapporto sui CIE di Medici Senza Frontiere .
Qui puoi leggere il volantino e la rassegna stampa.

Aggiornamento del 30 novembre. Mentre dal ministero fanno sapere che non ci sarà il ridimensionamento del CIE come alcuni speravano, da dentro continuano a filtrare notizie drammatiche. Un detenuto, in sciopero della fame da diversi giorni, si è tagliato le vene. Portato in ospedale, versa in gravi condizioni.

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Egitto/Israele. Un altro muro

L’ultimo di cui sappiamo lo hanno ammazzato l’11 novembre. Aveva solo ventun’anni e fuggiva dalla guerra che sta inghiottendo le vite di tanti giovani eritrei. Ma la guerra, quella contro immigrati e profughi, lo ha raggiunto ad un passo dal confine tra Egitto ed Israele. La polizia di frontiera egiziana gli ha sparato nel deserto del Sinai.
I giovani eritrei sono obbligati ad un servizio militare senza fine. Molti disertano e sono disposti a tutto pur di non tornare indietro. Chi viene riacciuffato è torturato atrocemente. “Non uccideteli. Se muoiono non soffriranno abbastanza”: sono le parole rivolte ai colleghi da una guardia carceraria eritrea.
Dopo gli accordi tra Italia e Libia per i respingimenti in mare di profughi e immigrati sono sempre di più quelli che provano la nuova rotta, aperta dai rifugiati dal Darfur, dopo la strage del 30 dicembre 2005. Quel giorno l’esercito egiziano assalì 3.500 sudanesi disarmati che da tre mesi erano accampati in segno di protesta nel parco “Mustafa Mahmoud”, al Cairo, non lontano dagli uffici dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Fu una strage. Tra i 25 morti c’era anche una bambina di quattro anni. Da allora i sudanesi del Darfur, cui è negato lo status di rifugiati, non provano più a rimanere in Egitto e tentano la strada per Israele.
Una traversata pericolosa come quella del mare, tra un deserto e guardie pronte a sparare.
Israele, dopo una breve stagione di accoglienza, ha deciso di sigillare le proprie frontiere. Con un Muro. Un altro muro delle vergogna, simile a quello costruito in Cisgiordania, verrà eretto lungo 110 dei 240 chilometri di confine con l’Egitto. La costruzione è cominciata il 22 novembre.
Non sappiamo se raggiungerà lo scopo di tenere fuori i 700 immigrati che ogni settimana provano a passare la frontiera. Sappiamo tuttavia che altri ragazzi vedranno spegnersi contro quel muro le loro speranze.

Sappiamo anche che le tariffe dei mercanti d’uomini sono destinate ad aumentare. È del 25 novembre la denuncia dell’associazione Habeshia diffusa dall’agenzia Amisnet di “ottanta profughi eritrei sequestrati al confine tra Egitto e Israele.” Pare siano partiti dalla Libia, pagando duemila dollari, ma ora i passeur pretendono di più.”
“Sono tenuti legati con le catene ai piedi, non hanno acqua per lavarsi da venti giorni, sono segregati in case nel deserto del Sinai, sotto minaccia di morte se non pagano ottomila dollari ai trafficanti di uomini”. La denuncia arriva dall’associazione Habeshia.
Leggi l’articolo pubblicato da PeaceReporter e quello comparso su Il pane e le rose.

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Reggio Emilia. Un fronte contro la truffa della sanatoria

Sabato 27 novembre. Continua la campagna informativa per denunciare e costruire un fronte di mobilitazioni contro la Sanatoria Colf e Badanti (sanatoria truffa).
In piazza Prampolini si è svolto un presidio con distribuzione di volantini per lanciare la due giorni di dibattiti, musica e cibo che si terranno sabato e domenica 4 e 5 dicembre in una apposita tenda in piazza Prampolini.
Leggi qui il volantino distribuito per l’occasione.

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Torino. Gli immigrati alzano la testa

Sabato 27 novembre. In piazza contro la truffa della sanatoria “colf e badanti”. Ma non solo. In piazza contro l’intero mosaico normativo costruito per asservire e ricattare i lavoratori stranieri. Contro vecchi e nuovi pacchetti sicurezza, contro i CIE, contro i militari in strada, contro il permesso a punti, l’ultima trovata – ormai ai blocchi di partenza – per piazzare altre trappole sulla strada di chi emigra nel Bel Paese per afferrare un’opportunità di vita.
Il corteo – indetto dalla Rete “10 luglio antirazzista” – partito da Porta Nuova intorno alle 15 – ha attraversato le strade di S. Salvario per poi dirigersi in centro e concludersi davanti al Palazzo della Regione Piemonte.
Dietro allo striscione “Torino è antirazzista” c’erano le associazioni degli immigrati e i sindacati di base, i centri sociali e gli occupanti di case, gli studenti in lotta e i rifugiati, c’erano le formazioni nate dalla diaspora comunista. Duecento compagni e compagne hanno dato vita allo spezzone dell’anarchismo sociale aperto dallo striscione “La dignità non chiede permesso. Nostra patria è il mondo intero”. Con gli anarchici ha sfilato anche una delegazione del coordinamento immigrati di Alessandria e provincia.
Ben oltre il migliaio i partecipanti, che, negli interventi e negli slogan, hanno puntato l’indice contro una legislazione che strangola le vite degli stranieri, asservendoli al lavoro “che rende liberi”, perché solo chi ha un lavoro regolare ha il diritto legale di risiedere in Italia. Molti, troppi, sono obbligati a chinare la testa per non perdere il lavoro e, quindi, anche i documenti. Chi, invece, un lavoro regolare non c’è l’ha, vive nel limbo degli irregolari, degli apolidi di ogni tempo, sempre all’erta, sempre a rischio di essere scoperto, chiuso in un CIE e poi deportato.
Gli immigrati e gli antirazzisti lo hanno detto e gridato con forza: “è la legge che crea i clandestini”. I clandestini sono utili, utilissimi: chi dice di non volerli, chi dichiara che li getterebbe tutti a mare, in realtà non può fare a meno di loro. Costano poco e faticano tanto. Finché dura è una pacchia per i padroni che lucrano sulle vite di tutti i lavoratori. Non importa se stranieri o italiani: ai padroni interessa il colore dei soldi, non quello della pelle.
Il corteo di ieri a Torino è uno dei tanti segni, grandi e piccoli, che gli immigrati stanno alzando la testa: sono stanchi di aver paura e cominciano a pensare che è tempo di fare paura.
La strada è tanta e tutta in salita. Di questi tempi occorre puntare al cielo per restare in piedi, per porre la basi per spezzare questo sistema di oppressione sfruttamento.

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Antirazzisti al Torino Film Festival

Torino, venerdì 26 novembre. Serata inaugurale del TFF con tanta gente ben vestita e camionette dei carabinieri in assetto antisommossa all’ingresso del teatro Regio. Mentre la digos era impegnata con gli studenti universitari giunti in corteo da Palazzo Nuovo occupato, gli antirazzisti, rapidi ed elegantissimi nei loro giacconi invernali, sono entrati nel teatro.
Di fronte al pubblico della platea è stato aperto lo striscione “Torino è antirazzista”, dai palchi in alto è stato appeso lo striscione “contro la sanatoria truffa – permesso di soggiorno per tutti”. Un lungo applauso ha accolto l’arrivo degli antirazzisti e l’intervento letto da un giovane immigrato.
All’uscita gli antirazzisti si sono uniti agli studenti e in corteo spontaneo hanno raggiunto la sede delle facoltà umanistiche.
L’appuntamento per tutti è per il corteo del 27 novembreore 14 da Porta Nuova.
Di seguito il testo dell’intervento al TFF.
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Cie di Gradisca. Cosa nascondono?

La situazione dentro il lager dev’essere persino peggiore di quanto trapela all’esterno. Basta pensare che, pochi giorni dopo aver negato una visita alla CGIL, non hanno lasciato entrare nemmeno un consigliere regionale. La situazione al CIE di Gradisca sta facendo incazzare anche sindacati e strutture politiche che altrove – come la Cgil – sostengono i CIE o non se ne preoccupano. Torniamo quindi alla domanda di partenza. Cosa nascondono?
Leggi gli articoli di oggi.

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Torino. Immigrati contro la truffa della sanatoria

Mercoledì 24 novembre. Fronte del lavoro. Oltre duecento persone, in buona parte immigrati, si sono dati appuntamento davanti alla Prefettura per un presidio contro la sanatoria truffa e il permesso a punti. Slogan, tamburi, e tanta rabbia per chi, nella sanatoria colf e badanti dello scorso anno, aveva intravisto una via di fuga dalla clandestinità, dalla vita sotto ricatto, dal lavoro nerissimo e pericoloso.
In tanti sono stati ingannati da prestanome e falsi datori di lavoro che hanno preso sino a cinquemila euro per una finta regolarizzazione. Tutti sicuri che un senza carte non può certo rivolgersi alla magistratura. Altri ancora, dopo aver fatto domanda – ed essersi così autodenunciati – hanno scoperto che le regole del gioco erano cambiate a partita già iniziata. Dopo la circolare Manganelli gli immigrati con una doppia espulsione (non ottemperanza all’ingiunzione a lasciare il paese entro cinque giorni e condanna per non averlo fatto – art. 14ter della legge 94 2009) non avevano più diritto alla regolarizzazione.
Una delegazione di immigrati è stata ricevuta in prefettura.
Al ritorno hanno riferito che al momento le domande dei truffati sono ferme. Probabilmente il governo aspetta che la situazione si calmi prima di far ripartire la macchina. Nel frattempo gli immigrati continuano a pagare i contributi, aspettando un pezzo di carta che molti non avranno.
Nell’assemblea di piazza che ha concluso la manifestazione tutti si sono dati appuntamento a sabato 27 – ore 14 da Porta Nuova – per il corteo cittadino promosso dalla Rete “10 luglio antirazzista”.
Perché è chiaro che il governo non mollerà se non sarà costretto a farlo. Solo la lotta può spezzare i meccanismi legislativi che imprigionano le vite degli immigrati.

Fronte del CIE. I sei immigrati con le labbra cucite, in isolamento da quattro giorni, sarebbero stati convinti a farsi togliere i punti. Sono poi stati ricondotti nell’area gialla. Tutto torna così alla normalità. La normalità della vita in un lager. Qui, oggi, a Torino.
Giovedì 25 novembre alle 18 presidio al CIE di corso Brunelleschi.

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Cie di Gradisca. Rivolta quotidiana. Un arresto

È tornata calda anzi caldissima la situazione nella struttura isontina. Dopo le tensioni dei giorni scorsi non accenna a calmarsi la situazione dentro il CIE. Uno dei quattro tunisini che si erano cuciti le labbra, è riuscito a fuggire dall’ospedale di Cattinara, dove era stato ricoverato. Gli altri tre rifiutano le cure.
Secondo quanto riferisce oggi il Piccolo “intere sezioni del CIE sarebbero in mano ai detenuti” e ieri sarebbe scoppiata una rivolta con materassi bruciati e suppellettili distrutte.
Le continue proteste e gli svariati tentativi di fuga continuano a innervosire sbirri e istituzioni che si chiedono preoccupati che cosa potrebbe succedere se il centro – dopo lo svuotamento e i lavori – tornasse ad ospitare 250 immigrati. Oggi, dopo le rivolte e i danneggiamenti, a Gradisca ce ne sono meno della metà. E, anche così, la questura definisce il centro “una polveriera”.
Leggi gli articoli di oggi.

Aggiornamento del 24 novembre. Non accenna a calare la tensione nel CIE. Apprendiamo inoltre che lunedì 22 un immigrato, accusato di essere stato tra gli animatori delle proteste di quel giorno, è stato arrestato. Qui l’articolo.

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